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01 febbraio, 2023

Jersey City, Porto, 30 luglio 1916


TIPOLOGIA: sabotaggio
CAUSE: carica occultata
DATA:
30 luglio 1916
STATO: New Jersey
LUOGO:
Jersey City, Porto
MORTI:
4
FERITI:
173

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

Sono passati due anni dall'inizio della Prima Guerra Mondiale e l'area metropolitana di New York è diventata il centro nevralgico dell'industria bellica americana. Il 75% delle munizioni e degli armamenti spediti dagli Stati Uniti d’America verso l’Europa escono da Black Tom, il più importante centro di stoccaggio, assemblaggio e spedizione in America per le munizioni e gli esplosivi inviate agli stati alleati sul fronte europeo, e probabilmente anche il punto di stallo dell'arsenale più ampio al di fuori della zona di guerra. Di proprietà della Lehigh Valley Railroad Company, dopo la bonifica e la creazione di un’isola artificiale di 10 ettari nel 1880, la compagnia aveva successivamente bonificato e colmato il vuoto annettendola alla terraferma di Jersey City, dove prima era collegata solo tramite una ferrovia e una strada sopraelevata. Il suo nome si dice venga da un pescatore nero che aveva vissuto sull'isola per molti anni. Inizialmente utilizzato come cantiere e deposito della National Dock and Storage Company il molo si trova di fronte alla Statua della Libertà, nel porto di New York nella sezione di Greenville. Negli immensi magazzini di Black Tom sostano quotidianamente i materiali “di guerra” fabbricati negli stati nord-orientali, dove rimangono per qualche giorno prima di essere imbarcati e inviati alle Potenze Alleate d'Inghilterra, Francia, Italia e Russia. Mentre questi sono impegnati nel conflitto contro le Potenze Centrali, la Germania e l'Austria-Ungheria, il Presidente Woodrow Wilson ha dichiarato la propria neutralità, ma i diritti americani alla "libertà dei mari" sono lesi dal controllo britannico delle strade marittime atlantiche. Quella che gli Stati Uniti d’America non vedono è una guerra parallela segreta che la Germania Imperiale sta combattendo proprio sul loro territorio atta ad impedire la ricezione britannica del munizionamento dagli Stati Uniti d’America. Educati, industriosi e ben vestiti, ai tedesco-americani è permesso di integrarsi nella società con pochi attriti iniziali rispetto ad altri gruppi etnici. Uno di questi nuovi arrivati in America è il Conte Johann Heinrich von Bernstorff, ambasciatore tedesco a Washington. Era arrivato nel 1908 con al seguito non un personale diplomatico ma con preparati ed addestrati operatori d’intelligence. Aveva portato con sè il Barone Franz Joseph Hermann Michael Maria von Papen, arrivato dal Messico dove aveva combattuto per il Generale Victoriano Huerta, il responsabile per le questioni navali in Nord America Karl Boy-Ed e dei suoi collaboratori Heinrich Friedrich Albert, funzionario, diplomatico, politico, uomo d'affari e avvocato, e Felix Sommerfeld e Horst von der Goltz, entrambi agenti del controspionaggio tedesco. Con un fondo nero di milioni di dollari von Bernstoff e le sue spie miravano ad assistere gli sforzi bellici tedeschi oltreoceano con ogni mezzo necessario, finanziando azioni di sabotaggio in tutto il paese, boicottando e facendo ostruzionismo. In questi anni Von Bernstorff non solo ha contribuito ad ottenere i passaporti per i cittadini tedeschi che volevano eludere il blocco alleato, ma ha finanziato il fallito attentato dinamitardo del Canale di Welland del 1914, quello riuscito allo stabilimento Roebling Wire and Cable a Trenton del 1915, l’affondamento di una nave mercantile americana per il trasporto del grano in Gran Bretagna nello stesso anno e l’attentato dinamitardo al ponte ferroviario di Saint Croix-Vanceboro nel 1916. Ha tra le sue migliori spie il Capitano Franz Dagobert Johannes von Rintelen, ufficiale dell’intelligence navale arrivato negli Stati Uniti nel 1915 presentandosi come uomo d'affari e fondando subito una società fittizia chiamata Bridgeport Projectile Company, attraverso la quale ha cercato di acquistare il maggiore quantitativo di esplosivo possibile per poi distruggerlo. Il suo obiettivo è sia quello di creare delle carenze sul mercato americano al fine di impedire che l’Europa acquisti munizioni, sia quello di sabotare le navi americane da trasporto. Assieme al chimico tedesco Walter Scheel, von Rintelen ha messo punto la versione definitiva di una bomba incendiaria tascabile ad orologeria: “la bomba matita”. Il prototipo era costituito da un cilindro cavo di piombo delle dimensioni di un grosso sigaro. Al centro del tubo era pressato e saldato un disco circolare di rame che lo divideva in due camere separate. Una di queste camere era riempita con Acido Picrico, composto organico scoperto dal chimico tedesco Johann Rudolph Glauber nel 1742, finito di sintetizzare correttamente nel 1841 e scoperto come esplosivo nel 1873 dal chimico anglo-tedesco Hermann Sprengel, mentre la seconda era riempita con acido solforico. Un robusto tappo di cera da una parte e un semplice tappo di piombo dall’altra rendevano entrambe le estremità ermetiche. Lo spessore del disco di rame era invece variabile a seconda della temporizzazione voluta. Per un disco spesso i due acidi impiegavano molto tempo ad unirsi, per uno sottile la mescolanza avveniva entro pochi giorni, trasformando a tutti gli effetti il disco di rame in una spoletta a tempo sicura ed affidabile. Il Capitano von Rintelen durante la progettazione della bomba matita aveva istruito due elementi d’elitè per le operazioni di sabotaggio: il 21enne Lothar Witzkem, ufficiale della marina tedesca, spia e sabotatore arrivato sotto falso nome a San Francisco dopo essere scappato da una prigione cilena, e il 34enne Kurt Jahnke, cittadino tedesco naturalizzato americano e agente dei servizi segreti. Von Rintelen aveva inoltre richiesto l’appoggio logistico della SS Friendrich Der Grosse, un transatlantico di una delle più importanti compagnie di navigazione tedesche, la Norddeutshcher Lloyd, ormeggiato nel porto di New York e trasformato provvisoriamente in laboratorio adibito alla fabbricazione del primo lotto del nuovo tipo di ordigni incendiari. Come banco di prova per testare l’efficacia del congegno era stata scelta la nave da trasporto italiana SS Phoebus. Il bastimento di 3.100 tonnellate aveva preso fuoco in mare costringendo la nave da battaglia classe King Geoge V, l’HMS Ajax, a rimorchiarlo nel porto di Liverpool. Con i nuovi ordigni incendiari tascabili, Lothar Witzkem e Kurt Jahnke si sono addestrati per infiltrarsi nel complesso Black Tom come guardie notturne in modo da guadagnarsi col tempo la fiducia dei colleghi e avere libero accesso a tutta l'area. Con l’ausilio di un contatto all’interno, dopo settimane di preparazione, il piano messo a punto in un appartamentino di New York al civico 123 della Quindicesima strada era pronto. Si sono serviti di un certo Michael Kristoff, un immigrato austriaco di 23 anni che lavora per la Tidewater Oil Company a Bayonne, non lontano dal molo di carico degli armamenti. Kristoff è un volto familiare e non avrebbe avuto problemi ad introdurre delle facce nuove senza destare sospetti. È un fanatico sociopatico ma è motivato nel voler fermare una guerra che va avanti ormai da troppo tempo, ed è proprio per queste caratteristiche che è stato studiato per settimane e scelto dai sabotatori tedeschi per il compimento della missione. La notte tra il 29 e il 30 luglio è una notte scura, è da poco passata la mezzanotte e Kristoff, accompagnato da Witzkem e Jahnke, sta percorrendo il molo. Sono silenziosi, sono armati, oggi tutto deve finire. Arrivati al centro dell’impianto, con il favore del buio i tre si dividono, posizionano alcuni ordigni incendiari sulla chiatta, altri sul convoglio in stallo sulle rotaie e gli ultimi nei magazzini. Le bombe sono attive, gli acidi all’interno stanno corrodendo da ore il disco di rame che li separa. Mentre i due sabotatori si allontanano con un barchino salpato dal molo della National Docks and Storage Company e il terzo si dilegua a piedi, il sabato sera si è ormai trasformato in domenica mattina. Sono da poco passate le due, è ancora buio e le otto guardie sono nel pieno del loro turno. È un’afosa nottata e milioni di zanzare non cessano di martoriarli. Per cercare un po’ di tranquillità hanno acceso da qualche ora dei piccoli focolari in modo da poterle tenere a bada col fumo. Attorno a loro, nel gigantesco Black Tom, lo stoccaggio è immenso. I depositi sono al limite della capienza, all’interno ci sono 12 Tonnellate di Balistite e 25 tonnellate di Cordite in botti. La Balistite era stata ottenuta per la prima volta dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1887 ed è costituita da un 10% di canfora, un 45% della Nitrocellulosa scoperta dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846 e da un 45% di Nitroglicerina, il prodotto sintetizzato dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa. La Cordite era stata ottenuta in Gran Bretagna immediatamente dopo, sostanzialmente una variazione della Balistite. Il chimico britannico Sir Frederick Abel assieme al fisico e chimico Sir James Dewar avevano brevettato nel 1889 una sua formula modificata composta da 58% di Nitroglicerina, 37% di Nitrocellulosa e 5% di vaselina. Accanto, impilate l’una sull’altra, ci sono 229 tonnellate di alto esplosivo in cariche di artiglieria di vario calibro per obici, cannoni per carri, artiglieria ferroviaria, artiglieria campale media, pesante e superpesante, tutte prive di spolette, i congegni di innesco ad urto, chimici e ad orologeria da avvitare sul naso delle granate prima dell’uso. Queste sono ordinate in file per calibro: le prime sono le granate da 155 millimetri con ogiva in ghisa acciaiosa dal peso di 43,1 chilogrammi e armate con una carica di 10,3 chilogrammi di esplosivo di due tipologie. La prima è l’Amatolo 60/40, una miscela esplosiva creata durante le prime fasi della guerra dalle forze armate britanniche e costituita da 60% in peso di Nitrato d'Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, e 40% in peso di Trinitrotoluene, il Tritolo, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand. La seconda è la Melinite, una variazione dell’Acido Picrico, variazione adottata dal governo francese del 1885 aggiungendo al composto la Nitrocellulosa. Immediatamente dopo ci sono le granate da 220 millimetri con ogiva in acciaio del peso di 188 chilogrammi e armate con una carica da 32 chilogrammi di Melinite. Ci sono anche le granate da 305 millimetri con ogiva in acciaio, alcune hanno un peso di 445 chilogrammi e sono armate con una carica di 114 chilogrammi di Trinitrotoluene, altre hanno un peso di 295 chilogrammi e sono armate con una carica da 85 chilogrammi di Nougat, una miscela composta da una percentuale del 70% di Tritolo e 39% di Schneiderite, prodotto francese di recente invenzione costituito da un 87,40% di Nitrato d’Ammonio e da un 12,60% di binitronaftalina, altre ancora hanno un peso di 340,5 chilogrammi e sono armate con 97 chilogrammi di Lyddite, una ulteriore variazione dell’Acido Picrico inventata nel 1888 a Lydd, nella regione del Kent, in Gran Bretagna, dove si erano aggiunte al composto vaselina e di dinitrobenzolo. In fondo, le più grandi di tutte, sono impilate le granate da 340 millimetri con ogiva in ghisa del peso di 760 chilogrammi e armate con una carica da 148 chilogrammi di Schneiderite. Fuori dai magazzini, fermi sulle rotaie, 87 vagoni merci sono in attesa delle operazioni di scarico. All’interno sono stipate 30 mila casse di Dinamite a base attiva del peso complessivo di 900 tonnellate. Questa, fortemente esplosiva, brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e composta dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, e miscelata con Nitrocellulosa ad alto contenuto di azoto, è solo una parte del carico. Gli ultimi vagoni sono dedicati al Trinitrotoluene in casse per un peso di 250 tonnellate per la versione secca e 438 per quella umida. A pochi metri c’è il molo, ormeggiata alla banchina c’è la Johnson Barge No 17, una chiatta in fase di immagazzinamento, la sua stiva, piena per il 20%, contiene 46 tonnellate di Trinitrotoluene e 417 casse di miccia detonante, la nuova miccia esplosiva messa a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914 con l’anima in Pentrite, uno degli esplosivi più potenti, preparata per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens. Questo è uno stoccaggio eccezionale anche per gli standard del Black Tom, 1.900 tonnellate tra cariche di munizionamento ed esplosivo sfuso sono decisamente troppe per i protocolli di sicurezza portuali. Sono le ore 01:00, mentre gli otto guardiani sono ancora rannicchiati attorno ai fuochi tenendo lontane le zanzare, i dischi di rame all’interno delle bombe matita sono consumati. Il primo si apre, gli acidi si incontrano, una fiamma silenziosa e intensa lunga 30 centimetri divampa da entrambe le estremità sciogliendo in pochi secondi l’involucro di piombo. L’ordigno, studiato e occultato in modo da creare in pochissimo tempo il peggiore degli incendi, ha innescato una reazione a catena che è impossibile fermare. Una delle guardie scorge del fumo provenire da uno dei vagoni ferroviari, si avvicina, magari è una delle tante lanterne accese, ma la lanterna è al suo posto, il fumo viene da dietro le casse. Uno sguardo di terrore lo impietrisce, corre a chiamare gli altri, ma non fa in tempo ad avvisarli, un secondo vagone inizia a fumare, poi un terzo, e un quarto. Le guardie non sanno cosa fare, si guardano, c’è dell’altro fumo che proviene dai magazzini, una dopo l’altra le bombe si sono attivate, anche la chiatta ha preso fuoco. Black Tom è perduto, in un disperato tentativo viene fatto suonare l’allarme antincendio collegato col Dipartimento dei Vigili del Fuoco di Jersey City ma le fiamme sono già alte, minuto dopo minuto gli incendi diventano sempre più grandi, l’intero stoccaggio è diventato una bomba ad orologeria. Sono le ore 01:20, i Vigili del Fuoco di Jersey City arrivano ma non c’è più niente da fare, l’unica possibilità è scappare e cercare di salvare più vite possibili accendendo le sirene per svegliare la popolazione. Anche i rimorchiatori, arrivati per agganciare le navi in modo da allontanarle dal molo, invertono la rotta. È finita. Sono le ore 02:08, il carico della Johnson Barge destinato a fornire munizioni alla Russia per sei mesi raggiunge il punto critico, la chiatta salta in aria spazzando via il molo e investendo in un decimo di secondo i magazzini e i convogli. Un terremoto di magnitudo 5,5 scuote la terra fino a Philadelphia. Il terreno si solleva, si apre, le banchine vengono vaporizzate, il deposito del Black Tom con i suoi veicoli di carico, ferrovie, magazzini, chiatte, rimorchiatori e pontili viene cancellato, le imbarcazioni vengono affondate. L’aria diventa rossa, incandescente. Le superfici friggono, fumano, nei cimiteri, lapidi e monumenti si rovesciano e le tombe si scoperchiano fuori dal terreno, i residenti di Jersey City vengono svegliati dal gigantesco boato seguito da un’onda d’urto che viaggiando a 7.300 metri al secondo si inoltra nell’entroterra per 150 chilometri. Chi dorme viene buttato giù dal letto, un bambino di 10 settimane muore sul colpo sbalzato dalla culla e scaraventato contro la parete della camera da letto. La parete esterna del municipio di Jersey City crolla, la torre dell’orologio del Jersey Journal a Journal Square si ferma, il Ponte di Brooklyn oscilla, le vetrate della chiesa di San Patrizio sono fatte a pezzi e la gonna, il braccio e la torcia della Statua della Libertà si aprono. Dall'altra parte del fiume, i telai delle finestre esplodono, le porte si scardinano, i pali dell’alta tensione si piegano, quelli delle linee telefoniche si strappano, le edicole in legno vengono appiattite. Il cielo è illuminato a giorno, fino a 90 chilometri di distanza saltano le finestre, le strade di Lower Manhattan, Times Square, Staten Island, Brooklyn, Philadelphia sono bombardate da una pioggia di vetro. Mentre in alto continua a sollevarsi una palla di fuoco seguita da un fungo di polvere, detriti e fumo, in basso i convogli ferroviari, 13 magazzini e sei moli sono un ricordo. Il cratere di 110 metri di lunghezza e 50 di larghezza, fulcro di quella spaventosa esplosione diventa in un minuto e mezzo un laghetto disseminato di rottami fumanti. In pochi minuti i residenti di Jersey City si riversano in strada in preda al terrore. C’è chi in ginocchio prega e chi fugge senza una meta. I mezzi di emergenza che pian piano arrivano sul posto non hanno la minima idea di quello che li aspetta. Altre esplosioni scandiscono le timide operazioni di soccorso, la città è nel panico e l’interruzione delle linee telefoniche ha creato un totale blackout informativo. I feriti sono a decine, in 173 vengono trasportati negli ospedali, l’intera zona è inghiottita dal fuoco. Gli immigrati in stallo ad Ellis Island sono evacuati, 553 persone che vivevano sulle case galleggianti rimangono senza una casa. Grazie all’ora tarda il numero dei decessi sarà basso, un bambino, due agenti di polizia e un comandante a bordo della sua chiatta a poche decine di metri dalla Johnson Barge. I sabotatori hanno vinto in silenzio l’equivalente di una battaglia importante inaugurando il primo grande attacco terroristico sul suolo degli Stati Uniti d’America da parte di un potere straniero.

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01 dicembre, 2022

Silvertown, Fabbrica Brunner Mond & Co, 19 gennaio 1917


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
19 gennaio 1917
STATO:
Inghilterra
LUOGO:
Silvertown, Fabbrica Brunner, Mond & Co
MORTI:
73
FERITI: 438

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 19 gennaio 1917, siamo a Silvertown, in una Inghilterra degli anni ’10 in guerra ed in continua evoluzione. Qui, sviluppato in un’importante area industriale dagli inizi del XIX secolo, il sobborgo del West Ham è cresciuto grazie al Metropolitan Building Act del 1844, una legge che limitava gli scambi di merci ad alto rischio all'interno dei confini di Londra. Proprio per la posizione fuori Londra, appena fuori da questi confini, con la sua estensione di 4,8 chilometri da est a ovest era il luogo ideale per le imprese che volessero trattare questo tipo di materiali. L'area, originariamente palustre e che offriva un facile accesso sia alle spedizioni via mare che alla forza lavoro, era abitata nel 1800 solo da 6.500 persone, numero destinato a crescere fino al superamento delle 300 mila unità nel 1900. Silvertown, nome proveniente dalla fabbrica di gomma SW Silver & Co. India fondata nel 19mo secolo, col tempo è diventata un’isola industriale sulla riva nord del fiume Tamigi, e assieme alle vicine Canning Town e West Ham, la più grande area manifatturiera nel sud dell'Inghilterra con attività che variano, tra le tante, dai produttori di sapone, ai mulini, alle raffinerie di zucchero, ai depositi di olio, tintorie e depositi di legname. Le fabbriche e le raffinerie costruite in questo sobborgo sono provviste di moli e dal punto di vista dei trasporti sono completamente autonome. Una di queste si trova a Crescent Wharf, sulla sponda sud del Tamigi. Costruita nel 1893 dalla Imperial Chemical Industries dove nel 1894 la ditta chimica Brunner, Mond & Co. aveva avviato le proprie attività, la fabbrica si era avviata con la produzione di cristalli di sodio, e in uno stabilimento più piccolo e poco distante, con l’idrossido di sodio, commercialmente noto come soda caustica utilizzato nella sintesi di coloranti, detergenti, saponi, nella fabbricazione della carta e nel trattamento delle fibre del cotone nonché nella produzione dell'ipoclorito di sodio, noto nell'uso comune come sbiancante e disinfettante col nome di candeggina. Quanto lo stabilimento più piccolo era stato chiuso nel 1912 col termine della produzione della soda caustica, la crescente domanda di munizioni trainata da una guerra dolorosamente rivelata più lunga del previsto, soprattutto per un paese non preparato a sostenere un conflitto così lungo e con sempre più necessità di riempitivi esplosivi affidabili, il governo inglese lo aveva rimesso operativo due anni dopo riadattandolo nel settembre del 1915 alla produzione del Trinitrotoluene. Esplosivo molto potente preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania l’anno dopo col nome di Tritolo o Tnt, grazie al vantaggio di essere un prodotto particolarmente stabile che gli permette di essere fuso a temperature relativamente basse, colato facilmente in forme diverse come testate di siluro o proiettili dirompenti ottenendo una forma perfettamente compatta, è adottato dalle forze armate come riempitivo dei proiettili d’artiglieria come sostitutivo della Lyddite, esplosivo altamente sensibile, troppo. Utilizzata fino al 1907, anno della sua sostituzione, la Lyddite era una variazione ottenuta aggiungendo dinitrobenzolo e vaselina nel 1888 in Gran Bretagna, nella città di Lydd, nella regione del Kent, dell’Acido Picrico, un composto organico scoperto dal chimico tedesco Johann Rudolph Glauber nel 1742, finito di sintetizzare correttamente nel 1841 e scoperto come esplosivo nel 1873 dal chimico anglo-tedesco Hermann Sprengel. Il vantaggio dei nuovi proiettili al Tritolo, essendo questo un prodotto ad alta stabilità poiché sotto l'urto di una massa battente del peso di 2 chilogrammi non detona se non da un’altezza di caduta di 80 centimetri, e ad alta velocità di detonazione, 7.800 metri al secondo, è che questi esplodono dopo aver sfondato la corazza del bersaglio, solitamente navale, e non al primo contatto con essa, cosa che non succedeva coi proietti precedenti. La facilità al maneggio, l’assoluta stabilità e la buona potenza, fanno sì che questo esplosivo si sia imposto fino ad ora come il migliore tra quelli conosciuti per usi bellici. La sua unica limitazione però è la scarsa possibilità di rifornimento della materia prima, il toluolo, i cui approvvigionamenti sono in questo momento insufficienti per l’eccessiva domanda, motivo per cui una buona parte del prodotto finito della Brunner, Mond & Co. andrà poi a fondersi con altri elementi per creare nuovi esplosivi utili al caricamento delle munizioni. La direzione della Brunner, Mond & Co. non è mai stata felice di avere nei propri impianti questo tipo di raffineria, sia perché circondata da altre attività contenenti materiali altamente combustibili come petrolio, creosoto, farina e legno, sia per la presenza a soli 200 metri delle fitte file di case dei lavoratori. Ma la sua abbondanza di manodopera e il facile accesso ai porti la rendevano una posizione troppo buona per essere trascurata tanto che la pressione continua della politica al Dipartimento per il Rifornimento degli Esplosivi ha costretto lo stabilimento fin dalla sua riconversione ad una produzione di 9 tonnellate giornaliere, un’enormità. Il lavoro prosegue senza particolari intoppi da 14 mesi, con occupati 63 lavoratori su tre turni al fine di garantire le tre fasi della nitrazione del toluolo in una produzione continua 24 ore su 24 senza mai fermare i giganteschi e robusti recipienti di ghisa riscaldati contenenti gli agitatori ad elica. In ogni recipiente, il cui riscaldamento è garantito da un’incamiciatura esterna e un circuito acqua-vapore, al toluolo puro di partenza nel peso di 500 chilogrammi vengono aggiunte 3 tonnellate di un miscuglio composto da un 60% di acido solforico e 20% di acido nitrico. Nella nitrazione, effettuata ad una temperatura iniziale non superiore a 40 gradi centigradi e terminale di 60, si ottiene il mononitrotoluene, un prodotto intermedio, impiegato in un secondo apparecchio nitratore per estrarre dall'acido riguadagnato quei quantitativi di Tritolo che rimangono sciolti nell'acido stesso, operazione questa che serve ad aumentarne il rendimento. In ultima fase, il prodotto ottenuto viene portato, mediante tubazioni riscaldate con mantello esterno di vapore in modo da conservarsi perfettamente fluido, in altri recipienti simili ai precedenti dove per due ore viene ulteriormente e definitivamente nitrato attraverso anche il graduale aumento della temperatura portata a 125 gradi centigradi prima del lavaggio finale. Col lavaggio del prodotto fuso proveniente dall'ultima fase si inizia raccogliendolo in un tino di piombo pieno d'acqua fredda tenuta violentemente in agitazione con aria compressa. Si ha in questo modo una prima granulazione dove, una volta che l’acido viene eliminato dall’acqua di lavaggio cambiata ripetutamente, i granuli sono passati in apparecchi di purificazione costituiti da altri tini di piombo con braccia agitatrici di legno e metallo in lento e continuo movimento. Il raffreddamento crea una cristallizzazione molto minuta, migliore condizione questa per avere una purificazione cristallo per cristallo e questa avviene in una soluzione concentrata di solfito di soda lavata prima con una soluzione cloridrica e poi con acqua pura. Nell’ultima parte della linea di produzione, con l’essicamento il Tritolo viene prima fuso nuovamente in tini vaporizzati e lasciato a riposare per alcune ore, poi è fatto passare in un labirinto riscaldato esternamente a vapore dove gli vengono fatte perdere le ultime sostanze estranee prima di essere filtrato e granulato tramite agitamento in un cilindro raffreddato ad acqua. Al termine del processo di raffinazione, controllato meticolosamente dall’inizio alla fine dal dottor Andreas Angel, un professore di Oxford che svolge qui attività volontaria come capo chimico, il prodotto finito ridotto a scaglie, pronto a servire alle successive operazioni di fusione o compressione, viene raccolto in sacchi di cotone e caricato a mano su vagoni ferroviari per essere spedito alle fabbriche di munizioni o ad altri stabilimenti, dove verrà incamerato singolarmente nelle ogive di bombe e proiettili o sarà unito, con un altro processo, in proporzioni variabili al Nitrato d'Ammonio. Questo, un fertilizzante preparato e descritto nel 1659 da Johann Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma, era stato scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. Assieme al Tritolo nelle percentuali del 60/40, 50/50, 80/20 è ottenuto l’Amatolo, una neonata miscela esplosiva creata dalle forze armate britanniche, meno costosa, potente quasi quanto il Tnt ma con lo svantaggio di essere igroscopica, cioè con la capacità di assorbire umidità nell’aria e quindi diventare pressoché inutilizzabile dopo lunghi periodi. Oggi 19 gennaio è un gelido venerdì sera, sono le ore 18:46 e le fabbriche sono in chiusura, ma non tutte. Lo stabilimento della Brunner, Mond & Co. è operativo, dieci uomini e dieci donne sono al lavoro all’interno dei locali accanto alla linea di produzione. All’esterno due bottai stanno chiudendo un vagone ferroviario, l’ultimo di una lunga fila in attesa di essere spedita nelle prime ore della mattina. A 200 metri, dove nelle case a schiera le persone sono nella zona giorno al piano terra, c’è chi prepara la cena, chi legge, chi invece gioca con figli. Qualcuno sente delle urla in lontananza, vengono dallo stabilimento, c’è del fumo è scoppiato un incendio. Si è sviluppato per un corto circuito nella stanza di uno dei crogioli della linea di produzione e si sta propagando velocemente, troppo velocemente. Sono i due bottai ad averlo visto per primi, poi le fiamme sempre più alte che locale dopo locale dilaniano ogni cosa. Non essendo di stanza sul posto una squadra antincendio, i due operai danno l’allarme con grida e fischi agli altri che in pochi secondi lasciano il posto precipitandosi fuori. Qui, un agente di polizia corso nel piazzale dall’esterno gli indica la direzione. È George Greenoff, un ufficiale della Royal Marine in servizio fuori dalla fabbrica, sa cosa vuol dire affrontare un incendio in presenza di esplosivi, sa che non tornerà nella sua casa di Rhea Street, a North Woolwich, sa che non rivedrà suo figlio Edward, di otto anni. Nello stabilimento il capo chimico è ancora dentro, mentre sta cercando con l’operaio George Wenbourne di contenere le fiamme che si sono allargate al piano superiore, in basso prive di controllo sono arrivate ai vagoni. In lontananza i residenti si sono riversati in strada, alcuni, ignari del pericolo assistono alla scena, altri si allontanano il più possibile in tutta fretta. Nelle abitazioni più distanti invece nessuno si è accorto di nulla: c’è chi legge, chi prepara la cena, chi gioca coi figli, ignari completamente di quello che sta per succedere nello stabilimento a qualche centinaio di metri dove nel piazzale appena fuori dalla recinzione, allertata da un ragazzo in strada è arrivata la squadra di pompieri di West Ham. Frederick Sell, 45 anni e il sottoufficiale Henry Vickers, 49 anni, entrambi di Fort Street, smontano dal camion nonostante gli venga urlato di non farlo. Mentre i due corrono con le manichette oltre gli enormi cancelli e altri accanto al camion si occupano di srotolare il tubo e allacciarlo alla cisterna dell’autopompa, una vampata avvolge le prime sale di stoccaggio al primo piano sfogando fuori dalle finestre. I volti dei presenti sbiancano, sono le ore 18:52. In una fulminea reazione a catena l’impianto esplode innescando i depositi al piano terra e i vagoni in stallo sui binari. Con un gigantesco boato 50 tonnellate di Trinitrotoluene saltano in aria. Londra trema, le luci della città si spengono, i vetri vanno in pezzi mentre il cielo si illumina a giorno. Una bolla di 39 milioni di litri di gas ad alta pressione avvolge la fabbrica disintegrando la linea di produzione, i depositi e la stazione, attraversa i piazzali chiudendo dietro di sé i pesanti cancelli fino a scardinarli lanciandoli in aria per due chilometri assieme all’autopompa. L’esplosione, così potente da sentirsi fino a Norwich, a 190 chilometri di distanza, schiaccia la zona industriale, 7 ettari tra moli e strade sono attraversate da un muro d’aria che strappa via le strutture dalle fondazioni. Dopo aver spazzato via la stazione dei pompieri, la fabbrica di compensato Vanesta e i locali commerciali dei Royal Victoria Docks di Canning Town, aver dilaniato le navi ormeggiate, la banchina e i due serbatoi d’olio combustibile della Silvertown Lubricants Oil, l’onda di sovrappressione oltrepassa il fiume raggiungendo il gasometro sulla penisola di Greenwich. 200.000 metri cubi di gas esplodono con una gigantesca palla di fuoco che illumina la notte inondando il cielo di lingue di fuoco e metallo mentre la sfera d’aria prosegue la sua corsa verso la zona residenziale. Mentre i piani alti vengono dilaniati i residenti, sorpresi nel pieno delle faccende domestiche, cercano di mettersi in salvo come possono nascondendosi sotto i tavoli. Ad alcuni va peggio, scaraventati fuori dalle finestre da un’onda d’urto che semina distruzione per chilometri. Dopo la tempesta arriva il silenzio, un silenzio quasi irreale ma che dura poco perché le strutture strappate da terra ricadono in pezzi su tutta l’area. Le coperture dei capannoni e delle case sono colpite da una pesante grandinata di metallo, legno e cemento. Lo scenario che gli si presenta davanti ai soccorsi che stanno arrivando da ogni parte di Londra è spettrale. Non è rimasto in piedi praticamente niente e quello che miracolosamente ha resistito sta bruciando. La stazione dei vigili del fuoco di Silvertown costruita solo tre anni fa non c’è più, così come la vicina scuola e la St. Barnabas Church su Eastwood Road. 974 abitazioni sono sparite, 69.837 sono pesantemente danneggiate, sul Tamigi le navi sono avvolte dalle fiamme così come i magazzini, i capannoni, i negozi, anche le 32 scuole non sono state risparmiate. I cereali dei due mulini, sollevati in aria dopo lo squarciamento della struttura, trasformati in fuoco e trasportati dal vento stanno appiccando incendi per chilometri. Dalla città di Kent, a 62 chilometri di distanza, i passanti stanno assistendo alla notte di Silvertown trasformata in giorno. Le strade sono disseminate di detriti, macchinari volati per aria, alcuni del peso di svariate tonnellate, sono precipitati sulle fabbriche e le case degli operai. Anche la caldaia dello stabilimento è volata via, ora si trova al centro della strada in una massa informe di metallo del peso di 15 tonnellate. 73 persone sono state fatte a pezzi, 438 sono rimaste ferite, molte sono gravissime. I danni sono incalcolabili. La fabbrica della Brunner, Mond & Co. non c’è più, al suo posto c’è un grosso cratere con dentro morti e macerie e tra questi c’è anche il dottor Angel, o quello che ne resta. Per strada i corpi giacciono contorti, smembrati, uomini, donne, anche bambini, qualcuno è sotto tonnellate di mattoni, qualcun altro sopra un muretto. Ci sono madri che cercano i figli, e poi gruppi di persone, stordite dall'accaduto e molte sanguinanti con addosso le giacche di chi le ha soccorse, che scavano assieme all’esercito e ai volontari tra le macerie di case e negozi alla ricerca di qualcuno che forse non rivedrà più. George Greenoff, colpito alla testa da una scheggia è a terra privo di sensi, morirà tra nove giorni in ospedale. Chi riesce a camminare viene medicato per strada in stazioni di pronto soccorso allestite all’aperto, la chiesa di San Barnaba, trasformata in ospedale, viene destinata ai casi più gravi mentre il Queen Mary's Hospital, diventato una gigantesca camera mortuaria, è in attesa dei primi corpi senza vita. La risposta locale è enorme ed immediata. L'esercito, i servizi di emergenza, le organizzazioni di beneficenza, i funzionari del governo locale e le persone comuni si precipitano per dare una mano come possono. Anche l’organizzazione dell’Esercito della Salvezza si è mobilitata aprendo nove rifugi presso scuole, chiese e ampi locali per fornire immediatamente alloggio, cibo e bevande calde. Qualcuno apre addirittura le porte di casa per dare riparo a chi una casa probabilmente non l’ha più, sono migliaia. Ci vorranno quattro giorni per spegnere i roghi e due mesi per rendere la zona nuovamente accessibile. Gli aiuti e i risarcimenti saranno ingenti e arriveranno da tutto il Regno Unito, anche dal Primo Ministro David Lloyd George e da Re Giorgio V, un piccolo gesto consolatorio per confortare, anche se in piccola parte, le famiglie delle vittime di quella che rimarrà per anni a venire la più grande esplosione nella storia di Londra. 

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01 gennaio, 2022

Bombay, Victoria Dock, 14 aprile 1944

 

TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
14 aprile 1944
STATO: India
LUOGO:
Bombay, Victoria Dock
MORTI: 1.238
FERITI:
2.583

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È venerdì 14 aprile, sono le ore 13:30, è un mite pomeriggio di primavera a Bombay e qui, nella Capitale dello stato del Maharashtra, prima città per densità di popolazione, il porto è gremito di navi da guerra. Trovandosi sulla costa occidentale e possedendo un profondo porto naturale che movimenta quasi la metà del traffico merci marittimo dell’India, Bombay è anche un’importantissima base navale e un centro logistico fondamentale per il progetto di invasione del Giappone. Le navi in porto battono tutte le bandiere degli alleati, soldati europei, asiatici, americani, affollano la città comprando ricordi come i variopinti sari di seta, elefanti d'Avorio e bastoncini di incenso cinese. Come ogni giorno lungo i moli si lavora a pieno regime, i turni sono duri e molti materiali da movimentare sulla banchina presentano un grado di pericolosità elevano tanto da mantenere il livello di attenzione degli operatori addetti al carico e scarico costantemente alto. Alcuni di questi, appena rientrati dalla pausa pranzo iniziata alle ore 12:30, stanno risalendo a bordo del mercantile norvegese per carichi pesanti M/S Belray. Uno dei primi, nello scendere in una delle due stive ha appena notato con la coda dell’occhio un filo di fumo fuoriuscire da una delle prese d’aria della stiva di una nave ormeggiata nel Victoria Dock, la banchina contigua. Si tratta della SS Fort Stikine, una nave da carico di 7.142 tonnellate di stazza costruita nel 1942 a Prince Rupert, una città portuale nella Columbia Britannica. Il mercantile, dal nome di un ex avamposto della Compagnia della Baia di Hudson situato nell’attuale Wrangell, in Alaska, e di proprietà della War Shipping Administration, l’agenzia di guerra di emergenza del governo degli Stati Uniti d’America incaricata di acquistare e gestire il tonnellaggio di navi civili necessario per combattere la guerra, fa parte di una classe di 198 navi da carico per l’utilizzo dal parte del Regno Unito nell’ambito dello schema Lend-Lease. Questo è un programma promulgato l’11 marzo 1941 in base al quale gli Usa forniscono al Regno Unito, alla Francia libera, alla Repubblica di Cina, all’Unione Sovietica e alle altre nazione alleate, cibo, petrolio e approvvigionamenti militari incluse navi e aerei da guerra, per i quali gli Stati Uniti ricevono in cambio basi militari e navali in territorio alleato durante tutta la durata del conflitto. Il Fort Stikine, arrivato in porto il 12 aprile via Gibilterra, Port Said e Karachi e con le operazioni di scarico iniziate già da una notte con parte di fertilizzante e di olio combustibile già portati a terra, è reduce di una traversata di una cinquantina di giorni dopo avere lasciato l’Inghilterra da Birkenhead carico di munizionamento, bombe aeronautiche, esplosivo sfuso, aeroplani Supermanire Spitfire, approvvigionamenti, e 31 casse di lingotti d'oro del valore di 890 mila sterline destinati a stabilizzare la Rupìa indiana. Dopo una sosta in Pakistan e scaricati a Karachi gli aerei da caccia Spitfire, parte degli approvvigionamenti, delle munizioni e degli esplosivi, ha stivato al loro posto 1.000 barili di olio combustibile, sacchi di riso, legname, rottami di ferro, zolfo, resina, fertilizzanti a base di pesce, e con protesta del Capitano Alexander James Naismith anche 8.700 balle di cotone grezzo, una merce vietata nel trasporto su rotaia da Punjab a Bombay. Chiamati gli altri nella stiva numero 2 per osservare il fumo biancastro venire da babordo, il lato della nave più vicino alla banchina, gli uomini del Belray si precipitano sul ponte per dare l'allarme. Non c’è tempo da perdere, gli operatori di un mezzo antincendio in stazionamento sul molo, allertati dalle grida di quegli uomini che si sbracciano in maniera nervosa, si precipitano sotto la nave con gli idranti ma senza aver dato “l’allarme 2”, ovvero quello per gli incendi su navi con carichi pericolosi, errore al quale il vice-caposquadra, accortosi di tale ingenuità, si affretta a rimediare andando a digitare il numero “290” sul telefono della banchina. Ma il telefono, con grande stupore dell’uomo, è privo di disco combinatore. La situazione precipita. Il vice-caposquadra, percorrendo di corsa la banchina per 170 metri fino alla cabina dell’avvisatore antincendio, rompe il vetro per suonare il campanello, un campanello di un allarme moderato che allerta il centro di controllo ma per l’invio di sole due autopompe. Le lancette dell'orologio della torre del porto stanno segnando le ore 14:16 e dentro il Fort Strike trasformato in una gigantesca bomba galleggiante lunga 135 metri, 180 metri cubi di legname pericolosamente posizionato sopra le balle di cotone accanto ai barili d’olio stanno per innescare una massa di esplosivo gigantesca, mostruosa: 1.395 tonnellate. Nella parte sud-ovest della stiva, contenute in 50.000 casse di legno del peso di 52 chilogrammi ciascuna ci sono i pezzi del calibro 7,7 millimetri, il munizionamento delle 8 mitragliatrici Browning .303 Mark II che armano le tre torrette difensive dei bombardieri quadrimotori pesanti inglesi Avro 683 Lancaster. Ciascun colpo è caricato con Polvere Infume, una invenzione del chimico francese Paul Marie Eugène Vieille che aveva ottenuto un nuovo tipo di polvere da sparo di tipo propellente completamente diverso dalle altre e che sviluppava un’energia tre volte superiore producendo nel contempo fumi di combustione molto ridotti. Questo tipo di esplosivo era stato realizzato unendo una miscela di etere ed alcool al prodotto della gelatinizzazione della Nitrocellulosa, l’esplosivo scoperto nel 1838 dal chimico francese Théophile-Jules Pelouze da carta, lino e cotone, ricetta perfezionata e stabilizzata dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846 contemporaneamente al chimico tedesco Johann Friedrich Böttger. Nella porzione nord-ovest della stiva invece, confezionate in panetti del peso di 200 grammi l’uno e contenute in 7.000 casse di legno del peso netto di materiale equivalente a 34 chilogrammi ciascuna ci sono 238 tonnellate di esplosivo sfuso di tipo "A" ad alta sensibilità. Questo è il Trinitrotoluene, un esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt. Immediatamente accanto, impilate ordinatamente le une sulle altre nella parte nord-est della stiva ci sono le bombe aeronautiche e sono del tipo a caduta libera con carica di esplosivo ad alta velocità, un tipo di bombe che seguono una traiettoria balistica dopo il lancio in funzione della velocità del mezzo aereo e della sua quota in relazione alla quota del bersaglio a terra. Queste, “per operazioni speciali, ad alta capacità”, sono completamente diverse dalle classiche “per uso generico, a media capacità” utilizzate per le operazioni di bombardamento strategico e tattico con l’impiego di bombardieri a lungo raggio per sganciare grandi quantità di ordigni su parti di territorio nemico dietro la linea del fronte per minarne il morale, il sistema produttivo o le infrastrutture, o per supporto attaccando mezzi e truppe sul campo. Destinate ad un utilizzo chirurgico, preciso e altamente distruttivo, qui dentro ci sono 150 Blockbuster, dei cilindri in acciaio di completa distruzione progettati per scopi di bombardamento in cui è richiesto il massimo danno da esplosione. Sono bombe gigantesche che hanno una configurazione particolare, modulare, poiché le versioni maggiori sono studiate per essere costituite da sezioni affiancate della più piccola imbullonate tra loro. Stoccata nella stiva del Fort Stikine c’è la versione più pesante, misura 741 centimetri di lunghezza per 97 centimetri di diametro ed è costituita da quattro sezioni affiancate della versione più piccola da 782 chilogrammi di peso lunga 224 centimetri con un diametro di 76 e una carica esplosiva di 556 chilogrammi. La grande, pesante invece 5.443 chilogrammi contiene una carica esplosiva di 4.355 chilogrammi, in alcuni casi costituita da Torpex, in altri casi da Amatex. Sono entrambi esplosivi ad alta velocità, il primo è potentissimo, sviluppato nel 1942 presso la Fabbrica Reale Gunpowder, nel Waltham Abbey, nel Regno Unito, è 50% più potente del Trinitrotoluene ed è composto da 40% in peso di questo, 42% in peso di RDX e 18% in peso di polvere di alluminio. Il nome è l'abbreviazione di TORPedo EXplosiv, essendo stato originariamente sviluppato per la testata dei siluri. L’Amatex invece è una miscela esplosiva sviluppata dall’ammiragliato britannico nei primi anni della guerra ed è costituita da 51% in peso di Nitrato d’Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, 40% in peso di Trinitrotoluene e 9% in peso di RDX. Formalmente chiamato ciclotrimetilenetrinitramina, l’RDX ha caratteristiche eccezionali, è stato scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920. “RD” sta per Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, mentre la "X", la classificazione, è nata come lettera provvisoria poi rimasta definitiva. Separati da tutti, a sud-est dello scompartimento dedicato agli armamenti, chiusi in 500 casse ci sono i meccanismi più delicati, i detonatori e le spolette. I detonatori, del tipo a fuoco ed elettrico, sono gli artifizi esplosivi primari in grado di innescare l’esplosivo sfuso. Quelli elettrici, eredi del cilindretto di alluminio inventato nel 1876 da Julius Smith attivati da una scarica elettrica che arroventava un ponticello imbevuto in una soluzione infiammabile e innescava una carica di Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, nella versione “moderna” hanno il medesimo accenditore ma contengono due micro cariche, una secondaria di Pentrite, uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, che innesca una primaria di Azoturo di Piombo, il preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. I detonatori a fuoco invece, eredi di quello inventato da Alfred Nobel nel 1867 consistente in un tubetto di stagno riempito anch’esso di Fulminato di Mercurio, sono attivati da una classica miccia a lenta combustione, un cordone di cotone reso impermeabile con un’anima di Polvere Nera, esplosivo formato da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044 che suggeriva il dosaggio di un 74% in peso di nitrato di potassio, 15% in peso di carbone e 11% in peso di zolfo. Erede del cordone di canapa catramata con l’anima di polvere nera brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford, consente alla fiamma un percorso di un metro ogni 120 secondi. Le spolette invece, chiuse in altre casse di legno separate dai detonatori da un pannello di legno, consentono l’innesco dell’esplosivo contenuto nelle ogive delle bombe. Da montare sul naso delle ogive, questo tipo studiato appositamente per le Blockbuster sono di tipo meccanico, con una molla che rilascia un percussore all’impatto della bomba col terreno che arma il detonatore interno con innesco ad urto. Questo carico, minacciato dalle fiamme che metro dopo metro stanno avvolgendo la stiva, deve essere messo in sicurezza nel più breve tempo possibile. Sono passati 8 minuti dopo il primo squillo di sirena che l'ufficiale del più vicino distaccamento dei vigili del fuoco arriva sul posto con le due autopompe. Dopo aver osservato dall’interno l’incendio ormai già propagato si rende conto che è il cotone ad avere preso fuoco per primo. La causa? Una lanterna creduta spenta e ancora calda poggiata su una delle balle. I minuti passano e le fiamme, che si stanno espandendo con una velocità impressionante, hanno già acceso il legname che sta facendo aumentare esponenzialmente la temperatura nella stiva. Il metallo dei barili di olio combustibile si deforma e alcuni di questi, danneggiati nella movimentazione e nel trasporto ma stivati ugualmente nonostante perdessero olio, stanno per prendere fuoco. L’ufficiale, che sbianca alla vista del carico invia immediatamente “l’allarme numero 2” in modo da allertare altre 8 autopompe che arrivano in pochi minuti, sono le ore 14:35. Gli ultimi ad arrivare sono Norman Coombs, capo dei vigili del fuoco di Bombay, precipitatosi sulla banchina ancora in pantaloncini e giacca sportiva, e il Capitano Oberst, ufficiale dell’Indian Army Ordnance Corps, il corpo d’artiglieria dell’esercito, responsabile degli esplosivi in porto. Hanno in mano una planimetria del mercantile con la disposizione del carico nella stiva. In un velocissimo briefing assieme al Capitano Naismith e al Comandante Longmore della Royal Indian Navy, la forza navale dell’India Britannica, prendono coscienza che se la SS Fort Stikine dovesse saltare in aria sprofonderebbe con tutto il porto e parte della città. Il calore è immenso e tutto intorno l’acqua sta ribollendo, la nave deve essere immediatamente affondata. Ma il Colonnello Carl Liam Sadler, direttore generale del porto, non è d'accordo, il metro e mezzo d’acqua tra la chiglia della nave e il fondale del porto del punto in cui è ormeggiato il mercantile è troppo poco profondo e non coprirebbe neppure la parte inferiore della stiva numero 2. Mentre il Comandante Naismith, confuso da questi consigli contrastanti e titubante sul da farsi, l’olio prende fuoco con le cataste di legname e le balle di cotone diventate un’unica, immensa palla di fuoco. Sono le ore 14:50, mentre si decide se allontanare o no il mercantile dai moli trascinandolo al largo con dei rimorchiatori, 2 motoscafi antincendio arrivati nel frattempo sul posto, il Doris e Panwell, aprono altre 9 manichette sulla nave in fiamme, ma è troppo tardi, la situazione interna precipita vertiginosamente nella stiva diventata un immenso rogo coi pompieri che continuano a rovesciarvi da quasi un’ora 900 tonnellate d’acqua portando il numero delle manichette a terra da 11 a 32. Gli ultimi membri d’equipaggio lasciano il mercantile di corsa ma all’esterno la maggior parte dei portuali, non dando importanza agli eventi che si susseguono davanti alla Fort Stikine, continuano a lavorare come se nulla fosse, complice l’assenza di esposizione della bandiera rossa per indicare un carico pericoloso a bordo, una pratica interrotta in quanto avrebbe identificato tali navi in ​​caso di raid aereo nemico rendendole un bersaglio primario. Inoltre, essendo stata interrotta per lo stesso motivo anche l’obbligatorietà dello scaricamento in chiatte offshore delle merci a rischio come gli esplosivi di tipo “A”, i più pericolosi, praticamente nessuno a parte gli equipaggi e gli ufficiali del porto sapevano il reale contenuto di ogni bastimento. Ciò che i portuali stanno guardando con curiosità è solo un’anonima nave con del fuoco a bordo e delle operazioni di spegnimento, una cosa abbastanza frequente in un porto trafficato come quello, talmente frequente che un marinaio del Jalapadma, una nave da carico ormeggiata a poppa del Fort Stikine, finisce con l'annoiarsi a tal punto nello stare a guardare tutti quegli uomini con le pompe in mano da andarsene sottocoperta a leggere un libro. Solo uno spettatore si è accorto del reale pericolo, un marinaio del Belray, uno che conosce bene gli incendi perché li ha combattuti durante gli incessanti bombardamenti di Londra da parte dei tedeschi. Alla vista delle fiamme che stanno cambiando colore diventando giallo scuro gli riappare davanti agli occhi una frase del suo vecchio manuale d'istruzione antincendio: "fiamme giallo scure, pericolo esplosivi", sono le ore 16:06. L’uomo ha appena il tempo percorrere tutto il ponte del Belray urlando ai compagni di mettersi al riparo prima di gettarsi faccia a terra nel pozzetto del cannone che una fiammata si fa strada lungo i condotti e le aperture del mercantile di fronte levandosi in aria ben oltre l’albero maestro. La Fort Skitine salta in aria, l’esplosione scuote l’aria con tale violenza da mandare in tilt i sismografi dell'Osservatorio dell’Istituto Indiando di Geomagnetismo dell’isola di Colaba. Il mercantile viene spezzato in due scardinando la caldaia dai sostegni e sparandola attraverso le lamiere ad una distanza di 800 metri. La terra trema, a Bombay le strutture si aprono, fino a 1.600 metri i muri crollano, le finestre vanno in frantumi per 12 chilometri. Dal molo un gigantesco fungo di fuoco spazza via qualsiasi cosa lanciando in aria una pioggia di rottami e cotone in fiamme. Sulla banchina un ufficiale viene tagliato in due da un pezzo di lamiera, il Comandante Naismith e il Secondo Ufficiale sono trascinati via davanti all’ispettore marittimo che viene completamente spogliato, i pompieri sono falciati come spighe. In basso il mare si solleva di 10 metri, i bacini vengono devastati da un anello di fuoco che con la potenza di 1.000 uragani attraversa la superficie raggiungendo una dopo l’altra le navi ormeggiate. Il Doris e il Panwell spariscono; il Belray, della Armstrong Whitworth & Co. Ltd e del peso di 4.094 tonnellate viene sbattuto violentemente sul molo; il Jalapadma, la nave da carico inglese da 3.857 tonnellate della Scindia Steam Navigation Company viene divisa in due con la parte anteriore sollevata per 20 metri e scaraventata sul tetto di un capannone e la poppa lanciata per 180 metri; il Baroda, una nave da carico inglese da 3.172 tonnellate di proprietà della British India Steam Navigation Company viene incenerita; la HMIS El Hind, una nave passeggeri da 5.319 tonnellate utilizzata dalla Scindia Steam Navigation Company Ltd e requisita dalla Royal Indian Navy come nave da sbarco, viene scoperchiata assieme alla Fort Crevier e alla Kingyuan, due navi da carico inglesi, la prima di 7.142 tonnellate e la seconda, di proprietà della China Navigation Company, di 2.653 tonnellate; due navi da carico, la General van Sweiten, da 1.300 tonnellate, la General van der Heyden, da 1.213 tonnellate, e il Tinombo, un mercantile costiero da 872 tonnellate, tutte olandesi e di proprietà della Koninklijke Peketvaart-Maatschappij, sono sollevate e rovesciate su un lato dilaniando tra le lamiere 2, 15 e 8 membri dell’equipaggio; le chiglie della nave da carico norvegese Graciosa, da 1.173 tonnellate di proprietà di Skibs A/S Fjeld, e dei due mercantili panamensi Iran e Norse Trader, la prima da 5.677 tonnellate della Iran Steamship Company, la seconda da 3.507 tonnellate di proprietà di Wallen & Co. Sank, si squarciano per tutta la lunghezza piegandosi verso l’interno; alla nave da carico egiziana Rod El Farag, da 6.292 tonnellate, della Sociète Mirs de Navigation Maritime, il ponte viene completamente fatto a pezzi, la poppa è piegata verso l’alto e il lato destro rientra per metà; all’HMS LCP 323 e all’HMS LCP 866, due piccoli mezzi da sbarco inglesi del peso di 3.674 chilogrammi non va meglio, le lamiere accartocciate come fogli di carta sono strappate dalle chiglie sollevate dall’acqua e lanciate in direzione della vicina Empire Indus, una nave da carico inglese da 5.155 tonnellate e della vicina HMHS Chantilly, una nave passeggeri inglese da 10.017 tonnellate trasformata in nave ospedale, mentre vengono avvolte dalle fiamme e strappate dagli ormeggi. L’onda di sovrappressione, devastati i bacini raggiunge la terraferma. 55 mila tonnellate di cereali, le riserve di emergenza destinate alla carestia del Bengala sono cancellati, i sili che li contengono scoperchiati, rovesciati su un lato e aperti per tutta la lunghezza. Le balle di cotone in fiamme, cadendo dal cielo sulle navi attraccate, sul cantiere navale e sulle aree dei bassifondi fuori dal porto, incendiano due chilometri quadrati di superficie edificata. In un raggio di 800 metri dalla nave alcune delle porzioni più sviluppate ed economicamente importanti di Bombay vengono cancellate. In città frammenti di metallo rovente, mattoni e porzioni di cemento ricadono sulle case e sulle strade falciando i passanti e uccidendo chi non si trova al riparo. Un lingotto d’oro sfonda il tetto di una casa atterrando ai piedi di un vecchio che legge nel balcone al terzo piano. Nella stanza accanto, la moglie non ha il tempo di accorgersi di nulla, un frammento di banchina squarcia il muro della camera da letto trapassandole il petto. Sul Belrav, il marinaio che si è buttato nel pozzetto risale in coperta, ormai trasformata in un cumulo di ferro inclinato di 40 gradi, corpi senza vita e moribondi. Solleva di peso un compagno, gli scivola dalle mani per il troppo sangue, la gamba gli è stata strappata di netto, fatica a portarlo giù per la passerella ma cerca prendere anche gli altri. Va avanti e indietro più volte, dispone i feriti a terra tra due muri rimasti intatti, al riparo dai continui scoppi di munizioni. L'ultimo è un marinaio indiano che ha perso entrambe le gambe, lo raccoglie per caricarlo su una piccola automobile ferma sulla banchina, l'ha quasi raggiunta quando dal bagliore rossastro della nuvola di fumo che nasconde il Fort Skitine un boato scuote l’aria per la seconda volta. Sono le ore 16:46, la restante parte di esplosivo si è accesa. La detonazione è impressionante, molto più potente della precedente. Il marinaio spinge il compagno sotto l'automobile seguendolo nel fango prima di essere raggiunto dall’onda di sovrappressione che solleva l’auto da terra scaraventandola contro un muro. Il boato, sentendosi per 80 chilometri fa vibrare il terreno fino alla città di Shimla, a 1.750 chilometri. La prima esplosione, avvenendo lateralmente ha sfogato parte della sua forza contro l'acqua e contro i capannoni delle banchine, questa, con un effetto spaventoso si sviluppa invece verticalmente. Il fungo nero che si apre coprendo il precedente risucchia verso l’alto frammenti di metallo, legno e cotone infuocato per un'altezza di 1.500 metri, una seconda pioggia di detriti bersaglia terra e acqua in un raggio di 900 metri appiccando fuochi oltre i confini del porto, nei quartieri residenziali. Intorno lo scenario è infernale. 1.238 persone tra cui 410 militari, 531 civili, 231 operatori portuali e 66 pompieri, sono state dilaniate. I loro corpi smembrati, accartocciati come fogli di carta non hanno più una forma. Altre 2.583, civili, soldati inglesi, indiani, aviatori della RAF e uomini delle forze armate americane sono invece feriti in modo grave. Il porto non esiste più, sotto una colonna nera che si estende su tutta la baia le strutture sono state appiattite e un milione di tonnellate di macerie, parti umane e di animali ricoprono il terreno per chilometri. Anche dei due bacini resta ben poco: il Jalapadma, il Baroda, il Fort Crevier, la Graciosa, l’Iran e il Rod El Farag sono distrutte; il Belray, la HMIS El Hind, il Kingyuan, il General van Sweiten, il General van der Heyden, il Tinombo, la Norse Trader, l’HMS LCP 323 e l’HMS LCP 866 sono affondate, tre ponti girevoli d’ingresso sono fuori dai loro sostegni, l’ingresso del bacino Victoria è bloccato da una nave affondata all’interno e da una affondata all’esterno, l’imbocco invece è ostruito da un groviglio di alberi e sartiame. La Empire Indus e la HMHS Chantilly, miracolosamente sopravvissute ma ancora in fiamme, vagano lentamente verso la costa trasportate dalla corrente. La macchina dei soccorsi sarà imponente, mentre i funzionari portuali stanno allontanando in tutta fretta dirigendole in mare aperto altre 7 navi trasporto esplosivi dal bacino Alexandra, 6.000 indiani e 2.000 soldati inglesi si mobilitano allestendo postazioni di primo soccorso della Croce Rossa in tutta l’area con l’ospedale St. George che verrà intasato dai feriti mentre 80.000 persone resteranno senza una casa, anche loro vittime di una guerra che non sembra ancora vedere la fine.

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