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01 ottobre, 2022

Grande Galleria dell'Appennino, Espresso 1486 Italicus, 4 agosto 1974


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: carica occultata
DATA:
4 agosto 1974
STATO: Italia
LUOGO: Grande Galleria dell'Appennino, Espresso 1486 Italicus
MORTI:
12
FERITI: 48

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu 

È passata dopo poco l’1:20 della notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 e il treno Espresso 1486 Italicus partito da Roma e diretto a Monaco di Baviera sta percorrendo la Grande galleria dell'Appennino. Da questo tunnel ferroviario, uno dei più lunghi al mondo con 18,5 chilometri di lunghezza posto lungo la linea ferroviaria “Direttissima” Bologna-Firenze che collega l'Emilia-Romagna con la Toscana, l’espresso viaggia in direzione della stazione di San Benedetto Val di Sambro. Questa galleria quasi eterna, buia, di un buio continuo interrotto qua e là dalle luci che sembra di non uscirne mai, scavata durante il Fascismo ora è uno snodo assolutamente vitale che collega Firenze a Bologna passando alla catena degli Appennini garantendo un collegamento fondamentale per tutta l’Italia. È una notte afosa e il treno, un notturno piuttosto lungo come ce ne sono tanti, partito dalla stazione di Roma Tiburtina alle ore 20.35 e che trasporta quasi mille persone è, come spesso accade d’estate, in ritardo. Il Ministro degli Esteri Aldo Moro, che sarebbe dovuto trovarsi a bordo per raggiungere la famiglia nella località trentina di Bellamonte, non c’è. Raggiunto in vettura da alcuni funzionari del Ministero che avevano premura di alcune firme su dei documenti è stato fatto scendere all'ultimo momento. A causa dell’arrivo nella stazione di Firenze Santa Maria Novella a mezzanotte e mezzo con uno sforo di 23 minuti, gli addetti alla movimentazione dei vagoni hanno cercato di recuperarne qualcuno nel lasso di tempo in cui venivano aggiunte delle carrozze al convoglio. Durante la fase della movimentazione dei vagoni, mentre sulla banchina il personale chiacchierava per ingannare il tempo e sul treno i passeggeri dormivano, un uomo salito poco prima ha percorso il corridoio fino alla quinta carrozza, ha lasciato una valigetta sotto uno dei sedili rivolti contro il senso di marcia ed è sceso senza fare rumore, allontanandosi dai binari con la stessa disinvoltura con cui è salito. E ora la valigetta è lì, silenziosa, non contiene vestiti, non contiene nemmeno documenti, contiene morte, un carico di devastazione temporizzata pesante 4 chilogrammi. Chi l’ha assemblata lo ha fatto con maniacale dedizione allo scopo, per provocare un disastro, una strage spaventosa, uno dei più apocalittici massacri che una mente criminale potesse ordire. Progettata per esplodere all’interno della galleria al fine di moltiplicare e ingigantirne gli effetti, la bomba è l’insieme di due elementi separati. Il primo è una carica esplosiva, ad alto potenziale, composta di Amatolo di tipo 60/40, una miscela esplosiva pulvirulenta creata durante la Prima Guerra Mondiale dalle forze armate britanniche e costituita da 60% in peso di Nitrato d'Ammonio e 40% in peso di Trinitrotoluene. Del Nitrato d'Ammonio, fertilizzante scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, Johann Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, preparandolo e descrivendolo nel 1659 ne aveva dato appellativo di “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma. Il Trinitrotoluene invece è un esplosivo preparato per la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt. Il secondo elemento che costituisce la bomba non è esplosivo, è incendiario e si tratta della Termite. Composta da polvere di alluminio e ossido ferrico è una miscela pirotecnica molto particolare in grado di sviluppare altissime temperature. La sua reazione è stata scoperta nel 1893 e brevettata due anni più tardi dal chimico tedesco Hans Goldschmidt, interessato alla produzione di metalli estremamente puri evitando l’uso del carbone durante il processo di fusione. Attualmente impiegata nei processi di saldatura per alluminotermia ha trovato applicazione durante la Seconda Guerra Mondiale come miscela incendiaria per bombe aeronautiche. In treno dormono quasi tutti e il frastuono del locomotore e le vibrazioni sono troppo rumorose perché qualcuno percepisca un ronzio ripetitivo ovattato che proviene dalla valigetta, il ticchettio di un orologio che sta per mettere a contatto due piastrine di rame, una fissa e una mobile saldata a stagno ad uno dei martelletti esterni della sveglia. È un orologio molto comune, di marca tedesca, una Peter, una delle più vendute e chi l’ha utilizzata lo sa bene. Comprata ad Arezzo dalla ditta FARO, Forniture Aretine Ricambi Orologi, Pietro Malentacchi si è occupato di trasformarla in un meccanismo di innesco ad orologeria collegandola con due batterie per torce sufficienti a dare corrente ad un singolo detonatore elettrico, competenza acquisita durante il servizio militare nell’Esercito Italiano presso il reparto Reggimento Genio Guastatori a Vicenza. Questo artifizio esplosivo versione moderna di quello inventato nel 1876 da Julius Smith contiene una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, innescato a sua volta da uno primario, il sensibilissimo Azoturo di Piombo preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890, avviato da una miscela incendiaria accesa dal passaggio della corrente elettrica. A procurare il detonatore e l’esplosivo ci ha pensato Mario Tuti, “il caterpillar”. 27 anni, di indole violenta, geometra e impiegato comunale di Empoli è il fondatore di un gruppo terroristico, il Fronte Nazionale Rivoluzionario. Questa organizzazione armata formata da un nucleo molto ridotto di estremisti toscani è ispirata al fascismo rivoluzionario della Repubblica Sociale Italiana, il regime collaborazionista della Germania Nazista esistito tra il settembre 1943 e l'aprile 1945 voluto da Adolf Hitler e guidato da Benito Mussolini al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l’armistizio di Cassabile in cui l’Italia aveva firmato il 3 settembre 1943 in Sicilia la resa incondizionata agli alleati. Di questo nucleo ristretto con Tuti e Malentacchi fanno parte altri due membri, Luciano Franci e Margherita Luddi, il primo fa il carrellista per l’ufficio postale nella stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, la seconda è la compagna di Malentacchi. Nonostante la giovane età il gruppo è molto attivo con armi, passaporti falsi e ingenti quantità di esplosivi ed inneschi stoccati in tre depositi fra Castiglion Fiorentino, Ortignano Raggiolo e Arezzo, a casa della nonna della Luddi, dove qui l’esplosivo è arrivato dopo aver stazionato temporaneamente negli scantinati del dipartimento di fisica all'Università di Roma La Sapienza. L’azione sarà rivendicata da tue telefonate al giornale “Il resto del carlino”, simbolo di Bologna e primo quotidiano per diffusione in Emilia-Romagna e Marche, nonché il settimo più diffuso in Italia, e da un volantino che citerà: “Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti.” Politico, terrorista ed estremista di destra, Esposti era membro e fondatore delle Squadre d’Azione Mussolini, una organizzazione di ispirazione fascista di natura terroristica attiva in Lombardia dall’inizio del 1972. È stato ucciso il 30 maggio ad Altopiano di Rascino con un colpo di pistola alla testa da un agente di polizia che ha risposto al fuoco durante la fuga a seguito del controllo delle tende in cui era accampato con altri latitanti in seguito alla segnalazione di un uomo che lo dava somigliante all’attentatore della strage di Piazza Della Loggia a Brescia del 28 maggio. Dall’accampamento, che non era altro che il centro logistico per un colpo di stato in fase di progettazione, Esposti avrebbe dovuto spostarsi per Roma per assassinare il Presidente della Repubblica Giovanni Leone durante la parata del 2 giugno, in collegamento col previsto piano di golpe. Accanto a Tuti e al suo Fronte Nazionale Rivoluzionario c’è un’altra figura di spicco, un elemento chiave dell’organizzazione neofascista toscana, uomo la cui casa alla fine di luglio è diventata sede per la riunione preparatoria dell’attentato: Augusto Cauchi. Conosciuto come “il picchiatore”, di carattere violento e facile alla rissa, il “deus ex machina” della destra eversiva di Arezzo è il coordinatore, sotto la supervisione di “Peppino l’impresario” Giuseppe Pugliese, delle cellule eversive toscane nonchè collegamento con l’area di riferimento, quella milanese di Ordine Nero. Associazione segreta neofascista di natura terroristica, Ordine Nero è nato quest’anno in seguito alla crisi della più vecchia Avanguardia Nazionale, organizzazione neofascista e golpista fondata il 25 aprile 1960 dal politico Stefano Delle Chiaie, e dallo scioglimento a novembre dell’anno scorso di Ordine Nuovo, un altro movimento neofascista falange extraparlamentare di estrema destra guidato dal politico Clemente Graziani nato nel dicembre del 1969, poco prima della strage di Piazza Fontana a Milano, da parte di alcuni militanti dell’associazione politico-culturale di estrema destra Centro Studi Ordine Nuovo, creata questa nel 1956 dal politico esponente del Movimento Sociale Italiano Pino Rauti. Protetto da Federigo Mannucci Benincasa, colonnello dei carabinieri responsabile del Centro di Controspionaggio di Firenze, Augusto Cauchi è il trait d’union tra l’area eversiva toscana con una figura di spicco nel panorama italiano, Licio Gelli, che lo ha finanziato con alcune decine di milioni di lire consegnatigli personalmente in primavera a Villa Wanda, la sua immensa residenza di Arezzo e tempio sacro di una loggia massonica segreta: la P2, dove Gelli ne è la cuspide, il capo supremo con la carica di Gran Maestro Venerabile di un potere occulto, silenzioso, riservato, un gruppo di potere di cui lui è il leader indiscusso. La Propaganda 2, fondata nel 1877 aderisce al più grande “Grande Oriente” istituito a Milano nel 1805 e le sue mani, unite e guidate da un unico scopo, portare avanti un cosiddetto “Piano di rinascita democratica”, mirano a sostituire le alte sfere delle istituzioni con membri aderenti alla loggia con l’obiettivo finale di portare alle estreme conseguenze la cosiddetta “strategia della tensione”, una strategia di destabilizzazione del paese tramite una serie preordinata e ben congegnata di attentati terroristici al fine di trasformare l’Italia in una dittatura “morbida”. Questa strategia, inaugurata con l’eclatante attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano del 12 dicembre 1969 e che comprende anche i sanguinosi attacchi al treno Freccia del Sud del 22 luglio 1970 e alla manifestazione sindacale di Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974, è gestita da una pluralità di soggetti: la componente neofascista e rivoluzionaria, mera manovalanza, che spinta da elementi infiltrati all’interno la stanno spingendo a compiere azioni terroristiche, la componente dei servizi segreti del SID, il Servizio Informazioni e Difesa, che non privi di complicità e legami internazionali stanno fornendo gli elementi infiltranti e garantendo la copertura degli eventi attribuendone la paternità ad altri o sfruttando mediaticamente a proprio favore perfino episodi esterni alla strategia, e la componente massonica, che sta fungendo da direttivo. Ordine Nero, la componente neofascista, è un ingranaggio, fondamentale certo, ma che ha dietro un disegno ben più ampio, quello creato dai vertici di un’associazione, di impronta anticomunista che punta a frenare qualsiasi velleità riformatrice, composta da politici, industriali, uomini della finanza, giornalisti, militari, funzionari e vertici di polizia e servizi segreti, un crocevia di poteri conservatori intervenuti nei fatti più gravi della storia del paese. Con un programma portato avanti in varie riunioni Ordine Nero sta agendo con la prospettiva di realizzare la serie di attentati diretti verso obiettivi politici e verso lo stato per portare il paese in quella situazione di sempre maggior tensione e quindi favorire il colpo di Stato. Esposti, con la sua prospettiva politica di tipo golpista riteneva che si debba portare il paese a un livello di terrore tale da rendere necessarie misure eccezionali fino all’intervento dell’esercito, obiettivo raggiungibile soltanto attraverso attentati di gravità crescente. Definendosi fautore di una teoria del terrorismo puro parlava di stragi indiscriminate e di attentati da compiersi l’uno dopo l’altro in diverse città o in più luoghi ma contemporaneamente, anche attribuendoli alla fazione comunista, senza risparmiare persone o cose colpendo perfino istituzioni religiose e forze dell’ordine. Ora è il momento di maggiore tensione, la fase finale del piano di attacchi preparato dal gruppo e iniziato il 13 marzo con le due bombe a Milano, una davanti alla sede dell'agenzia pubblicitaria del Corriere della Sera e uno al Centro Studi Gramsci, e proseguito il 15 marzo con l’attentato al liceo "Vittorio Veneto", il 21 marzo a Vaiano con la bomba alla rotaia dove sarebbe dovuto saltare in aria il treno Palatino, il 23 aprile con le esplosioni alla “Casa del Popolo” di Moiano, all’esattoria comunale di Milano e alla sede del Partito Socialista di Lecco, con la bottiglia incendiaria all’auto del Procuratore di Treviso Carlo Macrì del 25 aprile, con l’esplosione nella scuola slovena di San Giovanni a Trieste del 27 aprile, con gli attentati contro tre distretti di Polizia di Milano e la bomba a Savona contro l’edificio in cui abita il senatore della Democrazia Cristiana Franco Varaldo del 30 aprile e le esplosioni negli uffici dell'assessorato all'ambiente di Bologna e in quelli dell’esattoria comunale di Ancona del 10 maggio. Oggi i quattro della cellula del Fronte Nazionale Rivoluzionario non possono e non devono sbagliare. Malentacchi non è salito alla stazione di Santa Maria Novella, a treno fermo, correndo il rischio di attirare l’attenzione dei controllori, ma lo ha fatto a treno in movimento appena prima che il convoglio entrasse in stazione, all'uscita di una galleria in cui solitamente rallenta per la presenza di un cantiere. Fermo al binario, nascosta la valigetta sotto il sedile e affacciatosi dal finestrino a cercare Luciano Franci che gli faceva da palo durante il suo turno di notte, fattogli cenno col capo a cose fatte Malentacchi ha lasciato la carrozza dirigendosi verso l’uscita della stazione dove lo attendeva la Luddi a bordo della sua Fiat 500 che, dopo averlo lasciato nei pressi della galleria, lo ha raggiunto in città attendendolo nel piazzale esterno per far ritorno ad Arezzo. Sono le ore 1:23 e l’Italicus sta per uscire dalla Grande galleria dell'Appennino. Dentro la valigetta le lancette dell’orologio si fermano attivando i martelletti che si muovono l’uno contro l’altro mettendo a contatto le due piastrine metalliche. Un circuito elettrico si chiude, dalle batterie nastrate sulla cassa della sveglia la corrente percorre il cavo fino al detonatore arroventando un ponticello interno che accende la miscela infiammabile attivando la carica primaria e di conseguenza la successiva. La testina del detonatore esplode e la Pentrite innesca l’Amatolo che detona accendendo la Termite. Il tunnel si illumina a giorno e la montagna trema seguita da un boato assordante. La quinta carrozza, in un’oscurità che sparisce per un istante, si gonfia, il tetto si alza strappandosi dai sostegni ricadendo immediatamente verso il basso frantumandosi in migliaia di schegge mentre una pioggia di fuoco sollevata dall’onda di sovrappressione che attraversa il corridoio incendia ogni cosa. Il muro d’aria, infilandosi negli scompartimenti investe i passeggeri sorpresi nel sonno schiacciandoli alle pareti mentre subito dietro le fiamme si propagano velocissime aumentando vertiginosamente a tal punto il calore da contorcere le lamiere. In una manciata di secondi tutta la vettura è avvolta dalle fiamme, con la temperatura che supera i 2.000 gradi centigradi i vetri si sciolgono e le tende si sbriciolano assieme ai rivestimenti dei sedili. In mezzo al fuoco si vedono i passeggeri muoversi tra gli scompartimenti e lungo il corridoio, coi capelli in fiamme e i vestiti lacerati. Qualcuno si getta fuori dai finestrini finendo sul selciato, qualcun altro prova a spegnersi buttandosi a terra, a rotolarsi sul pavimento finendo carbonizzato in una frazione di secondo sulla lamiera rovente che non lascia scampo trasformandolo in una torcia. Il macchinista, che nel frattempo è riuscito a percorrere i 50 metri che separavano il convoglio dall’uscita della galleria, è arrivato fino al primo binario della stazione di San Benedetto Val Di Sambro dove agenti di polizia, fiancheggiando con gli estintori il vagone in fiamme da cui si alzano in cielo lingue di fuoco alte e abbaglianti, restano attoniti nel vedere le figure dei passeggeri agitarsi dietro il fumo come tante ombre cinesi. Intorno a loro il metallo si sta fondendo e fuori il calore è insopportabile, un agente cerca di avvicinarsi alla carrozza per tentare di salire a bordo ma senza successo, la porta è incandescente, il vagone dilaniato sembra friggere e gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano sopra. In piedi, al centro della vettura, un ferroviere con la pelle nera cosparsa di ustioni cerca di spostare qualcosa da sopra una persona incastrata. È proprio nel momento in cui gli agenti lo esortano a spostarsi da lì che una vampata lo investe facendolo sparire dietro un pannello. Qualcuno lo chiama, urla vedendo quella figura avvolta dal fuoco accasciarsi sul pavimento. Chi sta morendo si chiama Silver Sirotti e ha 25 anni, fino all’ultimo ha cercato di salvare i passeggeri imbracciando un estintore. Sono morti in 12 questa notte e altri 48 ne porteranno i segni addosso, cicatrici di un gesto violento, pianificato, scellerato, ma che avrebbe avuto conseguenze ben peggiori se il treno non avesse accumulato quei minuti di ritardo, scomodi e fastidiosi in altre circostanze, ma che oggi hanno salvato la vita a centinaia di passeggeri scongiurando uno dei peggiori disastri che il nostro Paese avrebbe mai ricordato.

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01 settembre, 2022

Gioia Tauro, Direttissimo Freccia del Sud, 22 luglio 1970


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: carica occultata
DATA:
22 luglio 1970
STATO: Italia
LUOGO: Gioia Tauro,
Direttissimo Freccia Del Sud
MORTI:
6
FERITI:
77

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 22 luglio, il treno direttissimo Freccia Del Sud detto anche Treno Del Sole, proveniente da Villa San Giovanni, dopo essere stato traghettato alle ore 14:35 sta proseguendo in direzione di Gioia Tauro alla velocità di circa 90 chilometri orari. Il lungo convoglio ferroviario, partito dalla Sicilia, da Siracusa e diretto a Torino, istituito nel 1953 è la prima relazione ferroviaria della storia delle Ferrovie Italiane a collegare direttamente l’Italia Settentrionale con quella Meridionale. È composto da 18 carrozze più un vagone destinato a bagagliaio, ha a bordo 198 persone, ci sono lavoratori pendolari che tornano su dopo un soggiorno in famiglia, viaggiatori occasionali, c’è anche un gruppo di 50 pellegrini e 3 sacerdoti diretti a Lourdes, tutti stipati in quei vagoni roventi del sole di piena estate. Il viaggio è interminabile e con quei sobbalzi continui non si riesce neanche a dormire. È un luglio particolare questo, come è particolare questo 1970 in Calabria, teatro di alleanze strategiche tra criminalità organizzata, eversione nera e altri esponenti di diversi movimenti estremisti. Nell'estate di questo anno la parte meridionale della regione è in balia della “rivolta di Reggio Calabria”, una sommossa causata dalla nomina di Catanzaro a Capoluogo di Regione. Dopo la proclamazione dello sciopero cittadino del 13 luglio sfociato dalla rabbia di molti cittadini di Reggio e coordinato da un comitato d'azione che aveva raccolto esponenti del Movimento Sociale Italiano e di altri partiti, si era arrivati al 15 luglio con l’occupazione della stazione ferroviaria, l’erezione di barricate, violenti scontri con la polizia ed episodi di sabotaggio delle infrastrutture. Sono le ore 16:00, il lungo treno sta proseguendo il viaggio senza problemi, forse con qualche scossone dovuto alle rotaie ma a parte questo la velocità procede costante e senza interruzioni. Qualche chilometro più avanti però, qualcuno è a lavoro sui binari. Non sono operai, né manutentori, si tratta del braccio armato per le operazioni di sabotaggio del Comitato d’Azione per Reggio Capoluogo. Vito Silverini, detto “Cicci il Biondo”, e Vincenzo Caracciolo sono accucciati sul selciato, stanno piazzando una bomba sulla linea, accanto alle traversine tra la rotaia e la massicciata. Giuseppe Scarcella, Giovanni Moro, Renato Marino e Carmine Dominici sono invece poco lontani, guardano, aspettano. Tutti neofascisti appartengono ad Avanguardia nazionale, un’organizzazione neofascista golpista fondata il 25 aprile del 1960 dal Politico esponente della destra neofascista Stefano Delle Chiaie. Questo gesto, maturato negli ambienti della destra eversiva, sta cavalcando la protesta di Reggio trasformandola in rivolta e che in sordina sta iniziando a stringere alleanze con la criminalità mafiosa. Considerata tra le più pericolose organizzazioni criminali del mondo, con numerose ramificazioni all'estero, dal Canada all’Australia, e nei paesi europei meta dell’emigrazione calabrese, questa criminalità si chiama ‘Ndrangheta. Attiva dal 1800 e sviluppatasi a partire da organizzazioni criminali operanti nella provincia di Reggio Calabria, questa criminalità, la ‘Ndrangheta, svolge la sua attività tra il narcotraffico, partecipazione in appalti, condizionamento del voto elettorale, estorsione, usura, traffico di armi, gioco d’azzardo e lo smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi, svolgendo un profondo condizionamento sociale fondato sia sulla forza delle armi che sul ruolo economico raggiunto attraverso il riciclaggio del denaro, attività che permette di controllare ampi settori dell'economia dall'impresa al commercio e all’agricoltura, spesso con la connivenza di aree della pubblica amministrazione a livello locale e regionale a tutti gli schieramenti politici. Questo del 22 luglio non è un evento isolato, come non è circoscritto alla regione Calabria, fa parte di una serie preordinata e ben congegnata di eventi atti alla destabilizzazione del paese, complici la forte ondata di lotte sociali del 1968-69 e l’avanzata anche elettorale del Partito comunista italiano. Iniziati il 12 dicembre dell’anno scorso alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano dove una bomba ha provocato un massacro, questi eventi sono volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario, trasformando l’Italia in una sorta di dittatura “morbida”. Una strategia eversiva questa gestita da una pluralità di soggetti: la componente neofascista e rivoluzionaria, mera manovalanza, che spinta da elementi infiltrati all’interno la stanno spingendo a compiere azioni terroristiche, la componente dei servizi segreti del SID, il Servizio Informazioni e Difesa, che non privi di complicità e legami internazionali stanno fornendo gli elementi infiltranti e garantendo la copertura degli eventi attribuendone la paternità ad altri o sfruttando mediaticamente a proprio favore perfino episodi esterni alla strategia, e la componente massonica, che sta fungendo da direttivo, talmente determinato a portare avanti il piano da coinvolgere le organizzazioni criminali “di zona”. Ed è proprio dalla ‘Ndrangheta, che sta armando la rivolta calabrese con finanziamenti da parte di facoltosi esponenti di Destra mobilitati per lo scopo, che provengono sia l’esplosivo che gli inneschi. Provenienti da un carico di 50 chilogrammi di Gelatina da cava in cartucce rubato dalla cava di sabbia di Bagnara di proprietà dell’ingegnere salernitano Gennaro Musella, i 4 chilogrammi in candelotti per uso estrattivo sui binari erano stati consegnati a Silverini da un uomo del clan De Stefano, un picciotto, Giacomo Ubaldo Lauro, per la cifra di 3 milioni di Lire. Questa Gelatina è una Dinamite, un tipo a base esplosiva ed è composta per il 92% dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, il prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, e per l’8% da Nitrocellulosa. La Gelatina non è altro che un’evoluzione della Dinamite a base attiva composta da 75% di Nitroglicerina, 25% di segatura e nitrato di sodio, a sua volta evoluzione della prima assoluta brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867, quella a base inerte, dove la Nitroglicerina, costituente il 75% della cartuccia, era miscelata con un 25% di farina di roccia silicea sedimentaria di origine organica. L’esplosivo in cartucce, portato sul posto sull’Ape Piaggio di Caracciolo, sta venendo armato con un detonatore del tipo a fuoco, annegato per tutta la sua lunghezza all’interno di uno dei candelotti. Artifizio esplosivo primario è costituito da un cilindro di alluminio lungo 6 centimetri e del diametro di 45 millimetri contenente una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, uno degli esplosivi più potenti, preparata per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, innescato a sua volta da dell’esplosivo primario, l’Azoturo di Piombo, il preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890 sensibilissimo ad urti e calore. A questo, erede del tubetto di stagno inventato da Alfred Nobel nel 1867 che lo aveva riempito di Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, Silverini, utilizzando l’esperienza nel costruire bombe maturata durante un periodo nei Genio militare di Bolzano, ha fissato inserendolo all’estremità uno spezzone di 3 metri di miccia a lenta combustione calibrata per un percorso della fiamma di 1 metro ogni 120 secondi che consente al commando di allontanarsi in sicurezza mentre brucia con un fiocco di scintille rosse e arancioni. Di colore nero costituita da un rivestimento in catrame e del diametro di 5 millimetri, diretta discendente della corda di canapa catramata brevettata il 6 settembre del 1836 da William Bickford è costituita da un cordone di cotone impermeabile con un’anima di Polvere Nera, esplosivo costituito da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044 che nel 1044 suggeriva il dosaggio di un 74% in peso di nitrato di potassio, 15% in peso di carbone e 11% in peso di zolfo. La fiamma impiega 6 minuti ad arrivare al detonatore. Mentre il treno è ancora lontano l’Azoturo di Piombo esplode innescando la Pentrite che accende i candelotti di Gelatina che detonano con la loro potenza con una velocità di 6.500 metri al secondo. Il binario si apre. Un tratto della rotaia lato monte, a circa 20 metri di distanza dalla travata metallica del viadotto al chilometro 349-827 viene divelta con una asportazione parziale della soletta interna su un tratto di 1,8 metri. In una nuvola di polvere, fumo a pietre il selciato lascia spazio ad una voragine profonda un metro, proprio quando in lontananza, alle ore 17:10, il Freccia Del Sud appare con un fischio da dietro una curva della linea Battipaglia-Reggio Calabria, nei pressi del ponticello sul fiume Petrace, nel tratto tra il cavalcavia delle Ferrovie Calabro Lucane e il gruppo di scambi all'ingresso in stazione di Gioia Tauro, a 750 metri dall'ingresso delle piattaforme di stazione. Giovanni Billardi e Antonio Romeo, macchinista e aiuto macchinista, stanno chiacchierando, quando un forte sobbalzo, molto più forte degli altri, fa saltare il locomotore, come se fosse mancato qualcosa sotto il carrello. Il macchinista tende il braccio verso la manetta della potenza tirandola a sé con tutta la sua forza sulla frenata rapita di emergenza. Il convoglio si comprime rallentando vertiginosamente mentre i respingenti delle carrozze assorbono la decelerazione. Il meccanismo di frenata, che funziona regolarmente, inizia a far rallentare le prime cinque carrozze ma le sollecitazioni meccaniche e gli urti sotto i carrelli che non trovano l’appoggio spingono uno di quelli della 6a carrozza fuori dalla sede dei binari. È la fine. I vagoni si schiacciano, la 6a carrozza deraglia trascinandosene dietro 8 di 17 che la seguono in velocità. Alcuni ganci di trazione si spezzano facendo dividere il Freccia Del Sud in 3 tronconi con 12 carrozze che schizzano fuori dai binari a zig-zag strappando le traversine e arando il terrapieno che sostiene i binari e con 2 che si rovesciano pesantemente sulla massicciata. In 500 metri di frenata il Direttissimo si trasforma in una lunga biscia nera coperta di sangue che striscia seguita da un tremendo boato che invade i locali vicini alla stazione ferroviaria. La terra trema, nelle abitazioni circostanti qualcuno si affaccia alla finestra. In lontananza delle fiammate rosse e una colonna di fumo si alzano dalle carrozze, il treno è a terra. Mentre il primo pensiero va all’errore umano o ad un cedimento strutturale, all’interno dei vagoni schiacciati le urla sono strazianti, un cimitero di corpi martoriati apre ad una scena è apocalittica, è il caos. Molti passeggeri sono incastrati, altri riescono a liberarsi dal groviglio di ferro e col viso annerito dal fumo e le carni dilaniate dalle lamiere affilate come coltelli si buttano giù dalle vetture attraverso i finestrini cercando in modo disperato e disordinato di afferrare i loro cari. Il caldo è insopportabile così come il calore delle lamiere rese roventi dagli incendi che stanno divampando un po’ ovunque sulla carcassa di quello che fino a poco fa era il Treno Del Sole. Il locomotore e le prime 9 vetture sono oltre lo scambio posto all’altezza del cavalcavia, lato Reggio Calabria, che immette sul primo e secondo binario della stazione, con la cassetta di manovra dello scambio completamente distrutta, travolta mentre veniva superata dai vagoni che l’hanno strappata dalla base. La motrice e le carrozze 1, 2, 3, 4 e 5 sono ferme sul binario a soli 30 metri dalla stazione, la carrozza 6 è deragliata solo con l'asse posteriore, rimanendo stabile. La 7 e la 8, il vagone letto, hanno sviato completamente, su tutti e quattro gli assi, rimanendo però erette. La vettura 9, le cuccette di Seconda Classe, si è staccata dal convoglio a causa dello sbullonamento del carrello numero 2 venendo lanciata per circa 50 metri dove ha solcato profondamente la massicciata andando a urtare alcuni pali di sostegno della catenaria svellendone uno, girandosi parzialmente ed andando a ribaltarsi a cavallo del terzo e quarto binario, fortunatamente vuoti al momento. Dopo lo scambio, la carrozza 10, le cuccette miste di Prima e Seconda Classe, si è inclinata sul lato destro ribaltandosi sulla massicciata ad una distanza di circa 60 metri dal lato del cavalcavia di Palmi. La 11, di Prima Classe, è deragliata su 3 assi ma riuscendo a rimanere in piedi, deviando con un solo asse e rallentando il resto del convoglio. Dalla 12 alla 17 il treno è uscito dai binari. Lo spostamento dell'ago dello scambio i cui tiranti sono stati distrutti dai primi veicoli incidentati ogni vettura è deragliata con tutti e quattro gli assi. Poi si è spezzato di nuovo, con la carrozza 18 staccatasi dal troncone assieme al bagagliaio fuoriuscendo dalla sede dei binari scavando la massicciata e inclinandosi su un lato. Mentre si è in attesa dei Vigili del Fuoco che devono arrivare da Palmi, Cittanova e Reggio, che dovranno tagliare le lamiere coordinati coi reparti della Celere e dei Carabinieri di stanza a Reggio chiamati ad intervenire in soccorso ai feriti con gli ospedali di Reggio, Palmi, Polistena e Taurianova già allertati, le persone continuano a fuggire dai vagoni calpestandosi a vicenda, ferendosi a loro volta con pezzi di ferro appuntiti che strappano pezzi di carne ad ogni passaggio. Arrivano i soccorsi, finalmente, tra il pianto e la disperazione e inciampando tra una montagna di bagagli coperti di sangue. Un meccanico, che ha la sua bottega vicino alla stazione ferroviaria, con la fiamma ossidrica tenta di aprirsi un varco nel groviglio di lamiere di una delle due carrozze rovesciate. La sua attenzione, attirata dai lamenti che provengono da dietro alcuni pannelli di alluminio, lo spinge a creare uno squarcio proprio lì, sufficientemente grande a far passare un uomo, ma la figura che lo attendeva, una donna anziana vestita di nero, è già morta. Il bilancio finale della tragedia sarà di 6 morti di cui 5 donne e un uomo, tutti tra la 9a e la 11a carrozza, tutti siciliani tranne uno, campano, sono completamente dilaniati, sfigurati. I feriti saranno 66 di cui molti in gravissime condizioni, verranno uno ad uno fatti sdraiare sulle traversine mentre il parroco del Duomo, con indosso la stola violacea, passerà lungo l’interminabile convoglio di dolore per una carezza ai feriti e l’estrema unzione ai morti, inginocchiandosi accanto a quello che resterà dei corpi. Questo, uno dei più grandi disastri ferroviari del nostro paese, uno dei peggiori in tema di terrorismo, nonostante il dramma umano passerà inspiegabilmente in secondo piano, quasi neanche menzionato nei futuri libri di storia.

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