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01 luglio, 2021

Enga, Miniera d'oro di Porgera, 2 agosto 1994


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
2 agosto 1994
STATO: Stato Indipendente della Papua Nuova Guinea
LUOGO: Enga, Miniera d’oro di Porgera
MORTI:
11
FERITI:
139

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 2 agosto del 1994, è mattina e il complesso minerario di Porgera è in piena attività. Questo grande agglomerato sorge in una parte remota e aspra della provincia di Enga, nella Papua Nuova Guinea, alla testa della Valle del Porgera nell'altopiano coperto dalle foreste pluviali ad un'altitudine compresa tra 2.200 e 2.700 metri, in una regione dove sono frequenti piogge, frane e terremoti. Di proprietà della Barrick Gold, compagnia mineraria canadese, e attualmente gestita dalla Porgera Joint Venture, un’associazione dei quattro partner Placer Pacific, Renison, Mount Isa Mines e Highlands Gold, con cui la gestiscono in collaborazione con il Governo della Papua Nuova Guinea, la miniera ha un personale di 2.400 dipendenti che vengono impiegati su base “fly in-fly out”. Questi, piuttosto che essere trasferiti con tutta la famiglia vicino al luogo di lavoro, vengono trasportati in aereo sul posto, occupati in cicli lavorativi settimanali e rimandati a casa per quelli di riposo. La miniera ha iniziato la produzione nel 1990 con la Placer Dome Inc, una grande società mineraria specializzata nell’estrazione di oro e metalli preziosi con sede a Vancouver, in Canada, diventando la seconda più grande miniera della Papua Nuova Guinea, una delle dieci più grandi al mondo e una delle maggiori produttrici d’oro a basso costo con 28.350 chilogrammi estratti nel primo anno e 35.977 nel 1993. Il grosso dell’attività estrattiva, iniziata in sotterraneo già dall’apertura del complesso minerario, è diventato fondamentale a cielo aperto ormai da più di un anno con gli scavi alla fossa del Monte Waruwaru con una movimentazione giornaliera di 160.000 tonnellate di materiale roccioso contro le 2.000 del sottosuolo che, portato in superficie da camion Caterpillar AD45, si unisce a quello estratto a cielo aperto e caricato da escavatori e pale gommate O&K su una flotta di camion Caterpillar 777 e 789 costantemente in movimento per garantire l’approvvigionamento all’impianto di lavorazione. Sul fronte di scavo, le migliaia di metri cubi di roccia sono abbattuti dall’incessante e alternato lavoro di perforatrici ed esplosivi provenienti e prodotti negli stabilimenti della Dyno Wesfarmer Ltd edificati per motivi logistici ed economici all’interno del complesso minerario, esattamente al centro del sito. Sono costituiti da una catena di produzione, deposito e imballaggio sia dell’esplosivo che dei meccanismi di innesco, i detonatori ad onda d’urto, degli speciali artifizi esplosivi primari eredi, per quanto riguarda la parte esplosiva, di quelli inventati dal chimico e ingegnere Alfred Nobel nel 1867 contenenti una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, innescato a sua volta da pochissimo esplosivo primario, lo Stifnato di Piombo, scoperto dal chimico tedesco Peter Griess nel 1874. Questo è avviato da un particolare sistema inventato da Per Anders Persson di Nitro Nobel AB e registrato col marchio Nonel, costituito da un connettore, uno speciale tubo estruso in plastica flessibile del diametro esterno di 3 millimetri e diametro interno di 1,5 millimetri, che permette l’accensione del detonatore alla sua estremità tramite un’onda esplosiva generata da un sottile strato di esplosivo del peso di 20 grammi per metro lineare posto sul suo diametro interno e che confina la reazione all’interno del tubo senza ripercussioni esterne, l’HMX, formalmente la ciclotetrametilentetranitroammina, è un esplosivo ad alta velocità dalle caratteristiche eccezionali scoperto e brevettato nel 1930 e successivamente codificato col nome “HM” per High Molecular weight, ad alto peso molecolare, e "X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva. L’esplosivo prodotto nello stabilimento è invece di due tipologie. Il primo, confezionato in sacchi da 25 chilogrammi, è l’ANFO, il suo nome sta per “Ammonium Nitrate Fuel Oil”, uno dei preferiti dall’ETA spagnola e dagli estremisti libici e palestinesi, un esplosivo di grande sicurezza scoperto nel 1950 e costituito da 94% di Nitrato d'Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, 6% di olio combustibile e altri additivi minori, e impiegato in grossi quantitativi per la sua bassissima sensibilità e il suo bassissimo costo di produzione. Il secondo esplosivo è una emulsione, l’Emulite-100, creata dall’azienda nel 1961 e costituita da un 90% di soluzione concentrata di Nitrato d’Ammonio e 10% di olii, cere e paraffine, che formano un composto ad alte prestazioni ideale per i lavori in sotterraneo in presenza di rocce dure ed estremamente dure. L’Emulite-100 è prodotta sia in versione sfusa per il trasporto con camion cisterna per essere pompato direttamente nei fori da mina, oppure in cartucce avvolte in strati di carta o film di vari diametri e misure a seconda del tipo di roccia e del lavoro da svolgere: 25 millimetri di diametro, una lunghezza di 200, un peso di 100 grammi e confezionate in 200 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 32 millimetri di diametro, una lunghezza di 200, un peso di 160 grammi e confezionate in 125 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 32 millimetri di diametro, una lunghezza di 300, un peso di 250 grammi e confezionate in 80 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 50 millimetri di diametro, una lunghezza di 480, un peso di 1.000 grammi e confezionato in 20 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 65 millimetri di diametro, una lunghezza di 530, un peso di 2.000 grammi e confezionato in 10 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi. Gli elementi primari sono stoccati in superficie accanto all’impianto di produzione, in strutture costituite da 40 scompartimenti per il Nitrato d’Ammonio, una cisterna da 20 mila litri per la soluzione ossidante, una da 25 mila litri per il carburante, una da 85 mila litri per l’esplosivo in emulsione non sensibilizzata divisa in due serbatoi e una ulteriore cisterna da 10 mila litri per l’olio combustibile posta ad una distanza di 18 metri dalle precedenti. Separato è tenuto invece il prodotto finito, immagazzinato in scompartimenti stagni all’interno delle riservette, camere sotterranee blindate e strutturalmente rinforzate. Sono le ore 09:45, la miniera è attiva e la produzione di esplosivo procede a pieno regime, 13 operai si stanno alternando alle varie postazioni nei reparti di approvvigionamento, macinazione, miscelazione, estrusione, confezionamento e stoccaggio. Sulla prima linea, 1.250 chilogrammi di emulsione sfusa sono in lavorazione e altri 50 sono sul piano di raffreddamento, incantucciati e in attesa di essere chiusi nelle scatole. A pochi metri, 30 chilogrammi di ANFO stanno invece girando nel miscelatore mentre 120 sacchi da 25 chilogrammi sono sul piano di carico di un camion proprio accanto alle macchine in movimento. È un impianto particolare, molto complesso e delicato, che non lascia spazio ad errori e dove in passato ci sono già stati incidenti. I turni pesanti, il clima, i vapori durante le fasi di lavorazione e purtroppo, paradossalmente, il mediocre livello di qualifica del personale e il precario stato di manutenzione delle macchine rendono questa linea di produzione una bomba ad orologeria. Le forti vibrazioni e i rumori sordi sono frequenti durante le operazioni di produzione ma oggi qualcosa attira l’attenzione dell’addetto alla pompa. Alcuni ì colpi sordi e un repentino rallentamento del rotore lo incuriosisce ma non abbastanza da fermare la linea. L’uomo si avvicina al rullo per verificare la totale efficienza del macchinario per il confezionamento ma mentre apparentemente non sembra esserci niente di preoccupante, all’interno della pompa a cavità progressiva, dove l’emulsione è fatta passare in maniera forzata attraverso un rotore metallico a forma di spirale posto a contatto con uno statore in gomma, si sono formate delle crepe che l’addetto alla macchina non vede. In pochi secondi il rumore diventa più intenso, i sostegni vibrano, la pompa si muove, il tecnico sbianca voltandosi in direzione del pulsante di blocco. È troppo tardi, il rotore oscilla flettendo gli ingranaggi e provocando degli attriti e delle contropressioni che in meno di sei secondi innalzano la temperatura all’interno della cavità stagna. L’uomo non ha il tempo di fare nulla, l’Emulite-100, penetrata attraverso le fessure, ha raggiunto il cuscinetto aumentando la compressione, gli attriti e sollevando esponenzialmente la temperatura oltre i 230 gradi centigradi. L’emulsione all’interno dell’accoppiamento del mozzo del rotore si attiva, la pompa esplode. La detonazione, con una velocità di 5.900 metri al secondo produce 888 litri di gas per ogni chilogrammo di composto facendo propagare l’esplosione per tutta la linea. 1.300 chilogrammi di emulsione saltano in aria producendo una sfera di 1.154.400 litri di gas ad alta pressione che investono il miscelatore dell’ANFO e il pianale del camion che esplodono con una velocità di 3.300 metri al secondo producendo un volume di gas pari a 975 litri per chilogrammo. I 3.030 chilogrammi detonano scatenando l’Inferno, 2.954.250 litri di gas si sommano ai precedenti in una reazione a catena che disintegra l’intera linea di produzione, scoperchia il capannone principale, abbatte la struttura in acciaio e falcia 11 operai come spighe, dilaniandoli e sparpagliandoli in un raggio di 600 metri. Una spaventosa palla di fuoco si solleva sulla fabbrica, sotto di lei lo stabilimento è distrutto, il piazzale è devastato, le strutture attorno sono state attraversate da parte a parte. I container, i sili, i depositi, sono rovesciati, schiacciati e circondati da un mare di fuoco che continua ad alimentarsi senza freno a causa dei danni irreversibili all’impianto antincendio. Il portellone anteriore di uno dei container si apre, escono due figure, sono due sopravvissuti. L’onda d’urto, investendo il gigantesco box, lo ha ribaltato sbarrando i portelloni e chiudendoli dentro salvandogli la vita. Fuori da lì tutto brucia, i due sanno che non è ancora finita, ancora sanguinanti corrono sostenendosi a vicenda cercando di allontanandosi il più velocemente possibile dal cratere, un buco dei diametri di 7 metri per 5 e profondo 2. Sul Punto Zero le fiamme aumentano, il calore anche, a 300 metri di metri di distanza gli addetti alle macchine si rialzano da terra ancora storditi, negli uffici gli impiegati colpiti dagli arredi caduti, sono malconci e feriti a causa delle schegge di vetro volate delle vetrate andate in mille pezzi. Ci vuole più di un’ora per mettere in salvo il personale e organizzare i soccorsi, il terreno aspro rende difficile i collegamenti all’interno del sito e l’esplosione ha cancellato anche il percorso per lo stabilimento della Dyno Wesfarmer Ltd. Sono le ore 11:02, la temperatura degli incendi, alimentati dalle decine di migliaia di litri di olio combustibile, nel Punto Zero raggiunge la soglia critica, tutti i depositi saltano in aria, 75 tonnellate di emulsione e 15 di Nitrato d’Ammonio esplodono con un ruggito. 81.225.000 litri di gas ad alta pressione squarciano l’aria, la terra si apre, un’onda d’urto appiattisce qualsiasi cosa per 2 chilometri. Ciò che non ha danneggiato la prima esplosione, lo fa la seconda. La fabbrica è letteralmente spazzata via assieme all’intero impianto di produzione, al settore per l’assemblaggio del sistema Nonel, alle cisterne e ai garage. Gli uffici, le officine, i depositi, si spalancano, le macchine sobbalzano, molte si rovesciano, mentre i tunnel vengono investiti da una scossa sismica che provoca crolli lungo tutta la linea. Una seconda palla di fuoco si alza nel cielo per 450 metri seguita da una nube di fumo che ricopre l’intero complesso minerario. In basso non c’è più nulla, la violenza dello spostamento d’aria ha cancellato tutto. Lo stabilimento della Dyno Westfarmer Ltd non esiste più, la sua posizione, creduta ottimale e ritenuta essere il punto di forza del complesso minerario e della sua attività estrattiva, si è appena trasformato nella sua condanna. I morti, le decine di feriti, la distruzione e un cratere di 40 metri di diametro e 15 di profondità ricorderanno alla Barrick Gold e ai partner della Porgera Joint Venture che delle severe procedure di sicurezza, un personale altamente qualificato e un controllo rigoroso e giornaliero delle attrezzature, soprattutto in materia di esplosivi, sono necessari se non addirittura fondamentali per l’ottenimento di un prodotto di alto livello che difficilmente consente di commettere errori una seconda volta.

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01 dicembre, 2019

Courrieres, Miniera di carbone, 10 marzo 1906


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
10 marzo 1906
STATO:
Francia
LUOGO:
Courrieres, Miniera di carbone
MORTI: 1.115
FERITI:
594

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 10 marzo 1906, è un sabato, ci troviamo nella Francia di quel periodo che negli anni a venire sarà chiamato La Belle Epoque, un momento storico caratterizzato dal dominio dell'Europa e dall'assoluta ed eccessiva fiducia nel progresso tecnico. Da un punto di vista politico la situazione è eccezionale: Armand Fallières è stato eletto Presidente della Repubblica in sostituzione di Émile Loubet e la nazione è ancora traumatizzata dalla legge sulla separazione tra Chiesa e Stato. Il pallido Ferdinand Sarrien, nuovo Primo Ministro, a giorni formerà il suo Governo con Louis Barthou ai Lavori Pubblici e Clemenceau all'Interno. La stampa è potentissima, il Petit Parisien stampa più di 2 milioni di copie seguito da Le Temps e Le Petit Journal. Con 39 milioni di abitanti, di cui 20 milioni attivi e 5,7 milioni solo nell'industria, nella Francia di questo inizio 1906 appena uscita da due mesi di intensa campagna elettorale il clima sociale è particolarmente cattivo e gli scioperi numerosi. Nelle miniere, i lavoratori sono relativamente privilegiati perché meglio sindacalizzati: 8 ore lavorative, salari settimanali, alloggi forniti, fondi di soccorso, cooperative. Nonostante ciò il lavoro è duro, pericoloso e il tasso di mortalità altissimo. Frane, cedimenti, incendi, decimano gli operai, bambini e adulti, che giornalmente si addentrano nelle viscere della terra per estrarre il principale combustibile fossile: il carbone. A Courrières lo sfruttamento del sottosuolo è tecnicamente innovativo. L'azienda, che estrae dal giacimento di carbone del bacino minerario di Nord-Pas-de-Calais nel Pas-de-Calais, a 220 chilometri a nord di Parigi, è stata premiata più volte durante le grandi fiere nazionali e universali per la qualità delle sue attrezzature, innovazione delle linee, ventilatori, caldaie, sistema di approvvigionamento elettrico della parte inferiore, pompe, argani, macchine perforatrici, e per la sicurezza del suo personale, quest’ultimo almeno sulla carta, poiché anche se un decreto dell'8 febbraio dell’anno scorso ha reso obbligatorio l’utilizzo delle lampade di sicurezza, non viene quasi mai applicato. È stato il primo pozzo, quello scavato nel 1849 ad aver dato il nome alla Compagnia. Ora coi dodici pozzi attivi, 7.500 tonnellate giornaliere di materiale estratto e 2.737.500 tonnellate annue, il 7% della produzione nazionale di carbone, è diventata la terza compagnia nel Nord-Pas-de-Calais. Producendo il combustibile per le centrali elettriche, l'azienda, con alle dipendenze 9.258 lavoratori di cui 7.594 impiegati in sotterraneo, ottiene enormi profitti, 7,4 milioni di Franchi in sette anni, risorse finanziarie che permettono all’azienda di destinare una grossa fetta degli utili allo scavo di nuovi pozzi ottimizzando la produzione nei vecchi modernizzando le strutture già esistenti. La miniera è insolitamente complessa per il suo tempo: i diversi pozzi sono collegati tra loro da gallerie sotterranee su più livelli. Queste, raccordate a loro volta per questioni logistiche, ovvero facilitare il trasporto del materiale in superficie, e per motivi di sicurezza, ovvero facilitare l’accesso dei soccorsi in caso di incidente, formano una insidiosa e intricata rete viaria nel sottosuolo. Il Pozzo numero 3 serve per l'estrazione, per l'ingresso dell'aria, e a mezzo di uno scompartimento isolato con diaframma in legno, anche per il riflusso, con un ventilatore Guibal di 7 metri di diametro montato alla bocca che aspira 7 metri cubi d'aria al secondo. L'aria in entrata si divide in due circuiti principali: uno in direzione Nord, che dopo aver ventilato i cantieri nei livelli Giulia a -280 metri di profondità, Santa Barbara a -303 metri, e Giuseppina a -326 metri, fuoriesce dal Pozzo numero 2; l'altro circuito in direzione Sud, che passando per i livelli Giuseppina e Santa Barbara a -299 metri, fuoriesce dal Pozzo numero 4. Due derivazioni secondarie destinate a ventilare dei tratti raddrizzati dei livelli Santa Barbara e Giuseppina, ritornano, passando per la galleria a -280 metri, allo scompartimento di ventilazione del Pozzo numero 3. Il Pozzo numero 11 serve invece per l’estrazione e l'ingresso di altra aria che, formando 4 circuiti di ventilazione ai livelli -331 metri e -383 metri, ritorna in uscita al Pozzo numero 4. A quest'ultimo fa anche capo un riflusso d'aria proveniente dal Pozzo numero 5 passando per il livello a -260 metri. Al Pozzo numero 2 arriva invece l’aria dei circuiti provenienti dal Pozzo numero 3 assieme alle correnti di ventilazione alimentate dal Pozzo numero 10 e passanti per i livelli a -307 e a -354 metri. In questa mattina del 10 marzo 1.664 minatori sono a lavoro alle quote -330 e -340 metri, come ogni giorno. Iniziato appena prima dell’alba questo è il turno più numeroso. Gli operai sono ancora provati dall’incidente di quattro giorni fa dove un incendio scoppiato a causa del rovesciamento di alcune lampade a fiamma libera nel punto in cui gli armatori stavano lavorando ha incenerito le cataste delle vecchie armature in legno nel Pozzo numero 3, a Cècile, sul Lavaleresse a Méricourt, fra i livelli a -326 metri e -280 metri. Anche se si è provveduto subito con sbarramenti costituiti da terra, ferro e ciottoli, a chiudere l'entrata d'aria a questi cantieri, aria proveniente dal Pozzo numero 3, al livello -326 metri, domare le fiamme non è stato semplice. Creare sbarramenti anche nella galleria di riflusso d'aria al livello -280 ha fatto sì che si riuscisse finalmente a circoscrivere l’incendio solo qualche ora fa. I minatori sono stremati ma sono abituati a questi episodi, gli incendi sono abbastanza frequenti a queste profondità e ciò non ha destato grosse preoccupazioni né agli operai, né agli ingegneri, né ai dirigenti. La miniera non è considerata a rischio grisù, il terribile metano infiammabile ed esplosivo se messo a contatto con l’aria, le lampade a fiamma libera sono utilizzate come principale fonte di luce salvo che negli avanzamenti verso zone non ancora ispezionate in cui vengono adoperate in via precauzionale quelle di sicurezza a benzina. Per quanto riguarda l’esplosivo, per demolire la roccia viene utilizzata la Polvere Favier, un prodotto belga apparso nel 1887 e composto da una percentuale di 12% di Nitronaftalina, un preparato esplosivo del 1835, e una dell’88% di Nitrato d'Ammonio,fertilizzante preparato per la prima volta dal chimico e farmacista tedesco nel 1659 battezzandolo “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma, e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. L’utilizzo del Favier è molto pericoloso, soprattutto nell’estrazione del carbone, e dato il suo non facile maneggio pochi specialisti sono in grado di utilizzarlo. La Grisoutine invece, l’”esplosivo di sicurezza”, così chiamato perché estremamente veloce al fine di rendere minimo il tempo di esplosione e che lavora con una temperatura di fiamma al di sotto dei 1.500 gradi centigradi, è utilizzata solamente nelle zone non ancora preventivamente ispezionate. È un ottimo prodotto ma è molto costoso, forse troppo per farne un uso giornaliero ma si sa, la vita in miniera vale poco. C’è da dire che l’uso di questo esplosivo, costituito da 10% in peso della Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, scoperta dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, da 0.25% in peso di Cotone Collodio, composto dalla Nitrocellulosa con alta percentuale di azoto, e da 89.75% in peso di Nitrato d'Ammonio, avrebbe permesso di rientrare a casa dalle loro mogli a molti dei lavoratori della miniera. Sul fronte di scavo di una delle gallerie del Pozzo numero 2, al livello Giuseppina, 4 operai si trovano impegnati nella routine lavorativa: perforazione, caricamento dell’esplosivo, innescamento, brillamento e raccolta del marino, il risultato della frantumazione della roccia, che verrà poi trasportato all’esterno in superficie con vagoncini trainati da cavalli. 2 lavorano ai trapani ad aria compressa, un terzo carica in foro le prime cartucce cilindriche di Favier spingendole fino in fondo con un calcatoio in legno, un quarto, poco più indietro, prepara le smorze armate, le cartucce con annegato all’interno il sensibilissimo detonatore a fuoco, anch’esso brevetto di Nobel del 1867. Il cilindretto di stagno riempito col Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, verrà innescato da una miccia del tipo “a lenta combustione”. Il cordone di canapa catramata brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford consentirà alla fiamma un percorso di un metro ogni 120 secondi di tempo grazie alla sua anima di Polvere Nera, un esplosivo formato da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone che nel 1249 aveva modificato quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044. Le operazioni, svolte in silenzio, sono continue e meccaniche. Mentre le perforatrici battono sulla roccia viva sollevando una nuvola di polvere soffocante, l’operaio addetto al caricamento ha finito di caricare le mine “centrali”, quelle che provocheranno sulla parete uno spazio centrale libero per consentire a quelle successive di trovare un volume dove far cadere la roccia abbattuta. Sta per dedicarsi alle mine “di scarico”, che col loro lavoro abbatteranno gran parte della roccia. Dietro di lui, a terra, lo aspettano le ultime, quelle “di contorno”, che porteranno con la loro esplosione la sezione della galleria al profilo voluto. È un compito delicato, tutto deve essere fatto con precisione chirurgica. La progettazione della volata per l'avanzamento della galleria, presentando problemi diversi e più complessi rispetto all'abbattimento di un gradino a cielo aperto, ha bisogno di concentrazione continua da parte degli esplosivisti e pertanto ogni membro della squadra cerca di non perdere la lucidità neanche per un momento. Sulla parete, davanti al foto l’uomo si sta accingendo a pressare con la mano destra l’ultima cartuccia della fila, quella armata col detonatore, all’interno della mina profonda un metro e mezzo e con dentro un peso complessivo di 450 grammi di esplosivo. Nella mano sinistra ha invece il borraggio, il tappo di argilla incartocciato, un metodo introdotto nel 1687 dall’esplosivista Carl Zumbe nelle miniere di Clausthal, nella Bassa Sassonia, in Germania, che chiuderà la mina in modo da permettere all’esplosivo di sfogare la sua forza completamente e senza dispersioni di energia sulla roccia circostante. È in ritardo e deve chiudere anche le altre. La fretta di voler concludere, la stanchezza o forze l’eccessiva sicurezza, nel momento in cui spinge col calcatoio la cartuccia di Polvere Favier all’interno del foro per farla aderire alle altre, picchia troppa forza sul candelotto urtando la testa sporgente detonatore. La distrazione è fatale, il Fulminato di Mercurio nel cilindretto di stagno reagisce violentemente allo shock meccanico accendendo tutte le cartucce nel foro. La mina esplode innescando tutte le vicine non ancora intasate provocando un effetto cannone multiplo che si riversa sugli operai e sulle casse di esplosivo a terra. I tre operai sul fronte di scavo vengono investiti in pieno e fatti a pezzi senza nemmeno accorgersene. Il quarto, chino sul tavolo una manciata di metri più indietro, viene diviso in due e scaraventato per 19 metri. Le casse di esplosivo a terra, investite dalla prima onda d’urto detonano tutte assieme, la galleria trema, il tunnel viene devastato e dalle pareti dei cunicoli scossi si solleva una fitta nuvola di polvere di carbone che prende fuoco. L’aria si incendia, la rapida combustione in questo spazio confinato in cui la reazione chimica non ha il tempo di liberare tutta l'energia prodotta sotto forma di calore, ne produce una parte consistente sotto forma di energia di pressione generando a sua volta lo spostamento dell'aria circostante ad una velocità elevatissima. Sono le ore 06:45, i cunicoli esplodono, al Pozzo numero 3, appena sotto la superficie, mentre 125 uomini vengono ragguagliati sulle condizioni dell’incendio di quattro giorni fa, il pavimento sotto di loro si squarcia con uno sbuffo di terra che fa volare i caschi. Una forte spinta dal basso in progressivo aumento proveniente dal vano ascensori fa voltare tutti di colpo. 6 secondi dopo, una delle gabbie viene sparata in alto seguita da un tremendo boato. La struttura metallica, scardinata dalle guide e piegata su un lato è avvolta da una coltre di fumo rovente nero e denso. Le braccia bruciate e dilaniate degli operai morti schiacciati all’interno pendono dalle lamiere accartocciate del montacarichi. Tutto diventa buio. Nei 7 secondi successivi: la testa del pozzo si apre come un fiore, la gabbia ascendente si fracassa contro la parete e quella discendente si blocca in basso, il flusso di ventilazione si interrompe mentre il Pozzo numero 3 si chiude da quota -50 metri a causa delle guide, delle traverse, dei palchetti e dei rottami del tramezzo che crollano su loro stessi; il Pozzo numero 2, l’Auguste-Lavaurs a Billy-Montigny, è squassato da un muro di polvere seguito da una cannonata; al Pozzo numero 11 la gabbia viene lanciata fino alle molette e bloccata dai tacchetti di sicurezza, i minatori presenti all’interno sono arrostiti vivi. L’onda barica, che viaggia ad una velocità di oltre 1.000 chilometri orari, dopo aver abbattuto gli sbarramenti sul Lavaleresse a Méricourt percorre i 110 chilometri di gallerie del bacino carbonifero fra i paesi di Méricourt,  Sallaumines, Billy-Montigny e Nouvelles sous Lens in meno di due minuti, sfogando dal Pozzo numero 4 del Santa Barbara a Sallaumines e falciando 4 operai a lavoro per delle riparazioni nei pressi della bocca, straziando i corpi e proiettandoli per 12 metri assieme ai cavalli e ai rimorchi. Raggiunta la superficie, l’onda d’urto strappa i tetti dai sostegni delle strutture, apre il terreno, scardina le porte di ventilazione, trascina le benne, piega le armature e appiattisce le paratie in legno rendendo i pozzi inutilizzabili. È l’apocalisse. Se l’esterno è un disastro, l’interno è pure peggio. L’accesso è possibile soltanto dalle estremità del campo operativo poiché i sostegni metallici sono piegati in avanti bloccando le gallerie. La mostruosa esplosione, formata da una catena di esplosioni ravvicinate, ha corso per le gallerie comunicanti generando ad ogni deflagrazione un’onda barica che ha sollevato in sospensione altre polveri di carbone innescate a loro volta al contatto col fronte di fuoco. La forza spaventosa di questa tempesta di fuoco ha consumato in un attimo tutto l’ossigeno, soffocando, schiacciando e incenerendo 1.099 operai e 97 cavalli. La rete di gallerie, studiata appositamente per motivi logistici e di sicurezza, ha favorito l’estendersi dell’evento trasformando la miniera in una fornace. Le strutture sono distrutte, i sostegni danneggiati, le pareti sono pericolanti e a terra non restano che corpi senza vita, alcuni smembrati, altri orribilmente mutilati e irriconoscibili. Sotto pezzi di legnami ancora in fiamme gli attrezzi ancora impugnati da mani, ma senza traccia dei corpi. Nei borghi vicini il fragore delle esplosioni ha spalancato le finestre di tutte le abitazioni e il fumo nero, che ha invaso in una manciata di minuti l’intera aerea, sta attirando sul posto la popolazione locale. Le mogli degli operai si riversano in strada, in migliaia affollano le vie dei quartieri. I cancelli della miniera sono sbarrati e presidiati per contenere la folla. In poche ore verrà mobilitata la macchina dei soccorsi. Minatori belgi, pompieri da Parigi e soccorritori tedeschi dotati di autorespiratore verranno portati sul posto. 16 di loro moriranno nelle ricerche. Ambulanze, carri carichi di bombole di ossigeno, attrezzi da lavoro, medicine, materassi, pacchetti di ovatta, verranno portati alle imboccature dei pozzi e i cameroni degli edifici in superficie si trasformeranno in infermeria e in camera mortuaria. Il bilancio definitivo sarà di 429 morti al Pozzo numero 3, 507 al Pozzo numero 4 e 163 morti al Pozzo numero 2. Nelle ore successive, ustionati, intossicati e feriti, in 594 riusciranno a raggiungere la superficie. Gli ultimi 13, che verranno poi soprannominati “I Rescapés”, resteranno intrappolati per 20 giorni riuscendo a sopravvivere mangiando i cavalli morti.

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30 giugno, 2019

Oppau, Badische Anilin und Soda Fabrik, 21 settembre 1921


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
21 settembre 1921
STATO: Germania
LUOGO: Oppau, Badische Anilin und Soda Fabrik
MORTI:
565
FERITI: 1.977

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

L'impianto della B.A.S.F., il Badische Anilin und Soda Fabrik, nel quartiere di Ludwigshafen am Rhein di Oppau, in Germania, aveva iniziato a produrre Solfato di Ammonio nel 1911, ma durante la Prima Guerra Mondiale, quando la Germania era stata in grado di ottenere lo zolfo necessario, aveva cominciato a produrre anche il Nitrato di Ammonio per compensare il basso contenuto di azoto del solfato. L’impianto era una fabbrica completa che copriva tutte le fasi di produzione: ricezione delle materie prime, produzione, sintesi, conversione, stoccaggio e spedizione dei prodotti finiti. Nel 1920 la fabbrica di Oppau impiegava circa 70 tra chimici e ingegneri, 3.000 operai e 3.000 artigiani. In quegli anni il Solfato di Ammonio era utilizzato principalmente come fertilizzante per terreni alcalini. Nel terreno lo ione ammonio veniva rilasciato formando una piccola quantità di acido, abbassando il pH del terreno, e apportando l'azoto essenziale per la crescita delle piante. Lo svantaggio principale per l'uso del solfato di ammonio era il basso contenuto di azoto, quindi era stata studiata e prodotta una ricca miscela a base di Solfato di Ammonio e Nitrato di Ammonio. Rispetto al Solfato di Ammonio, il Nitrato di Ammonio era fortemente igroscopico, quindi la miscela di Solfato e Nitrato, indurita dalla pressione del proprio peso, aveva la necessità di essere frantumata e staccata dalle pareti dei depositi con metodi poco ortodossi ma efficaci. Gli operai potevano usare i picconi come soluzione principale, ma c’era il rischio che la massa indurita potesse collassare e seppellirli. Per facilitare il lavoro venivano usate piccole cariche di esplosivo per ammorbidire la miscela. La procedura, apparentemente suicida era stata più che collaudata e per anni è stata una pratica comune. Le cariche erano costituite da cartucce di Perastralit, un esplosivo prodotto dalla ditta Sprengstoffabriken Hoppecke AG a Würgendorf sulla base di vecchi proiettili di artiglieria. Queste cartucce erano composte da una miscela di: 90 parti di esplosivo militare di tipo Ammonal ma modificato, una versione tedesca costituita per il 16% di alluminio, 15% di Trinitrotoluene, composto preparato per la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, 3% di carbone e per il 72% in peso di Nitrato di Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870; e 10 parti di esplosivo militare di tipo Perdit, costituito per il 72% in peso di Nitrato di Ammonio, 10% di  Perclorato di Potassio, ossidante utilizzato in pirotecnica, 15% di Dinitrotoluene, composto organico utilizzato per la produzione di propellenti ed esplosivi da scoppio e da lancio, e 3% di farina di legno. Il Perastralit era miscelato direttamente in fabbrica e la composizione variava notevolmente da cartuccia a cartuccia. Aveva preso il posto di un altro esplosivo, l’Astralit, un composto a base di Nitrato di Ammonio simile al Perastralit, ma senza perclorato. Era ben noto che il Nitrato di Ammonio fosse una sostanza fortemente esplosiva già ampiamente usato come tale nella Prima Guerra Mondiale, ma dei test condotti nel 1919 avevano certificato che nella miscela il Nitrato di Ammonio non dovesse superare il 60% del volume totale per essere considerata sicura, o per lo meno era fortemente improbabile che avesse una reazione esplosiva. Tuttavia, questa formula era decisamente imprecisa e basata su test fortuiti e approssimativi. Nelle miscele contenenti il 50% di Nitrato di Ammonio, qualsiasi esplosione è limitata ad un piccolo volume attorno alla carica di avvio, ma aumentando la percentuale di Nitrato al 55-60% si migliorano significativamente le proprietà esplosive e si crea una miscela la cui detonazione è sufficientemente potente per avviare la detonazione anche del resto del carico. C’è da aggiungere che anche le variazioni di umidità e densità influenzano significativamente le proprietà esplosive. Pochi mesi prima il processo di produzione era stato modificato in modo tale da abbassare il livello di umidità della miscela da 3-4% al 2%, e abbassare la densità apparente, rendendo le miscele all’interno dei sili sensibili alle reazioni esplosive. Tutto questo era andato bene fino al 1921. La mattina del 21 settembre gli operai sono al lavoro come ogni settimana per la pulizia dei sili, e come ogni volta vengono posizionate le cariche di esplosivo. Il brillamento consiste in 8 fori da mina di 10 metri di lunghezza distanti 120 centimetri l’uno dall’altro in due parti diverse del silo raggruppati in due gruppi da 4 fori ciascuno. In tutti gli 8 fori vengono piazzate le cariche di Perastralit armate ognuna con un detonatore elettrico con un ritardo temporale tra i due gruppi di 4 secondi. I detonatori sono la versione leggermente modernizzata di quello inventato nel 1876 da Julius Smith. Ognuno è un cilindro di alluminio riempito con una miscela incendiaria e Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard. È un lavoro di routine e nessuno si preoccupa di quel silo di stoccaggio numero 110 il cui scopo è il raffreddamento, l'essiccazione e il deposito temporaneo del materiale. È situato all'estremità sud-occidentale del sito della fabbrica, la sua struttura è per lo più in legno, con 61 metri di lunghezza e 31 di larghezza con una copertura in legno ad arco. Il livello del pavimento è a 4,12 metri sotto il livello del terreno con la parte inferiore costituita da un muro di fondazione in calcestruzzo alto 5 metri. All’interno sono stoccate 4.500 tonnellate di materiale e probabilmente alcune sacche di miscela la cui percentuale di Nitrato è maggiore rispetto al resto. Sono ore 07:32, il capo degli artificieri preme il pulsante dell’esploditore elettrico, il circuito si chiude. I ponticelli all’interno dei detonatori diventano incandescenti, la miscela incendiaria brucia, il Fulminato di Mercurio detona innescando le cariche esplosive. Ma qualcosa va storto: 80 tonnellate di materiale detonano con le prime 4 cariche, non c’è tempo di fermare le altre 4 che fanno detonare 430 tonnellate di materiale. Sono due esplosioni gigantesche che squarciano l’aria. La seconda viene avvertita nella Francia nord-orientale e a Monaco di Baviera, ad oltre 300 chilometri di distanza. 565 persone sono spazzate via come rami secchi, 1.977 restano a terra ma sopravvivono. 96 dei 300 edifici nel raggio di 500 metri vengono completamente distrutti. L’onda d’urto raggiunge il centro di Oppau, a 1.550 metri dal Punto Zero, radendo al suolo 1.036 edifici situati fino ad una distanza di 600 metri, 928 edifici fino a 900 metri vengono gravemente danneggiati e altri 89 lievemente colpiti. Alla fabbrica di Ludwigshafen, a circa 1,5 chilometri in direzione sud, gli operai si vedono scoppiare in faccia le finestre mentre i telai e i tetti vengono strappati via. L’onda d’urto prosegue la sua corsa per 75 chilometri. A Worms le vetrate medievali della Cattedrale saltano in aria, i doccioni si staccano volando sul selciato, a Heidelberg il traffico è fermato dalla massa di vetro riversatosi per le strade, i tram deragliano, le murature degli edifici vengono lesionate, i tetti si aprono. Francoforte, Oggersheim, Ludwigshafen e Frankenthal sono attraversate dal vento dell’esplosione, le tegole piovono in strada, i vetri saltano e la terra trema. Dopo tre minuti di infermo l’aria si ferma. Su Oppau si è alzato un fungo rosso che ricopre la città, l'80% degli edifici è stato distrutto in un colpo solo e il restante 20% reso inagibile. 6.500 persone sono senza una casa. Nel Punto Zero non resta che un cratere di 96 metri di larghezza, 165 metri di lunghezza, 18,5 metri di profondità per 12.000 metri cubi di volume. L’onda di pressione che si è creata era di una potenza inimmaginabile. Una sfera rovente ha investito tutto e tutti, polverizzando persone, animali, strutture. Degli operai che si trovavano nel pressi del gigantesco silo non è rimasto niente. Ai soccorritori si presenta una scena agghiacciante: parti umane sparpagliate dappertutto, organi appesi alle pareti degli edifici parzialmente integri, frammenti di corpi a chilometri dal cratere. Tutto ciò che è stato investito dall’onda d’urto è diventato a sua volta una scheggia che ha ucciso e mutilato a sua volta. Solo per un caso fortuito le due esplosioni hanno allentato il materiale all’interno del silo riducendo in questo modo la densità del carico e non favorendo le circostanze per un’esplosione ancora più distruttiva del restante 90% della miscela. Due mesi prima, nella città di Kriewald, 19 persone sono morte nell’esplosione di 30 tonnellate di Nitrato di Ammonio, quelle 19 persone sono morte esattamente nello stesso modo. Questo incidente non è stato preso in considerazione. 

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