TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: carica occultata
DATA: 2 agosto 1980
STATO: Italia
LUOGO: Bologna, Stazione ferroviaria
MORTI: 85
FERITI: 206
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
Viaggiatori trafelati, borse con costumi da bagno, teli da mare, riviste
da leggere sotto l’ombrellone, per molti italiani stanno per iniziare le
vacanze. Siamo nell’estate del 1980 a Bologna, il primo sabato d’agosto e fa
molto caldo. I treni sono in ritardo e in tanti, giunti nel capoluogo emiliano,
si devono rassegnare a coincidenze saltate e a corse successive da attendere
con un sospiro scrutando impazientemente l’orologio. La stazione ferroviaria
situata in piazza Medaglie d’Oro è piena di persone, presa d’assalto da turisti
che vanno e vengono poichè Bologna è il crocevia d’Italia, lo snodo per
eccellenza, un luogo fondamentale per la rete ferroviaria italiana, chi dal
Nord scende sulla riviera adriatica passa per Bologna, chi dal Centro-Sud sale
per recarsi ai laghi o in montagna passa per Bologna. È il centro del mondo, uno
snodo ferroviario che smista famiglie intere, giovani e anziani, coppie di
sposi e fidanzati, bambini in sandali col sacchetto dei giochi impazienti di raggiungere
il mare o la montagna, ignari che l’orologio del destino ha già decretato la
loro sorte. È rovente l'aria questa mattina, l'estate picchia duro e i
viaggiatori cercano invano refrigerio nel bar-ristorante, sotto le pensiline e
nelle sale d'aspetto piene. Ed è proprio qui, nella sala d'aspetto di seconda
classe, attigua alla prima e al bar-ristorante, un ambiente destinato a
contenere una sessantina di persone affollato di persone in partenza, che
entrano due persone, all’apparenza come tante. Fanno qualche metro in questo stanzone
arredato con sedie e tavoli di legno, individuano un tavolino portabagagli proprio
a ridosso del muro portante dell'Ala Ovest, rivolto verso il primo binario, e
vi appoggiano due valigie, prima una, poi l’altra. Una delle due è pesante, pesantissima,
è del tipo in pelle coi piedini in metallo. Nessuno si accorge di niente, nessuno
fa caso a loro, non il ragazzino che legge un fumetto né la giovanissima mamma con
in grembo la figlia di tre anni. I due, un uomo e una donna, lasciati i bagagli
e dato un rapido sguardo attorno e ai presenti, vanno via nella totale
indifferenza con cui sono entrati. Lui si chiama Giuseppe Valerio Fioravanti,
detto Giuvsa, ha 22 anni ed è di Rovereto. È un uomo di una violenza inaudita,
ha ucciso avversari, passanti e uomini del suo stesso gruppo per rappresaglia, ha
ucciso per dare una lezione o semplicemente per paura che potessero parlare. La
sua faccia di ragazzino è conosciuta da tutti in Italia grazie alla sua
partecipazione a numerose serie televisive, la più famosa è “la famiglia
Benvenuti”, e in alcuni spaghetti western. Il suo curriculum parte dalla
sottrazione di due casse di bombe a mano durante una guardia notturna mentre
faceva il servizio militare, detenzione illegale di armi, traffico di
stupefacenti, rapina, ricettazione, associazione per delinquere, lesioni personali,
danneggiamento e associazione sovversiva. Lei si chiama Francesca Mambro,
chietina, ha 21 anni, milita del FUAN, il fronte giovanile dell’MSI, il
Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista di Giorgio Almirante e Pino
Romualdi, reduci della Repubblica Sociale Italiana, il regime collaborazionista
della Germania nazista. Il suo curriculum, cha nulla ha da invidiare a quello
di Fioravanti, spazia dalla banale affissione abusiva alle rapine, dai
sequestri di persona alla violazione di domicilio, ricettazione, violazione
delle disposizioni sul controllo delle armi, lesioni personali, associazione
sovversiva, violenza privata, falso, resistenza a pubblico ufficiale,
danneggiamento e contraffazione di impronte. I due, fidanzati, dopo aver
percorso l’atrio della stazione verso l’uscita attraversando gruppi di persone
che nemmeno si accorgono di loro, si ricongiungono con Luigi Ciavardini, Gengis
Khan, che li attendeva nel piazzale. 17enne aquilano di nascita e romano di
adozione, Ciavardini nonostante la giovane età ha già preso parte ad azioni
d’attacco, una conclusasi con la morte dell’agente di polizia Maurizio Arnesano
durante un agguato ai danni della pattuglia di polizia in servizio di vigilanza
davanti all'ambasciata del Libano a Roma con lo scopo di disarmarli ed
impadronirsi di un mitra, un’altra con l’omicidio dell’appuntato di polizia Francesco
Evangelista, un’altra ancora con l’esecuzione del Sostituto Procuratore della
Repubblica di Roma Mario Amato, giustiziato con un colpo di pistola alla nuca
dopo essere stato sorpreso alle spalle mentre aspettava l’autobus per recarsi
in Procura. I tre, senza voltarsi indietro e consci di stare per scrivere una
pagina nera sui libri di storia, si allontanano dalla stazione. Sono tutti esponenti
di spicco del gruppo eversivo di ispirazione neofascista NAR, i Nuclei
Armati Rivoluzionari, nati verso la fine del 1977 attorno alla sede dell’MSI, come
teorici dello spontaneismo armato nazional-rivoluzionario avevano
impugnato apertamente le armi contro lo Stato proponendo una comunanza di
intenti con elementi della sinistra armata anti-borghese, un'alleanza operativa
fra gruppi ideologicamente diversi che, però, avevano come unico denominatore
comune la lotta contro la borghesia capitalista e l'imperialismo sia sovietico
che statunitense. Intanto nella sala d’aspetto di seconda classe, all’interno
della valigia più pesante, 18 chilogrammi di esplosivo ad altissimo potenziale
sono lì, ad una cinquantina di centimetri dal suolo, silenti, abbandonati,
innescati. Il braccio armato rivoluzionario era riuscito a confezionare una
carica composta da un miscuglio di esplosivi molto particolari: la Tritolite e il
Tetrile. Il primo, realizzato all’inizio della Seconda Guerra Mondiale dai
laboratori di ricerca americani, è una miscela di due esplodenti primari: il
Trinitrotoluene, preparato la prima volta nel 1863 dal chimico
tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz
Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di
Tritolo o Tnt, e l’RDX. Formalmente chiamato ciclotrimetilenetrinitramina,
l’RDX ha caratteristiche eccezionali, è stato scoperto e brevettato dal chimico
e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898. È stato codificato con
questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi
prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD” Research and
Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la
ricerca militare, e "X", la classificazione, nata come lettera
provvisoria ma rimasta definitiva. L’RDX è un esplosivo stabile e i tecnici della
rivoluzione lo sapevano, così come sapevano che viene considerato il più
potente tra gli esplosivi militari di alta potenza. Ingrediente base per una
serie di composizioni esplosive, viene impiegato principalmente come
potenziante di esplosivi più deboli. Assieme alla Tritolite, conosciuta anche
col nome di Composizione B e composta da un 59,5% di RDX, 39,5% di Tritolo e un
1% di cera sintetica di paraffina, c’è il Tetrile, un esplosivo sensibilissimo
agli urti prodotto negli stabilimenti dell’Esercito degli Stati Uniti agli
inizi del 1900 e sviluppato durante la Prima Guerra Mondiale. La Tritolite come
carica principale e il Tetrile come rinforzo, vengono da residuati bellici
inesplosi recuperati dal suolo italiano che continuamente ne fa affiorare ogni
anno a centinaia disseminati per i boschi, le campagne e le spiagge, scaricati
dalle ogive di granate di artiglieria della Seconda Guerra Mondiale di cui costituivano
il riempimento. Nel nord Italia non sono in tanti ad essere capaci di questo.
Dei tanti personaggi reazionari atlantizzati e statalizzati, da parecchio
tempo in stretti e organici rapporti con i servizi segreti, c’è
Massimiliano Fachini, nato a Tirana il 6 agosto 1942 e residente a Padova ed
esponente di spicco e referente per il Veneto di Ordine Nuovo. Questo, movimento
neofascista falange extraparlamentare di estrema destra nato nel
dicembre del 1969 poco prima della strage di Piazza
Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, è guidato dal politico
Clemente Graziani e da alcuni militanti dell’associazione politico-culturale di
estrema destra Centro Studi Ordine Nuovo, fondata nel 1956 dal politico
Pino Rauti, esponente del Movimento Sociale Italiano. Dopo aver smontato degli
M107 HE americani, proiettili in acciaio ad alto potenziale esplosivo del
calibro di 155 millimetri lunghi 800 millimetri e contenenti una testata da 6,6
chilogrammi, con un processo artigianale di colaggio dell’esplosivo portato
allo stato liquido con vapore ad alta temperatura, Fachini era riuscito a
recuperarlo in forma stabile solidificandolo fino a renderlo riutilizzabile. Lo
aveva fatto pressandolo in un’unica grossa forma cilindrica trasportabile, prima
di armarlo e chiuderlo in una valigia, una come tante che questa mattina del 2
agosto all’interno della stazione ferroviaria accompagnano le centinaia di viaggiatori.
Tutto è calcolato con precisione chirurgica: un timer meccanico, una batteria e
dei detonatori elettrici, dei cilindretti in alluminio contenenti una prima
quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, dirompente ed innescante
preparata per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, di
caratteristiche così elevate da classificarsi come "superesplosivo”, innescata
a sua volta da uno primario, l’Azoturo di Piombo, preparato della Curtis's and
Harvey Ltd Explosives Factory del 1890 e sensibilissimo al calore. Una miscela
incendiaria avvierà la reazione all’interno degli artifizi esplosivi, questi diretti
discendenti di quelli inventati nel 1876 da Julius Smith. Il resto lo farà la
posizione, sollevata da terra e vicino a muri resistenti. La bomba è arrivata in
città ieri sera, ma non è stata trasportata da Fioravanti e dalla Mambro. Questi,
assieme a Ciavardini hanno passato la notte a Villorba, in provincia di Treviso,
a casa di Flavia Sbrojavacca, compagna di un quarto uomo, Gilberto Cavallini,
ignara sia dell’identità dei due, presentati come Riccardo e Chiara, sia di
quella del marito, per lei Luigi Pavan, Gigi per tutti, 28 anni, milanese, impiegato
in una compagnia petrolifera che lo costringe a frequenti trasferte ma che in
realtà sono la copertura perfetta per la sua attività terroristica. In assenza
di lei, che a casa non c’è quasi mai perché diventata mamma da meno di un mese
e trascorre quasi tutto il tempo a casa dei suoi, Fioravanti, la Mambro,
Ciavardini e Cavallini, altro nome di spicco dell’organizzazione nonché la mano
che ha sparato contro il Sostituto Procuratore Amato, i quattro, che lavorano
assieme da mesi, dall’assalto ai locali del distretto militare di Padova dove
avevano portato via quattro mitragliatrici, cinque fucili automatici, pistole e
proiettili, agli agguati contro forze di polizia, hanno rivisto i piani, dalla
fuga per il nord alla presa in consegna della valigia, bagaglio arrivato
stamattina intorno alle ore 10:00. A consegnarlo ai due, nell’atrio della stazione,
è stata una quinta persona: Paolo Bellini. Membro di Avanguardia Nazionale, un’organizzazione
neofascista golpista fondata il 25 aprile del 1960 dal Politico esponente della
destra neofascista Stefano Delle Chiaie, conosciuto soprattutto per traffico di
opere d’arte è in Italia dal ’78. Non è un delinquente comune, soprannominato
l’”aviere” per via del suo brevetto di volo ottenuto grazie ai molteplici
contatti di Delle Chiaie, infiltrato per conto dei membri dell’MSI Franco
Mariani e Giorgio Almirante con lo scopo di informarli della presenza o meno di
elementi collegati all’estremismo duro che vadano contro la nuova destra moderata
della politica di Almirante, è in Italia col nome di Roberto da Silva dopo aver
trascorso due anni in Sudamerica facendo la spola tra il Brasile e il Paraguay.
È sposato con Maurizia Bonini, una donna di 25 anni che non è a conoscenza
della doppia vita del marito e che si fida talmente di lui da creargli l’alibi
di una partenza per le vacanze da Rimini per il valico alpino del Passo del Tonale
senza fare domande. Bellini, Cavallini, Fioravanti, la Mambro, Ciavardini, Bellini,
sono solo un ingranaggio, fondamentale certo, ma che ha dietro un disegno ben
più ampio, quello creato dai vertici di un’associazione di impronta
anticomunista che punta a frenare qualsiasi velleità riformatrice, composta da
politici, industriali, uomini della finanza, giornalisti, militari, funzionari
e vertici di polizia e servizi segreti, un crocevia di poteri conservatori
intervenuti nei fatti più gravi della storia del paese, una convergenza di
interessi con un livello del potere occulto, silenzioso, riservato, un gruppo
di potere con un capo indiscusso: Licio Gelli. Si chiama P2, Propaganda 2, una
loggia massonica segreta fondata nel 1877 e aderente al più grande “Grande
Oriente” istituito a Milano nel 1805, dove le sue mani, unite e guidate da un
unico scopo, portare avanti un cosiddetto “Piano di rinascita democratica”,
mirano a sostituire le alte sfere delle istituzioni con membri aderenti alla
loggia con l’obiettivo finale di portare alle estreme conseguenze la cosiddetta
“strategia della
tensione”, una strategia di destabilizzazione del paese tramite una
serie preordinata e ben congegnata di attentati terroristici al fine di
trasformare l’Italia in una dittatura “morbida”. Ciò avverrebbe soltanto
portando il paese a un livello di terrore tale da rendere necessarie misure
eccezionali fino all’intervento dell’esercito, obiettivo raggiungibile soltanto
attraverso attentati di gravità crescente. Questa strategia, inaugurata con
l’eclatante attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano del 12
dicembre 1969 e che comprende anche i sanguinosi attacchi al treno Freccia del
Sud del 22 luglio 1970, alla manifestazione sindacale di Piazza della Loggia a
Brescia il 28 maggio 1974 e al treno Espresso 1486 Italicus il 4 agosto 1974, è
gestita da una pluralità di soggetti: la componente neofascista e
rivoluzionaria, mera manovalanza, che spinta da elementi infiltrati all’interno
la stanno spingendo a compiere azioni terroristiche, la componente dei servizi
segreti del SID, il Servizio Informazioni e Difesa, che non privi di complicità
e legami internazionali stanno fornendo gli elementi infiltranti e garantendo
la copertura degli eventi attribuendone la paternità ad altri o sfruttando
mediaticamente a proprio favore perfino episodi esterni alla strategia, e la
componente massonica, che sta fungendo da direttivo. L’ordine di colpire
Bologna, la città comunista in occidente, la “vetrina rossa” del buongoverno
di sinistra che attira l’attenzione di giornalisti e politici di tutto il
mondo, era arrivato a febbraio dell’anno scorso direttamente dalla cuspide
della Loggia, da Gelli, il capo supremo, il Gran Maestro Venerabile. Umberto
Ortolani, faccendiere, il suo braccio destro, si era occupato del suo finanziamento,
un milione di dollari, Federico Umberto d’Amato, direttore dell’Ufficio Affari
Riservati del Ministero dell’Interno, aveva garantito che dal punto di vista
tecnico il progetto fosse portato avanti ed eseguito, Mario Tedeschi, politico
dell’MSI e direttore del giornale di destra Il Borghese, aveva organizzato
un piano di futuro depistaggio che avrebbe attirato, chiunque si fosse occupato
di indagare sull’accaduto, su vicoli ciechi. Stamattina i binari sono
affollati, il via vai delle persone è ininterrotto così come quello del
personale di servizio. C’è anche il bigliettaio Roberto Castaldo, che sarebbe
dovuto essere di turno a Cremona ma che all'ultimo momento è stato dirottato a
Bologna. Sta aspettando l’Adria-Express, il treno straordinario 13534 Ancona-Basila
che è in ritardo. Il caldo è afoso, la calca dei passeggeri non dà tregua,
Castaldo pensa sia meglio ingannare l’attesa spostandosi in un posto meno
affollato con altri due colleghi: il deposito del personale viaggiante. Un
caffè, quattro chiacchiere e l’altoparlante annuncia finalmente l’arrivo del
treno sul primo binario. Si ricompongono prima di percorrere le decine metri
che separano il deposito del personale dai binari. Durante il tragitto i
bigliettai passano davanti alla sala d'aspetto di seconda classe. Non notano
nulla di anomalo, ci sono persone e bagagli, una cosa normale in una sala d’attesa.
Proseguono tra la calca. C'è gente seduta sulle panchine, sui marciapiedi,
ovunque, anche il gelataio è affollato, così come i tavolini del chiosco dei
panini e dei ristoranti, tutti pieni. Sono le ore 10:10. I tre arrivano alla
testa del convoglio, il capotreno assegna loro i compiti: il primo conduttore andrà
in coda, uno rimarrà in testa, il terzo al centro. Prese le consegne, Roberto
Castaldo si dirige verso la posizione assegnata. Alcuni passeggeri lo chiamano dall’interno
del treno, appoggiati ai finestrini lo fermano per chiedere informazioni sugli
orari. Con la faccia rivolta verso la coda del treno e la sala d’aspetto
proprio alla sua destra, volge lo sguardo verso l’orologio che sta segnando in
questo momento le 10:25. Il capotreno fischia, Castaldo si gira, il segnale è
verde. Mentre alza il braccio destro, a pochi metri da lui nella sala
d’aspetto, all'interno della valigia il meccanismo a tempo si ferma chiudendo un
circuito elettrico. La batteria dà corrente ai detonatori elettrici collegati
in serie che accendendo in sequenza l’Azoturo di Piombo e la Pentrite innescano
il resto. I 18 chilogrammi di esplosivo detonano con tutta la loro cattiveria. Castaldo
non fa in tempo a prendere il via libera dal conduttore di coda che un boato
squarcia l’aria. Con una velocità di detonazione di 8.000 metri al secondo
dalla valigia abbandonata si spalanca l’inferno. La bomba, collocata a ridosso
di muri robusti scatena la sua cieca potenza convogliando gran parte
dell’energia distruttiva in una direzione. Il tetto si solleva, le pareti si
gonfiano e una fiammata rovente di 3.400 gradi centigradi invade gli spazi. L’intera
ala della stazione che contiene la sala d’aspetto, gli uffici al secondo piano
e il bar-ristorante viene sollevata per aria e ricade giù, tirandosi dietro tutto,
dal solaio di calpestio a quello di copertura. L’onda di sovrappressione si
infila nel sottopassaggio, arriva da una parte fino ai treni in stallo sui
binari facendoli sobbalzare, dall’altra parte sfoga sulla piazza portandosi via
i taxi in attesa di clienti come fossero giocattoli. Nell’atrio della stazione
un muro d’aria investe i passeggeri sollevandoli da terra, schiacciandoli
contro le carrozze e il pavimento. I solai in calcestruzzo e 40 metri di
pensilina in lamiera crollano sulla gente a terra mentre una coltre di
fuliggine nera riempie i vuoti fino al piazzale. Chi può tenta di uscire dal
buio del fumo seguendo il bagliore del sole in lontananza, senza indumenti o
con pochi stracci diventati tutt’uno con la pelle, mentre il fumo sale verso il
cielo riavvolgendosi su sé stesso. Passano dei minuti di un silenzio irreale,
tremendo, assordante, prima che la polvere cominci a precipitare in basso
coprendo tutto. Ci sono morti dappertutto, sangue, gente che urla, qualcuno
corre lungo i binari coi vestiti laceri e una maschera di sangue, voltandosi
indietro, come per cercare qualcuno che lo insegue. Una porzione di muro
rimasta in piedi cede schiacciando chi è sotto, altro fumo, altra polvere. È un
disastro. La bomba, posizionata in quel punto non casuale, ha moltiplicato i
suoi effetti provocando il crollo dell'Ala Ovest dell'edificio. Del ristorante,
degli uffici del primo piano e della copertura non resta praticamente niente,
così come dei corpi di uomini, donne e bambini, schiacciati, eviscerati, fatti
a pezzi. A terra è una distesa di detriti. Ferro, cemento e mattoni sono
mischiati a 85 corpi dilaniati. Ci sono brandelli di carne sulle travi, tronchi
rivoltati, sangue sulle pareti, uno scalpo è sui binari a pochi metri da una
mano. La palazzina, a fianco del corpo centrale della stazione, dove c’erano le
sale d’aspetto di prima e seconda classe e l’entrata ai sottopassaggi, è ora un
buco attraverso il quale si vedono i treni fermi sui binari, la tettoia di
ferro del primo binario completamente squarciata con sotto le carrozze 611 e
612 di prima classe dell’Adria Express che era in partenza e che l’esplosione
ha investito in pieno. Il tavolino portabagagli non c’è più, al suo posto c’è
un cratere del diametro di 120 per 100 centimetri e profondo 35, e poi sangue,
moltissimo sangue, arti e visceri impastati con la polvere. All’esterno, tassisti
e passanti si rialzano dopo essere stati investiti da un uragano di pietre. Alcuni
fuggono in preda ad un panico incontrollato, altri, ancora frastornati si
precipitano all’interno alla ricerca di sopravvissuti. Ma una volta varcato
quel buco i loro volti sono lacerati dall’orrore nel vedere una folla in festa trasformata
in un insieme di corpi straziati che ricoprono ciò che resta del pavimento
della stazione. Le urla di chi cerca di aiutare si mischiano a quelle di chi
cerca di attirare l’attenzione. In mezzo alla polvere, al fumo persistente e
all’odore acre dell’esplosivo che arriva fino in fondo alla gola, c’è chi cerca
di portare il proprio aiuto intralciando, involontariamente, l’operato dei
primi soccorritori. Ma mentre le mani scavano, si feriscono, spostano pietre,
nessuno fa caso ad un uomo che osserva tutto da dietro una colonna. È di
corporatura magra, ha i capelli ricci, i baffi, indossa una maglietta celeste e
al collo una catena d’oro con un crocifisso: è Paolo Bellini. Ripreso nel video
Super 8 girato da un turista svizzero 12 minuti prima dell’esplosione mentre al
binario 1 tra i viaggiatori era intento ad osservare i presenti, ora è di nuovo
qui, questa volta tra i soccorritori. Guarda i feriti, mutilati e agonizzanti, venire
strappati via dalle macerie. Sono tanti, le ambulanze non bastano. Autobus e
macchine civili vengono immediatamente convertiti a mezzi di soccorso improvvisati
che sfrecciano per le vie di Bologna in direzione degli ospedali. A segnalare
il prezioso carico un lenzuolo bianco fuoriesce da uno dei finestrini. La città
si è fermata, nessuno pensa a cosa succederà, ci si penserà domani, ora è il
momento di salvare più vite possibili.
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