TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA: 4 agosto 2020
STATO: Libano
LUOGO: Beirut, Porto
MORTI: 213
FERITI: 7.485
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
È il 4 agosto del 2020, sono le ore 17:26, è un pomeriggio soleggiato con
una temperatura di 30 gradi e a Beirut la vita scorre frenetica come ogni
giorno. È una città costiera sul Bacino orientale del Mar Mediterraneo, è la
Capitale del Libano e con oltre 1.200.000 abitanti all’interno dei propri
confini amministrativi è la città più popolosa del paese mediorientale
racchiudendo, solo nella sua area metropolitana, la metà della popolazione
libanese. Nonostante la distruzione causata dalla guerra civile finita nel 1990
e durata quindici anni, Beirut è tornata ad essere la principale piazza
finanziaria, bancaria, assicurativa e commerciale della zona disponendo di
importanti collegamenti con le città siriane di Aleppo e Damasco rappresentando
inoltre un centro culturale e accademico di grande rilevanza grazie alla sua
storia cosmopolita. Ma in una crisi che si fa sentire, con un tasso di povertà
superiore al 50% e dove perfino gli ospedali si trovano in uno stato di carenza
di forniture mediche e problemi nel pagamento del personale, la pandemia del
virus Covid-19 sta dando il colpo di grazia ad un’economia ancora fragile che
si resiste anche grazie al suo porto, il principale punto di accesso marittimo
in Libano ed infrastruttura vitale per l'importazione delle merci. Di proprietà
del governo libanese, questo comprende il quartier generale della Marina
Libanese, 4 bacini, 16 banchine, 12 magazzini, un grande terminal per container
e un silos in calcestruzzo armato per il grano costruito negli anni ’60 e con
una capacità di 120 mila tonnellate che funge da riserva strategica di cereali
per il paese. In uno dei magazzini, il numero 12, qualcosa non va, c’è del
fumo, un fumo biancastro appena percettibile attraverso le vetrate laterali
immediatamente sotto la copertura. Qui da qualche ora si sono terminate delle
operazioni di straordinaria manutenzione dove una squadra di saldatori ha
chiuso con dei pannelli provvisori un buco in una delle porte principali. L’intervento,
effettuato a seguito di innumerevoli solleciti dovuti alle continue incursioni
all’interno del magazzino dedicato alle merci a rischio, è stato eseguito in
maniera approssimativa, frettolosamente, come ormai è consuetudine in questo
porto. Parte del contenuto, in stallo ormai da anni in questo hangar tanto
grande quanto poco sicuro sia in termini di vigilanza che di sicurezza, è stato
preda facile per troppo tempo di curiosi, vandali e ladri. Inizialmente stivate
nella pancia della MV Rhosus, una nave di carico di proprietà russa con sede a
Panama e battente bandiera moldava, le 2.750 tonnellate di Nitrato d’Ammonio ad
alta densità ora contenute nel deposito numero 12 erano partite dal porto di
Batumi, in Georgia, il 23 settembre 2013 con direzione Beira, in Mozambico. Il
Capitano della nave, il russo Boris Prokoshev, entrato al comando in Turchia
con un nuovo equipaggio per sostituire l’originario che aveva abbandonato i
posti per il mancato pagamento degli stipendi di quattro mesi, era salpato per
Atene dove era stato costretto a restituire cibo e beni di prima necessità per
carenza di fondi. Dopo aver trascorso quattro settimane in porto mentre il
proprietario ricercava carichi aggiuntivi per poter pagare le spese di transito
attraverso il Canale di Suez, la Rhosus era nuovamente salpata deviando per
Beirut al fine di raccogliere una spedizione di attrezzature per costruzioni
stradali richiesti urgentemente in Giordania. Ma per un errato stivaggio da
parte degli addetti alla movimentazione merci, quando la prima tranche delle
attrezzature erano state caricate le paratie avevano iniziato a piegarsi perché
vecchie, arrugginite e non in grado di sostenere il peso eccessivo. Per questo
motivo era stato dato l’ordine di interrompere le operazioni, lasciare i
materiali nei depositi e salpare immediatamente per Cipro temendo il Capitano
la stessa sorte del suo predecessore. Ma un intervento delle autorità libanesi,
in seguito ad un controllo sullo stato operativo della Rhosus, l’aveva ritenuta
non idonea alla navigazione vietandole di muoversi. Costruita nel 1986, si era già
imbattuta negli ispettori durante i viaggi nel Mediterraneo. A luglio, nel
porto di Siviglia, questi avevano riscontrato 14 diverse carenze, dai ponti
corrosi alla scarsa sicurezza antincendio. Non potendo partire e quindi
consegnare e riscuotere, l’armatore del mercantile di proprietà del cipriota
Charalambos Manoli, Igor Grečuškin, un uomo d'affari russo residente a Cipro,
si era indebitato ulteriormente incrementando il buco finanziario con 100 mila
dollari, tra spese portuali e costi di riparazione, finendo in bancarotta e abbandonando
la nave a sé stessa. Dei membri dell’equipaggio, otto ucraini e un russo, con
l’aiuto di un console ucraino erano riusciti ad essere rimpatriati solo in
cinque mentre Prokoshev e i suoi ingegneri, non avendo avuto sostegno nemmeno
dal consolato russo, erano stati costretti a restare a bordo a badare ad una nave
che imbarcava acqua e assistere un carico che doveva restare asciutto. Johann
Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori
della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, lo
aveva preparato e descritto nel 1659 chiamandolo “nitrum flammans” per via del
colore giallo della sua fiamma. A scoprire la sua esplosività era stato il
chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870 e da allora il Nitrato
d’Ammonio non è più stato un prodotto esclusivo per l’agricoltura bensì una
delle basi per miscele esplosive più richieste al mondo. Alla Rhosus la sua
spedizione con pagamento alla consegna era stata commissionata dalla Banca Internazionale
del Mozambico che agiva per conto di una piccola azienda africana specializzata
nella produzione industriale di esplosivi per uso civile utilizzati nell’attività
estrattiva del Mozambico, la Fábrica de Explosivos de Moçambique, che aveva
comprato l’esplosivo usando una società commerciale di prodotti chimici intermediaria
con sede nel Regno Unito, la Savaro Limited. Nello stabilimento finale sarebbe
stato aggiunto ad una base del 94% di questo Nitrato d’Ammonio prodotto dalla
Rustavi Azot LLC, azienda georgiana produttrice di fertilizzanti principale
fornitore nella regione del Caucaso, un ulteriore 6% di olio combustibile e additivi
per ottenere l’ANFO, “Ammonium Nitrate Fuel Oil”, uno degli
esplosivi preferiti dall’ETA spagnola e dagli estremisti libici e palestinesi,
di grande sicurezza scoperto nel 1950 e impiegato nell’ambito estrattivo in
grossi quantitativi per la sua bassissima sensibilità e il suo bassissimo costo
di produzione. Dopo essere rimasti bloccati in porto per un anno, costretti a
restare in porto senza la possibilità di sbarcare a causa delle restrizioni
sull’immigrazione e con le ultime provviste esaurite, l’equipaggio rimasto aveva
finalmente ottenuto nel settembre del 2014 il rimpatrio per motivi umanitari
grazie ad un esercito di avvocati riuscito a pagare con la vendita del
carburante. Il carico invece, per il pericolo rappresentato, temendo che la
nave potesse affondare in porto, cosa che poi avvenuta nel febbraio 2018, era
stato scaricato per ordine del Giudice il 12 ottobre e collocato nell’Hangar 12,
una grande struttura grigia designata ai materiali pericolosi che si affaccia
sull’autostrada dove è rimasto in attesa di essere messo all'asta o
adeguatamente smaltito. Vari funzionari doganali avevano inviato lettere ai
giudici chiedendo una risoluzione sulla questione del carico confiscato
proponendo che il fertilizzante venisse esportato, dato alle Forze armate
libanesi o venduto alla Lebanese Eplosives Company. Le lettere, inviate il 27
giugno e il 5 dicembre 2014, il 6 maggio 2015, il 20 maggio e il 13 ottobre
2016 e il 27 ottobre 2017, sollecitavano la rimozione da parte dell’agenzia
marittima del carico data la pericolosità nel mantenerlo nel deposito in
condizioni climatiche inadatte supplicando risposte mai arrivate. Soprannominato
“la Grotta di Alì Babà e i 40 ladroni" per l’alto
livello di corruzione dei funzionari della Dogana, la macchina portuale
dall’evasione fiscale stimata a 1,5 miliardi di dollari l’anno non è estranea a
questo genere di situazioni, essendo ormai un gateway per il contrabbando in
Medio Oriente e consentendo ad armi e droga di passare praticamente senza
ostacoli. Attualmente gestito dalla Gestion et Exploitation du Port de Beyrouth,
dal 1990 è sotto la proprietà diretta del governo del Libano a seguito della
scadenza del contratto della compagnia e dal 2004 le operazioni del terminal
container sono subappaltate al Consorzio privato Beirut Container Terminal con
l’ampliamento della banchina fino a 1.100 metri, l’installazione di 16 enormi
gru a cavalletto per navi di grosse dimensioni e di un'ampia attrezzatura
per la movimentazione a terra di 1,2 milioni di container l’anno. I funzionari
della sicurezza portuale e dell'intelligence militare incaricati di far
rispettare i regolamenti e di mantenere il porto sicuro, sfruttano la loro
autorità a scopo di lucro o favore politico ricevendo regolarmente tangenti al
fine di consentire ai container di evitare l'ispezione manuale approfittando
dell’inoperatività ormai da anni dello scanner di carico e firmando il
passaggio di merci non registrate, sottovalutate o classificate in modo errato.
L’interno completamente aperto del magazzino numero 12 è enorme, il Nitrato
d’Ammonio contenuto in 2.750 grossi sacchi bianchi in lamelle di polipropilene
intrecciato con fondo chiuso, con apertura a caramella e quattro cinghie di
sollevamento delle dimensioni di 90 centimetri di lunghezza, 90 di larghezza,
120 di altezza e del peso di 1.000 chilogrammi occupa una superficie di 2.000
metri quadrati distribuito senza interruzioni nei compartimenti 4, 5, 6, 7, 8, 9
verso le porte D8, D5, D4, D9, D10, D3, D2, e parte dello scompartimento 10
verso la porta D2, disposizione spaziale completamente avulsa dalla normativa
internazionale per la sua conservazione, quella britannica, dove sarebbe dovuto
essere conservato in pile da 300 tonnellate ciascuna distanti tra loro e dalle
pareti perimetrali almeno un metro, e la totalità di tale stoccaggio a non meno
di 1.570 metri dagli edifici residenziali. Le operazioni di manutenzione,
saldatura e chiusura dell’Hangar 12 iniziate a mezzogiorno sono servite a far
sì che il contenuto non continuasse a venire prelevato da militanti di gruppi
armati, a cui serve costantemente per fabbricare bombe, o contrabbandato in
Siria per venire utilizzato nel corso della guerra civile, essendo stati
danneggiati negli anni 243 sacchi ai compartimenti 5, 6, 9 e 10 con uno sversamento
a terra del fertilizzante. Ma il Nitrato d’Ammonio non è l’unica merce
pericolosa lì dentro. Assieme anche a 23 tonnellate di fuochi pirotecnici chiusi
in 38 sacchi di nylon nel compartimento 2 accanto alla porta D7 sul lato
nord-ovest, 5 bobine di miccia pirotecnica a combustione lenta, 1.000
pneumatici per automobili nel compartimento 3 e parte del 2 accanto alla porta
D6 sul lato nord-est, l’interno dell’Hangar 12, secondo un punto di vista
tecnico, è la disposizione spaziale di una immensa bomba improvvisata, ordigno
che purtroppo è stato innescato proprio alcune ore fa da una delle saldatrici
durante il rattoppo del portellone laterale in ferro. L’arco elettrico, agendo
sul materiale ha sublimato il metallo creando delle particelle della grandezza
di un millimetro che si sono solidificate al contatto con l’aria. Ad alto
valore termico e mantenendo parte del calore, sono state trasportate dal vento
all’interno del magazzino posandosi su una catasta di pallet fermi da anni in
attesa di essere trasferiti altrove e dimenticati. In un lento decorso durato
ore, l’incendio covante si è scatenato improvvisamente dando fuoco alla catasta
di legna. Sono le ore 17:45, il fuoco cresce, le pedane sono in fiamme e un
pennacchio grigio inizia a uscire da una delle finestre dell’angolo nord-est.
Alcuni vetri si filano, in tre minuti il fumo aumenta esponenzialmente salendo
in cielo per 34 metri fuoriuscendo anche dalle prese d’aria del tetto.
L’incendio è ormai fuori controllo, la temperatura sta salendo rapidamente, il
fuoco si è esteso agli pneumatici per automobili del compartimento 3 e 2
all’altezza della porta D6 sul lato nord-est e ai primi involucri del nitrato. Alle
ore 17:45, mentre il fumo si addensa e cambia tonalità, all’esterno hanno tutti
gli occhi sulla colonna nera che secondo dopo secondo sta colorando il cielo
del porto. Ormeggiate nelle vicinanze, sulla Orient Queen, una nave da crociera
lunga 129 metri e pesante 7.478 tonnellate di proprietà di Abou Merhi Cruises,
i membri dell’equipaggio non perdono di vista il magazzino, qualcuno chiama i
Vigili del Fuoco, qualcun altro volge il suo sguardo verso la corvetta della
Marina del Bangladesh, la BNS Bijoy, 81 metri per 1.430 tonnellate, dove i caschi
blu delle Nazioni Unite sono molto più preoccupati. Anche sulla nave cisterna
Amadeo II e sui trasporto bestiame Abou Karim I e Abou Karim III ormeggiati al
molo numero 9 gli equipaggi stanno dando l’allarme, mentre a qualche decina di
metri l’altro trasporto bestiame Jouri sta suonando la sirena. Dalle navi da
carico Mero Star e Raouf H qualcuno è sceso sulla banchina a osservare il
magazzino in fiamme più da vicino. Una squadra di Vigili del Fuoco e un
paramedico si precipitano sul posto, sono passati 4 minuti dalla chiamata, non
sono tanti ma quello che sta succedendo all’interno dell’Hangar 12 sta facendo
precipitare gli eventi. Si sentono degli spari, si vede un primo lampo, poi un
secondo e un terzo, anche i sacchi dei fuochi d’artificio si sono accesi, sono
le ore 17:59. Le bobine di miccia pirotecnica, un cordino di strati di tessuto
ricoperto da cera impermeabilizzante variante della versione in cotone
impermeabile discendente da quello in canapa catramata brevettata il 6 settembre
1836 da William Bickford e calibrata per bruciare con una velocità di 100
secondi per metro lineare, diventano una palla di fuoco in meno di uno. Il
nucleo di Polvere Nera, esplosivo costituito da 74,65% di nitrato di potassio,
13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata fino ai giorni nostri
grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella
comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044,
trasforma i 5 plichi rotondi in un rogo fiammeggiante che innesca uno dopo
l’altro i sacchi dei fuochi pirotecnici sul lato nord-ovest. Centinaia di razzi
e mortai impilati accanto alla porta D7 esplodono devastando il magazzino,
accendendo altri sacchi e aumentando la temperatura dell’interno
esponenzialmente. Le deflagrazioni si moltiplicano, le fiamme sono ovunque, la
Polvere Flash contenuta in una parte dei fuochi si innesca. Sono le ore 18:06,
questa miscela di invenzione relativamente antica a base di Nitrato di Potassio
al 50%, polvere di alluminio al 30% e zolfo al 20%, una delle “varianti” della
Polvere Nera, confinata nei cartocci invece di deflagrare detona raggiungendo
la velocità di 3.050 metri al secondo sviluppando una temperatura di 2.800
gradi centigradi, producendo una fiammata fino al soffitto con una nuvola ancora
più grossa che si sovrappone alle altre. Mentre gli 11 uomini e una donna della
squadra antincendio stanno gettando una cascata d’acqua dentro le finestre e le
botole di aerazione sulla copertura stanno facendo affluire ossigeno
all’interno della struttura stanno trasformando il Nitrato d’Ammonio in una
bomba ad orologeria, in 8 secondi il resto dei sacchi si accende. 23 tonnellate
di fuochi d’artificio esplodono con la potenza di 2,3 tonnellate di Trinitrotoluene,
esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius
Wilbrand, sfondando i vetri, le prese d’aria e scoperchiando con una fiammata parte
della copertura con una cascata di scintille e scoppiettii che si riversano
all’esterno lasciandosi dietro una scia bianca mentre all’interno il Nitrato
d’Ammonio riscalda decomponendosi. Alle ore 18:08, 35 secondi dopo la prima
esplosione, la decomposizione supera i 260 gradi centigradi diventando
esplosiva, una sfera di fuoco apre il magazzino, 1.515 sacchi di Nitrato
d’Ammonio saltano in aria. Il composto detona con una velocità di 2.500 metri
al secondo e una potenza equivalente a 880 tonnellate di Trinitrotoluene
inghiottendo il porto con da una sfera di 1.363.500.000 di litri di gas ad alta
pressione. Una bomba d'aereo inglese del tipo BlockBuster da 5.443 chilogrammi,
una delle più letali della storia, ha al suo interno una carica di 2.358
chilogrammi di Torpex avvolta in un rivestimento di Trinitrotoluene dello
spessore di 25 millimetri. La carica di questo esplosivo sviluppato nel 1942
presso la Fabbrica Reale Gunpowder, nel Waltham Abbey, nel Regno Unito,
per la testata dei siluri, ecco perché il nome Il nome TORPedo EXplosiv, è
50% più potente del Trinitrotoluene ed è composto da 40% di questo, 18%
di polvere di alluminio e 42% di RDX, la
ciclotrimetilenetrinitramina. Assieme all’RDX, prodotto di caratteristiche eccezionali
scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning
nel 1898 e codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal
Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920
come “RD” Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i
nuovi prodotti per la ricerca militare, e "X", la classificazione,
nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva, la carica della bomba BlockBuster
sprigiona un'energia di 795 milioni di chilogrammi per metro e, poiché la
detonazione avviene in 5/10.000 di secondo, la potenza istantanea è di 15,5
miliardi di kiloWatt, cioè circa una volta e mezza superiore a quella del
fulmine più potente al quale si attribuisce un'intensità di corrente di 100.000
Ampere sotto una differenza di potenziale di 100 milioni di Volt. La
complessiva energia cinetica ottenibile da una tale bomba, nell'ipotesi che sia
trasformato in lavoro meccanico solo il 30% dell'energia termica, è tale da
lanciare in aria, a 25 metri di altezza, un incrociatore corazzato da 10.000
tonnellate di dislocamento. L’Hangar numero 12 esplode con la forza di 210 di
queste bombe. L’aria si espande rapidamente e si raffredda altrettanto
velocemente, l’onda d’urto è supersonica, con una velocità di 2 chilometri al
secondo comprime le molecole di gas e di acqua presenti nell’atmosfera
condensandole e creando una sfera bianca che vaporizza il magazzino, le squadre
di soccorso, la banchina e impatta contro il silos per il grano. Le finestre di
tutta le città vanno in pezzi, il porto viene completamente inghiottito mentre
una nuvola tossica rossa di biossido di azoto gli si apre sopra sollevando in 9
secondi un crisantemo alto 755 metri di gas, terra, roccia e cemento. La nave
Amadeo II viene accartocciata, letteralmente sollevata e lanciata fuori dall’acqua,
la Abou Karim spinta sulla Abou Karim III schiacciandocisi sul fianco, il Jouri
distrutto, la Raouf H e la Mero Star sono scoperchiate, la Orient Queen e la
BNS Bijoy vengono investite lateralmente piegandosi su un lato e sbattendo
sulla banchina. Il centro di Beirut viene scosso, lo United States Geological
Survey registra un terremoto di magnitudo locale di 3,3 della scala Richter
facendo vibrare anche Cipro e Israele, a 240 chilometri di distanza.
All’interno dell’area portuale una parte del litorale sparisce, gli uffici, i
magazzini, le strutture portuali vengono appiattite, fuori dal porto le auto si
ribaltano, gli edifici piccoli crollano, quelli alti e più resistenti vengono
devastati, spogliati della facciata fino all’acciaio, ridotti a strutture vuote
e disseminando le strade con i detriti di innumerevoli vite sconvolte. La città
viene attraversata da una tempesta d’aria e più della metà viene annientata.
Tre ospedali vengono rasi al suolo, altri due sono trapassati con una violenza
inaudita ma restano miracolosamente in piedi. Il Saint George Hospital University
Medical Center, una delle strutture mediche più grandi e distante meno di
1 chilometro dell'esplosione, viene scosso dalla base. I vetri scoppiano,
le pareti si aprono e i solai si sollevano. I ricoverati sono scaraventati in
aria, i ventilatori si fermano e il personale è investito da una pioggia di
vetro e cemento. L’onda d’urto, proseguendo per 10 chilometri non lascia scampo
a chi si trova per strada, in 6 secondi raggiunge l’Aeroporto Internazionale di
Beirut-Rafic Hariri scardinando le porte, facendo saltare le piastrelle e
scoperchiando i soffitti. Dietro di sé, il Museo Sursock, la Chiesa Evangelica
Nazionale e le ambasciate sono devastate, l’argentina, l’australiana, la
finlandese e la cipriota, nelle immediate vicinanze dell'esplosione, sono investite
in pieno, quella sudcoreana, a 7,3 chilometri, colpita solo di striscio assieme
alla kazaka, alla russa, alla bulgara, alla rumena e alla turca. Mentre 75
ambulanze e 375 medici si stanno attivando, la città è ancora incredula, i
social media di tutto il mondo sono impazziti e le immagini di una delle
esplosioni non nucleari della storia stanno diventando virali. Il centro di
Beirut è un disastro, 300.000 persone non hanno più una casa, cancellata
assieme al silo e con esso 14.970 tonnellate di grano che lasciano il paese con
riserve sufficienti a malapena per un mese. 7.485 sono quelle ferite,
spaventate, ancora a terra frastornate dal boato cercano di rialzarsi. 213
invece non si rialzeranno, dei loro corpi straziati rimarrà ben poco, la
violenza è stata tale da smembrarli completamente. L’esplosione è stata
catastrofica, fino a 4.082 metri dall’Hangar 12 è come l’apocalisse, le strade
sono disseminate di vetri, macerie, macchine schiantate l'una contro l'altra,
rovesciate, gli edifici a malapena riconoscibili. Qualche auto fa un’inversione
a U, fugge in direzione opposta allontanandosi dall’inferno, qualcuno è a
piedi, chi può in bicicletta, magari trovata per strada. A 680 metri, il
quartiere finanziario, il vicino lungomare stracolmo di ristoranti e locali
notturni, la striscia commerciale, gli affollati quartieri residenziali nella
metà orientale e prevalentemente cristiana, portano i segni del disastro, non è
rimasto niente di utilizzabile. Fino a 480 metri è stato appiattito tutto, i
magazzini sono spariti e all’interno dell’area portuale l’esplosione ha
cancellato una sezione della costa lasciando un cratere di 124 metri di diametro
e 43 metri di profondità. Solo una porzione della struttura del silo è ancora
in piedi e fortunatamente la sua robustezza ha assorbito parte della forza
dell’onda di sovrappressione proteggendo una vasta area occidentale da una
maggiore distruzione. Più ci sia avvicina alla banchina più diventa buio, la Orient
Queen si sta capovolgendo e la Abou Karim sta affondando, delle figure
silenziose emergono dall'oscurità, alcune ferite ma in cammino, altre sedute
con sguardi vuoti.
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