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01 agosto, 2022

Saltpan Reach, Porto, 27 maggio 1915

 

TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
27 maggio 1915
STATO:
Inghilterra
LUOGO: Saltpan Reach
MORTI:
352
FERITI:
84

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 27 maggio 1915, è mattino e alla boa numero 28 del porto di Saltpan Reach, sull'estuario del fiume Medway tra Port Victoria e l’antica città fortificata di Sheerness adiacente al cantiere navale della Royal Navy di Chatham, è ormeggiata la HMS Princess Irene. Con le sue 5.394 tonnellate, la HMS, “Her Majesty's Ship, la Nave di Sua Maestà, è stata varata l’anno scorso. Nata per essere un vettore oceanico di lusso per 1.500 passeggeri, progettata e costruita dalla William Denny e Brothers Ltd di Dumbarton, in Scozia, per la Canadian Pacific Railway, è stata inaugurata il 20 ottobre per servire, assieme alla sua gemella Princess Margaret, il percorso Vancouver-Victoria-Seattle. Prima di salpare per il viaggio inaugurale è stata requisita dalla Marina Reale Britannica che ha rimosso il ponte principale e ne ha modificato la configurazione per convertirla in nave posamine. L’Europa è in guerra, una situazione che mese dopo mese si prospetta più difficile del previsto, il predominio anglo-francese sui mari preclude alla Germania ogni fonte di approvvigionamento esterno e il blocco navale imposto dalla Gran Bretagna nella Manica tiene in una stretta mortale il commercio tedesco. La ritorsione della Germania, affidata alla micidiale azione dei sottomarini, è la decisione di spezzare questo blocco attraverso una guerra sottomarina che contempla la possibilità di colpire anche i paesi neutrali. Dopo l’affondamento del transatlantico RSM Lusitania con la morte di 1.201 passeggeri lo scorso 7 maggio, l’Inghilterra, iniziando a temere che questa guerra potrebbe non finire poi così presto, sta mobilitando il suo impero. Disponendo della più importante flotta commerciale del mondo importa quasi tutto il petrolio, e cosa più importante per un’isola densamente popolata, la metà delle derrate alimentari. Dove gli obiettivi delle operazioni navali sono la protezione dei convogli destinati al fronte francese in cui navi cariche di materiali e soldati attraversano le acque costantemente pattugliate da cacciatorpediniere e sommergibili, la posa degli sbarramenti minati difensivi è fondamentale per il blocco navale, sia allo scopo di precludere alla flotta tedesca l'uscita nell'aperto Oceano Atlantico, sia il suo commercio marittimo con le potenze neutrali, sia per proteggere il flusso di uomini e mezzi verso la Francia attraverso la manica con una rete di mine che copre una vasta superficie del Mare del Nord, tra la foce del Tamigi e l'Olanda. Per la costruzione di questa rete, programmata nella posa 128 mila mine in tre anni, in ausilio alle unità navali militari sono impiegate anche le mercantili appositamente modificate scelte per l’elevata capacità di carico e la precisione nella navigazione, caratteristiche di cui solo queste imbarcazioni sono provviste. Con imbarcati 225 membri di equipaggio, la Princess Irene è un colosso di 120 metri di lunghezza e largo 16 che, alimentata da quattro turbine a vapore in grado di spingerla fino alla velocità di 41,7 chilometri orari, imbarca un carico di 500 “Navy Spherical Mine” Type H Mark V, molto diverse dai primi seicenteschi prototipi inglesi che avevano messo a dura prova le navi di Luigi XIII. I barili di legno pieni di esplosivo con un acciarino da moschetto come dispositivo di accensione e ancorati a grosse pietre sul fondo, avevano funzionato così bene che gli ufficiali della Marina Pontificia ne avevano copiato il design per riadattarlo alla difesa dei porti dalle scorrerie dei pirati barbareschi. Di 102 centimetri di diametro e pesanti 399 chilogrammi, le mine Mark V, loro straordinaria evoluzione sotto il profilo tecnologico e offensivo, sono in preparazione sui carrelli per le messa in servizio per un totale di 113.500 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale armati e pronti all’uso. Partite dalle località fluviali di Woolwich e Upnor e arrivate a Saltpan Reach su delle chiatte lungo i fiumi Tamigi e Medway, sono un modello sferico “a contatto” Hertz, cioè ad attivazione ad urtante con fiala di acido solforico. Gli urtanti, sei spilli in piombo montati sulla superficie della sfera, quattro sulla parte superiore e due su quella inferiore, quando entrano a contatto con un corpo esterno si piegano rompendo la fiala di vetro all’interno che rilascia l’acido. Colando per gravità attraverso un condotto, questo è convogliato forzatamente fino a una batteria al piombo sotto lo spillo che viene attivata generando una corrente sufficiente ad alimentare il sistema di innesco. Questo è costituito da un detonatore elettrico all’Azoturo di Piombo, un tubicino d’innesco in alluminio erede di quello inventato da Julius Smith nel 1876, riempito col preparato della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890 che innesca una carica esplosiva cilindrica primaria di Trinitrotoluene, un esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo. Il booster, infilato per tutta la lunghezza all’interno dell’alloggiamento della carica principale, più grossa, funge da spinta per 227 chilogrammi di Amatolo 60/40 chiusi in una camera metallica stagna, una potente miscela creata dalle forze armate britanniche all’inizio della guerra e costituita da una percentuale del 40% di Trinitrotoluene e 60% di Nitrato d'ammonio. Concepito principalmente come fertilizzante e chiamato col nome di “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma, il Nitrato d’Ammonio è stato preparato e descritto nel 1659 da Johann Rudolph Glauber, un chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, per poi essere scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. Grazie al sistema di fissaggio della mina sul carrello, la posa in mare diventa semplice e veloce tanto che la Princess Irene è in grado di posare uno sbarramento di 12 chilometri in 20 minuti procedendo con una velocità costante di 20 nodi, circa 40 chilometri orari. Il carrello, un cassone in ferro di grande peso che funge da zavorra, durante il trasporto regge su di sé la mina semplificando la movimentazione rendendola in tal modo più sicura. Al suo interno contiene l’avvolgimento di un trefolo d’acciaio in grado di sostenere la mina e tenerla ancorata al carrello che, una volta rilasciato, si posa sul fondale facendola fluttuare alla profondità stabilita calcolata grazie ad un sistema a pressostato. Chiamato così per via di quattro ruote di derivazione ferroviaria che scorrono su rotaie imbullonate sul ponte della nave, il carrello viene sganciato in mare e, dopo qualche secondo di galleggiamento, affonda srotolando il cavo fino a raggiungere la profondità programmata dove il pressostato attiva, sotto la pressione dell’acqua, un meccanismo che fa scattare un freno di blocco del rocchetto facendo affondare la zavorra, trattenendo la mina ad una profondità compresa tra 5 e 10 metri dalla superficie e sganciando una molla che infila meccanicamente il detonatore all’interno del booster armando la carica principale. La Princess Irene è dotata di tre serie di binari sui due lati del ponte principale e altre due serie su quello posteriore, per poter imbarcare il maggior numero di mine le file di binari sono imbullonate il più vicino possibile le une alle altre, così vicine che nella posa dei carrelli gli operatori devono prestare la massima attenzione che gli urtanti di ogni mina non collidano tra loro. Si è sempre discusso in merito al personale addetto al carico e allo scarico delle merci, e ancora di più per la manipolazione degli armamenti e oggi, a bordo con l’equipaggio ci sono anche 78 operai della Sheerness Dockyard divisi in due squadre. Mentre una si sta occupando di verificare i rinforzi delle intelaiature in ferro che sostengono il peso delle mine sul ponte non progettato per un carico simile, l’altra sta registrando le rotaie in vista della partenza programmata per il 29. George Kilpatrick, che avrebbe dovuto far parte della seconda squadra, ottenendo un cambio turno dell’ultimo minuto è appena andato via. Anche il 21enne John Jeffrey Sutton non è a bordo, ha chiesto al Capitano il permesso di scendere a terra per un appuntamento dal dentista. Si è arruolato a Portsmouth nel giugno di tre anni fa e ottenuta la certificazione di sottufficiale in solo un anno è stato imbarcato a marzo sul posamine come segnalatore della Royal Navy. A bordo invece operai e membri dell’equipaggio si stanno occupando del delicato montaggio dei carrelli e in pesante ritardo sulla tabella di marcia stanno cercando di recuperarlo accelerando le operazioni. L’ispezione di ogni mina prima di essere trascinata nella sua corsia dopo il trasbordo dalla chiatta al ponte del posamine, operazione fino a pochi minuti fa meticolosa e particolarmente lunga, viene ridotta ad una verifica superficiale, veloce, troppo, talmente veloce da non vedere che un violento scossone durante la fase di rilascio delle cinghie nel poggiare una mina sul ponte ha fatto saltare il fermo di sicurezza della molla spingendo il detonatore nell’alloggiamento del booster. La mina, armata, è spostata sui binari e incolonnata alle altre. Sono le ore 11:08, le operazioni stanno volgendo al termine, i carrelli sono ordinatamente poggiati gli uni agli altri in un incastro perfetto con gli urtanti di ogni sfera che quasi si sfiorano. La mina innescata, silente in mezzo alle altre 499, ha accusato per ore gli effetti dell’atterraggio fuori controllo. Le vibrazioni, troppo intense per un marchingegno di tale complessità, hanno danneggiato anche la fiala di un urtante, filatura nel vetro che ha consentito all’acido di colare per il condotto, goccia dopo goccia, depositandosi sulla superficie della batteria che improvvisamente si attiva. La corrente elettrica, schizzando fino al detonatore lo accende. La miscela incendiaria al suo interno avvia l’Azoturo di Piombo sensibile al calore che innesca il Tritolo del booster facendo detonare la carica principale. L’Amatolo scatena la sua potenza, con una velocità di detonazione di 5.000 metri al secondo i 227 chilogrammi esplodono facendo saltare le mine di poppa innescando una velocissima reazione a catena. Una colonna di fuoco si alza nel cielo seguita da una seconda che sovrasta la precedente sollevandosi per 90 metri e lanciando in acqua chi si trova sul ponte. Nessuno ha il tempo di fare quasi nulla, in una frazione di secondo una terza fiammata avvolge la nave, la Her Majesty's Ship Princess Irene salta in aria. La furia delle 113.500 tonnellate di Amatolo solleva le 5.394 del posamine staccandolo letteralmente dall’acqua spezzandolo in due. L’equipaggio è fatto a pezzi, parti di corpi in fiamme sono lanciati in mare e sulla terraferma sparpagliati assieme a lamiere e detriti. Sotto una palla di fuoco che continua a salire verso il cielo, a pelo d’acqua l’onda d’urto generata viaggia ad una velocità mostruosa. Investe immediatamente le chiatte, le spoglia, scoperchia le cabine e prosegue raggiungendo una nave da trasporto carbone ad 800 metri dove strappa i bulloni della gru dalle piastre scaraventandoci addosso una caldaia, sradicando la struttura dai sostegni e sventrando un marinaio con una scheggia di metallo del peso di 46 chilogrammi. Dopo avere portato distruzione in mare, l’onda di sovrappressione impatta a tutta velocità sulla costa. Il muro d’aria, accompagnato da una tempesta di frammenti colpisce il deposito di combustibili dell'Admiralty di Port Victoria perforando le cisterne della stazione di pompaggio che esplodono radendo al suolo parte dell’area industriale. Ad Isle of Grain, il punto più orientale della penisola di Hoo nel distretto di Medway nel Kent, non va di certo meglio, una pioggia di fuoco e ferro si riversa sulle case, sulle campagne, sulle persone. Nel giardino di casa, una mamma si vede decapitare davanti agli occhi la figlia di nove anni da un frammento di ferro di 35 chilogrammi mentre una sezione di 10.160 chilogrammi del posamine compare dal nulla conficcandosi in un terreno poco distante. In un raggio di 32 chilometri dal cielo piove metallo, parti delle caldaie e della chiglia bombardano la costa, a Sittingbourne un fumaiolo atterra in un parcheggio, a Bredhurst un pezzo della prua scoperchia un negozio, ad Hartlip alcune paratie sfregiano una palazzina e ad Rainham una porzione del ponte infilza una delle vie più trafficate. 84 persone vengono colpite, fortunatamente molte saranno in grado di raccontarlo. Nel Punto Zero invece è calato il silenzio. La Princess Irene si è disintegrata. Da un fungo nero alto 400 metri, come fogli di carta giù da un palazzo planano lamiere sull’acqua intrisa d’olio che brucia su una distesa di corpi straziati. In città John Jeffrey Sutton è ancora dal dentista quando la finestra si spalanca con un ruggito. Si alza dal lettino, si affaccia, la gente si è riversata in strada e indica qualcosa verso il mare. Sutton si precipita in strada, guarda la costa, un’immensa colonna di fumo copre il cielo proprio dove c’era la sua nave, disintegrata, sparita portando con sé 352 anime vittime di una disattenzione che probabilmente, anzi, quasi sicuramente si sarebbe potuta evitare.

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01 aprile, 2022

Aden, Cacciatorpediniere USS Cole, 12 ottobre 2000

 

TIPOLOGIA: attentato                   
CAUSE: barchino suicida      
DATA:
12 ottobre 2000
STATO: Yemen
LUOGO: Aden, Porto
MORTI:
17
FERITI:
39

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

Nella Marina degli Stati Uniti d’America i cacciatorpediniere sono navi da guerra che operano in supporto di gruppi di battaglia di portaerei, gruppi di azione di superficie, gruppi anfibi e gruppi rifornimento. La relativamente recente aggiunta della capacità di lancio di missili da crociera a lungo raggio, in grado di volare come un aeroplano, e la rimozione di combattenti di superficie più pesanti come le corazzate, ormai obsolete, ha fatto crescere il tonnellaggio dei cacciatorpediniere ed espanso grandemente il loro ruolo. Nel 2000 una sola classe di cacciatorpediniere è in uso nella marina USA: la Arleigh Burke. Con lo stesso tonnellaggio di un incrociatore leggero della Seconda Guerra mondiale e 303 uomini di equipaggio la USS Cole fa parte di questa flotta. È chiamato così in onore del sergente di marina Darrell S. Cole, un mitragliere ucciso in azione il 19 febbraio 1945 sull’isola di Iwo Jima durante la Guerra nel Pacifico tra le forze statunitensi, le truppe dell’esercito imperiale e della marina giapponese che si affrontavano nelle ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale. Costruita dalla Ingalls Shipbuilding di Norfolk, consegnata alla Marina Militare l'11 marzo 1996 e in servizio dall’8 giugno dello stesso anno con numero identificativo DDG-67 è uno dei 62 cacciatorpediniere missilistici guidati in dotazione. È pesante 8.900 tonnellate, lungo 154 metri, largo 21, corazzato con 70 tonnellate di Kevlar e paratie d'acciaio nei punti sensibili e con in dotazione rampe lanciamissili, tubi lanciasiluri, mitragliatrici e un cannone del calibro di 127 millimetri in grado di attaccare navi, aerei e bersagli terrestri con una cadenza di 20 colpi al minuto e una portata fino a 32 chilometri, la Cole in grado di svolgere il ruolo strategico di attacco terrestre, antiaereo, antisommergibile e anti-superficie, con un design che incorpora anche tecniche stealth come le superfici verticali angolate che rendono la nave più difficile da rilevare, in particolare dai missili antinave, oltre che dota una suite di guerra elettronica che fornisce rilevamento passivo e contromisure esca ed un sistema di filtraggio dell'aria negli ambienti nell’eventualità di attacchi nucleari, biologici e chimici. È il 12 ottobre e sotto la guida Comandante Kirk Lippold, al comando dal 25 giugno dell’anno scorso, salpata dalla Naval Station Nortfolk in Virginia ora la USS Cole si trova ormeggiata nel porto neutrale di Aden, nello Yemen meridionale, in rifornimento dopo una navigazione nel Golfo Persico. Questo giovedì si trova qui, all'estremità della penisola arabica, per unirsi alle navi da guerra statunitensi che stanno attuando un blocco navale all’Iraq. La nave da guerra, che ha completato l'ormeggio alle ore 9:30 e iniziato il rifornimento alle ore 10:30, in orario come da piano, non è una semplice nave, è un simbolo, il simbolo di una nazione odiata, detestata, un bersaglio che Abd al-Rahim al-Nashiri, capo di Al-Qaida nel Golfo Persico, ha scelto di eliminare. Al-Qaida, il movimento fondamentalista islamista sunnita paramilitare terroristico nato nel 1988 durante la Guerra in Afghanistan, è guidato dal miliardario saudita Osāma bin Lāden, 17esimo dei 57 figli dell’immobiliarista yemenita Mohammed bin Awad bin Lāden, che avvalso della guida ideologica di Ayman al-Zawāhirī, scrittore, poeta e medico de Il Cairo appartenente ad una famiglia di dotti religiosi e di magistrati, aveva deciso di utilizzare soldi e macchinari della propria impresa di costruzioni per aiutare la resistenza dei mujaheddin durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Nato in Arabia Saudita il 5 gennaio 1965 al-Nashiri è un saudita cittadino arabo. Dopo aver passato del tempo in Afghanistan dall'inizio degli anni '90 per partecipare agli attacchi contro i russi nella regione, si era spostato nel 1996 prima in Tagikistan poi in Afghanistan, a Jalalabad, dove aveva incontrato per la prima volta bin Lāden che aveva cercato di convincerlo ma senza successo ad unirsi ad Al-Qaida. L’idea di attaccare gli Stati Uniti d’America e di riconsiderare l’offerta era arrivata unendosi ai talebani, i membri dell’organizzazione politica e militare afghana a ideologia fondamentalista islamica, assistendoli nel contrabbando di missili anticarro in Arabia Saudita e riportando direttamente a bin Lāden che lo aveva preso sotto la sua ala protettrice fino ad approvare e finanziare la sua strategia: attaccare le navi americane con dei barchini esplosivi, un piano realizzabile solo grazie all’appoggio logistico del Governo della Repubblica del Sudan dal quale sarebbe arrivato l’esplosivo via terra transitando poi per le sue acque territoriali. Per preparare l’attacco utilizzando con questa particolare tecnica inventata nel 1935 dalla Regia Marina Italiana e perfezionata dall’Esercito Imperiale Giapponese durante le fasi finali della Seconda Guerra Mondiale, al-Nashiri non si era mosso da solo. Accanto a lui, la mente, il Comandante sul Campo come lo aveva definito bin Lāden, ci sono Jamal Ahmad Mohammad Ali Al Badawi, 40 anni, yemenita, e Fahd Mohammed Ahmed al-Quso, 26 anni, anche lui yemenita, il primo esperto nella costruzione di ordigni esplosivi, il secondo soldato addestrato negli anni ’90 nei campi di Al-Qaeda in Afghanistan. I due, i coordinatori locali di Al-Qaida, si erano occupati delle attrezzature nonché dell’affitto di un capannone abbastanza grande da contenere una barca e un camion con rimorchio acquistati per l’occasione. Assieme ad al-Nashiri compongono la cuspide dell’Aden-Abyan Islamic Army, un gruppo militante islamista con sede in Yemen. Implicata in diversi atti di terrorismo dalla fine degli anni '90 l’associazione si era formata a metà di quegli anni come una libera rete di guerriglia di poche dozzine di uomini, un mix di veterani della guerra sovietico-afghana e islamisti di vari paesi guidata da un certo Zayn al-Abidin al-Mihdhar. Senza un leader dopo che era stato giustiziato nel dicembre del 1999 per aver organizzato l’anno prima il rapimento di 16 turisti occidentali nello Yemen meridionale, Rahim al-Nashiri aveva trovato campo fertile per dare una nuova guida a questo gruppo di soldati con un denominatore comune: l’odio per l’occidente. E quest’odio, che non aveva atteso molto prima di essere scatenato in tutta la sua furia, lo avevano pianificato e indirizzato con la collaborazione di Al-Qaida, sinergia formatasi a seguito di un raid aereo americano al campo di addestramento di bin Lāden in Afghanistan, proprio contro gli Stati Uniti d’America nell’attacco combinato del 7 agosto 1998 alle ambasciate in Tanzania e in Kenya dove con due camion bomba avevano colpito Dar es Salaam e Nairobi spezzando 224 vite. I tecnici della Aden-Abyan per l’attacco con la barca esplosiva avevano studiato sia la tecnica italiana che quella giapponese. In quella italiana, dove il pilota era seduto all'estrema poppa su un piccolo sedile a sbalzo, il mezzo veniva abbandonato col timone bloccato e lanciato a tutta velocità da una distanza di 500 metri dal bersaglio con armata la carica esplosiva del peso di 300 chilogrammi. Questa, sistemata in un compartimento a prua veniva poi attivata urtando lo scafo dell’obiettivo per esplodere ad una certa profondità al fine di ottenere il maggior numero di danni possibile. La tecnica giapponese, molto simile, non prevedeva motoscafi “modificati” per l’occasione come la versione italiana, bensì veicoli progettati appositamente per un attacco suicida dato che nessun pilota avrebbe avuto mai il tempo di allontanarsi. Nei barchini di Classe Shinyo in dotazione sia alla Marina che all’Esercito la carica esplosiva consisteva in due bombe di profondità impostate con un timer di 6 secondi, o in una carica di esplosivo in prua del peso di 270 chilogrammi attivata elettricamente all’impatto oppure manualmente. Le informazioni in possesso dell’organizzazione dicevano che la Cole sarebbe rimasta in porto soltanto quattro ore pertanto i margini d’errore sarebbero dovuti essere minimi per non attirare l’attenzione dell’equipaggio se non nella fase di avvicinamento finale, quando sarebbe stato tardi. Una volta scelta la modalità d’attacco lo studio si era spostato sul tipo di carica e di esplosivo. Gli italiani erano soliti utilizzare sui barchini il Tritolital, un tipo di esplosivo progettato a metà della guerra e costituito dalla Tritolite unita alla polvere di alluminio. La Tritolite, realizzato all’inizio della Seconda Guerra Mondiale dai laboratori di ricerca americani è una miscela di due esplodenti primari: il Trinitrotoluene, preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt, e l’RDX. Formalmente chiamato ciclotrimetilenetrinitramina, l’RDX ha caratteristiche eccezionali, era stato scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898, codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD” Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, e "X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva. I giapponesi invece utilizzavano un esplosivo leggermente diverso, il Tipo 98, di loro invenzione, creato nei primi anni ’30 e costituito da 70% di Trinitroanisolo e 30% di HND, l’Esanitrodifenilammina, il primo preparato per la prima volta nel 1849 dal chimico francese Auguste Cahours, il secondo scoperto dal chimico francese Charles-Émile Kopp nel 1873 e raffinato dagli scienziati giapponesi all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Come in questi due casi, per demolire la fiancata di una nave della robustezza di un cacciatorpediniere al-Nashiri avrebbe avuto necessità di un esplosivo molto potente, possibilmente per utilizzo militare. La scelta era andata sul C-4, ad alta velocità di detonazione, incredibilmente stabile e modellabile su qualsiasi superficie, caratteristica questa fondamentale. Esplosivo speciale creato durante la Seconda Guerra Mondiale, evoluzione del C-3 con brevetto americano degli anni ’70, solitamente confezionato in cartucce il “plastico” C-4 è composto da una percentuale del 91% in peso di RDX, 5,3% di plastificante dietilesile, 2,1% di poliisobutilene e 1,6% di olio lubrificante del tipo SAE 10. Per quanto riguarda il tipo di carica, in una guerra asimmetrica di questo tipo per poter colpire efficacemente una nave particolarmente corazzata come un cacciatorpediniere i tecnici avrebbero avuto bisogno di una tipologia particolare, non convenzionale, con una forma ben precisa dell’esplosivo. Avevano studiato di avvicinare la nave lateralmente affiancandola e per questo avevano trasformato il lato di dritta della barca in una testata di tipo perforante con carica sagomata. Costituita da un vuoto rivolto verso l’esterno su cui si apre un cuneo rovesciato di rame e alluminio con angolo interno di 100 gradi, avevano modellato sulla superficie di quello esterno un quantitativo in peso di 250 chilogrammi di C-4 fino a riempire il vano sotto le sedute sul lato dell’imbarcazione. Il funzionamento di questa particolare carica si basa sull’effetto Munroe, un metodo utilizzato soprattutto nelle armi anticarro e nell’industria delle demolizioni: la parziale concentrazione dell'energia esplosiva causata da un vuoto incavato in una parte di esplosivo, la particolare reazione di cui si era accorto appunto Charles Edward Munroe mentre lavorava nel 1888 alla U.S. Naval Torpedo Station a Newport, negli Stati Uniti. Il principio era stato ripreso e messo in pratica 22 anni più tardi dal tedesco Egon Neumann scoprendo che una carica di Trinitrotoluene, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt, contenente un incavo di forma conica era in grado di lacerare una lastra di metallo che in condizioni normali sarebbe stata solo intaccata dalla stessa quantità di esplosivo. In pratica, una carica di esplosivo sagomata, anziché disperdere la propria potenza esplosiva in maniera omnidirezionale, a seconda della sua forma la concentra nella cavità praticata in precedenza sulla carica stessa. Praticando quindi una cavità conica o iperbolica in un cilindro di esplosivo fatto detonare all'opportuna distanza dal bersaglio, si concentra la forza dell'esplosione contro un punto di esso e causa quindi una temperatura e una sovrappressione tale da disintegrare tutto nella direzione scelta. Secondo questo principio, l’effetto del barchino esplosivo studiato dalla Aden-Abyan Islamic Army sulla nave da guerra sarebbe stato devastante: innalzamento della temperatura, investimento degli occupanti da parte di frammenti di metallo fuso ed esplosione di eventuali munizioni e carburanti. L’attivazione, manuale con funzionamento a rilascio di un pulsante di sicurezza integrato nel pannello di controllo del posto di guida in modo che se il martire fosse stato colpito da un proiettile sparato dalla nave americana l’allentamento della presa avrebbe fatto scattare gli inneschi, è collegato e alimentato dalla batteria della barca, sufficiente questa a generare corrente oltre che al veicolo, tramite un cablaggio nascosto sotto il piano di calpestio anche ad una coppia di detonatori elettrici collegati in serie. Sono le versioni moderne di quelli inventati nel 1876 da Julius Smith, due involucri cilindrici in alluminio contenenti ciascuno una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, uno degli esplosivi più sensibili potenti, un “super-esplosivo” preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, innescato a sua volta da uno primario, il sensibilissimo Azoturo di Piombo preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. Per una maggiore distribuzione dell’onda detonante di innesco all’interno della carica sagomata i detonatori erano stati fissati con nastro adesivo ad una treccia della stessa lunghezza della carica e annegata all’interno costituita da tre spezzoni di miccia detonante, un cordone messo a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914 con anima in Pentrite ed esternamente rivestito con resina termoplastica. Ripiego del primo tentativo fallito al cacciatorpediniere con numero di scafo DDG-68 USS The Sullivans del 3 gennaio 2000 dove la barca era affondata prima di ingaggiarlo a causa dell’eccessivo peso e cattiva distribuzione del carico, l’attacco alla Cole non è un elemento isolato bensì parte di un piano ben più ampio: Chiamato “2000 millennium attack plots” era nato come attacco terroristico multiplo pianificato nel contesto delle celebrazioni del millennio in cui quattro siti turistici in Giordania, l’Aeroporto Internazionale di Los Angels, il dirottamente del Volo 814 della Indian Airlines con tratta dal Nepal all’India erano stati scelti come obiettivi per ricordare al mondo quanto non fosse al sicuro. Fallito il tentativo di affondare il Sullivans la pianificazione di questo secondo tentativo era stata discussa, prima di essere approvata personalmente da bin Lāden durante un incontro con al-Nashiri in Afghanistan, il 5 gennaio durante un vertice di al Al-Qaida a Kuala Lumpur. In Malesia, nella camera d'albergo di Yazid Sufaat, ex capitano e uomo d’affari dell’esercito malese, diversi membri di alto livello avevano parlato per tre giorni pianificando finanziamenti, arruolamenti e futuri attacchi, compreso quello che il prossimo anno diventerà famoso come l’11 settembre. La partecipazione a questo meeting era composta da veterani arabi della guerra sovietico-afghana tra cui: Riduan Isamuddin, 36 anni, indonesiano, capo militare della Jemaah Islamiyah, un gruppo terroristico estremista militante del sud-est asiatico con sedi in Indonesia, Singapore, Malesia e Filippine; Ramzi bin al-Shibh, 28 anni, yemenita, fondatore della famigerata Hamburger Terrorzelle, un gruppo di islamisti radicali con sede ad Amburgo, in Germania; Walid Muhammad Salih bin Mubarak bin Attash, 22enne, yemenita, guardia del corpo di Osāma bin Lāden, selettore e addestratore dei dirottatori dei futuri attacchi dell’11 settembre 2001 agli Stati Uniti; Khalid Muhammad Abdallah al-Mihdhar, 25 anni, saudita e Nawaf Muhammed Salim al-Hazmi, 28 anni, saudita, entrambi combattenti coi mujaheddin bosniaci durante la guerra in Bosnia degli anni ’90, soldati scelti di bin Lāden nonché i dirottatori che uccideranno tutte le 64 persone a bordo insieme a 125 a terra prendendo nell’attacco coordinato dell’11 settembre 2001 il volo 77 dell’American Airlines lanciandolo sul Pentagono, l'edificio sede del quartier generale del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti d'America. Una volta deciso che per la successiva operazione al-Mihdhar sarebbe stato fisicamente sul posto per documentare gli eventi relazionandosi con Al-Qaida per tutte le fasi del piano, avevano previsto il suo trasferimento per il 10 giugno da San Diego, in California, nello Yemen fornendogli un alloggio che avrebbe condiviso con la moglie per tutta la durata dell’incarico da utilizzare come hub di comunicazione coi vertici dell’organizzazione. A fare da tramite per il denaro sarebbe stato invece bin Attash, il “direttore operativo”, che lo avrebbe dirottato in base alle esigenze, oltre che all’acquisto dei mezzi e la gestione degli affitti, anche ad altri due membri, Fahd Muhammad Al-Qasaa e Maamoun Ahmad Onswa, entrambi yemeniti ed entrambi ventenni, incaricati della movimentazione dell’esplosivo nel territorio nonché della corruzione di due agenti di polizia, Ali Muhammad Al-Muraqib e Murad Salih Al-Sorwri, per la fornitura di documenti falsi. Sono le ore 11:12 e tutto pare tranquillo sul ponte della Cole. All'interno, giù nella mensa molti dei membri dell'equipaggio stanno facendo la fila per il pranzo. Nessuno ha la minima idea di quello che sta per accadere, qualcuno chiacchiera col vicino, qualcun’altro è seduto al tavolo a consumare il pasto. Fuori, in movimento sull’acqua, a poche centinaia di metri di distanza la piccola imbarcazione a motore riparata e riconfigurata dopo il fallimento precedente si sta avvicinando lentamente. A bordo ci sono Ibrahim Al-Thour e Hassan Al-Khamri, yemeniti, giovanissimi che si guardano intorno sincerandosi di non essere seguiti e che l’imbarcazione non presenti gli stessi problemi avuti contro il Sullivans. Mescolandosi al gruppo di navi portuali che stanno aiutando la Cole per il rifornimento sono riusciti a passare inosservati. Aden è un porto trafficato e col numero di imbarcazioni da pesca e chiatte mercantili in movimento il barchino in fibra di vetro, non tanto diverso dagli altri, senza attirare l’attenzione di nessuno, né dei pescatori, né dei soldati sul ponte della Cole, procede in una virata a sinistra in direzione della nave da guerra puntando la fiancata sinistra. Non rallenta, anzi, il pilota non stacca la mano dalla manetta dell’acceleratore mentre il secondo è accanto a lui con la mano sull’interruttore. Entrambi sono in piedi, si guardano un attimo prima di volgere il loro sguardo verso la Cole. Le regole d’ingaggio del cacciatorpediniere, impedendo alle vedette di sparare sulla piccola imbarcazione durante l’avvicinamento senza prima il permesso di un ufficiale e comunque se non preventivamente attaccati, permette al barchino di arrivare a tutta velocità sotto gli occhi di tutti fin sotto la nave. Alle ore 11:15, quando per i marinai è troppo tardi per reagire, appena prima che il lato di dritta della barca colpisca il fianco della nave l’uomo con la mano sull’interruttore rilascia il pulsante. Il circuito elettrico viene chiuso, la corrente irrorata dalla batteria percorre in una frazione di secondo il cavo fino ai detonatori dove i ponticelli all’interno incendiano la miscela infiammabile. L’Azoturo di Piombo si innesca facendo partire la Pentrite che fa esplodere il trefolo di miccia detonante e quindi il C-4. La carica composta dal cuneo di metallo su cui sono spalmati i 250 chilogrammi di esplosivo detona con una velocità di 8.000 metri al secondo. La sua energia, venendo rilasciata direttamente dalla sua superficie così sagomata, anziché disperdere la propria potenza esplosiva in maniera omnidirezionale la concentra nella cavità. La maggiore efficienza energetica, causando un maggiore scarico di energia sul metallo con una pressione di oltre 1.000 tonnellate per centimetro quadrato trasforma il metallo del cuneo in un getto di plasma ad alta velocità che genera una temperatura e una sovrappressione tale da praticare una penetrazione nella piastra d'acciaio della fiancata della nave pari a 250 volte il diametro dell'ordigno. La Cole viene scossa da un’onda d’urto violentissima, l’esplosione è così potente che infilandosi sotto la cucina spinge il ponte verso l’alto aprendo uno squarcio nella corazzatura alto 12 metri, largo 18 e con una superficie di 150 metri quadrati. La nave sbanda di 4 gradi, la sala macchine e la sala officina dove tre tecnici stanno riposizionando l’attrezzatura dopo un lavoro di manutenzione, e la mensa gremita per il pranzo, sono attraversate da un’onda di sovrappressione devastante che scardina le porte, piega le paratie e trasforma gli oggetti e gli arredi in proiettili che martoriano e infilzano l’equipaggio scaraventato contro le pareti dall'onda d'urto che rimbalzando all’interno dei locali accentua l'effetto distruttivo colpendolo da più direzioni. Le ossa si frantumano, gli organi interni si spappolano. In 17 non sopravvivono, in 39 rimangono feriti, 11 in modo grave, 2 donne e 9 uomini. Dopo qualche secondo di silenzio dove un fumo nero e denso impedisce di vedere e di respirare, ecco che l’acqua inizia ad entrare inclinando la nave, fortunatamente non in modo fatale. La carica, esplodendo poco sotto il livello del mare, ha dissipato molta della sua energia posseduta non andando a compromettere oltremodo la chiglia, cosa che non sarebbe successa se si fosse trattato di una nave di tipo più vecchio poiché sarebbe stata condannata irrimediabilmente. Ci vorranno 96 ore perché l’equipaggio fermi l’allagamento scongiurando l’affondamento, mentre i feriti verranno smistati nei vari ospedali di Aden per poi essere trasportati prima presso il Landstuhl Regional Meridal Center dell'esercito degli Stati Uniti a Ramstein, in Germania, per poi essere trasferiti negli Stati Uniti. Da questo attacco, il più mortale contro una nave della marina statunitense dopo quello alla USS Stark del 17 maggio 1987 durante la guerra Iran-Iraq in cui un caccia Dassault Mirage F1 iracheno l’aveva colpita con due missili anti-nave uccidendo 37 membri di equipaggio, il presidente americano Bill Clinton ordinerà alle navi nel Golfo Persico di lasciare il porto e dirigersi verso il mare aperto. La Cole, ormai compromessa, verrà caricata sulla nave pontone norvegese Blue Marlin per essere riportata negli Stati Uniti.

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01 gennaio, 2022

Bombay, Victoria Dock, 14 aprile 1944

 

TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
14 aprile 1944
STATO: India
LUOGO:
Bombay, Victoria Dock
MORTI: 1.238
FERITI:
2.583

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È venerdì 14 aprile, sono le ore 13:30, è un mite pomeriggio di primavera a Bombay e qui, nella Capitale dello stato del Maharashtra, prima città per densità di popolazione, il porto è gremito di navi da guerra. Trovandosi sulla costa occidentale e possedendo un profondo porto naturale che movimenta quasi la metà del traffico merci marittimo dell’India, Bombay è anche un’importantissima base navale e un centro logistico fondamentale per il progetto di invasione del Giappone. Le navi in porto battono tutte le bandiere degli alleati, soldati europei, asiatici, americani, affollano la città comprando ricordi come i variopinti sari di seta, elefanti d'Avorio e bastoncini di incenso cinese. Come ogni giorno lungo i moli si lavora a pieno regime, i turni sono duri e molti materiali da movimentare sulla banchina presentano un grado di pericolosità elevano tanto da mantenere il livello di attenzione degli operatori addetti al carico e scarico costantemente alto. Alcuni di questi, appena rientrati dalla pausa pranzo iniziata alle ore 12:30, stanno risalendo a bordo del mercantile norvegese per carichi pesanti M/S Belray. Uno dei primi, nello scendere in una delle due stive ha appena notato con la coda dell’occhio un filo di fumo fuoriuscire da una delle prese d’aria della stiva di una nave ormeggiata nel Victoria Dock, la banchina contigua. Si tratta della SS Fort Stikine, una nave da carico di 7.142 tonnellate di stazza costruita nel 1942 a Prince Rupert, una città portuale nella Columbia Britannica. Il mercantile, dal nome di un ex avamposto della Compagnia della Baia di Hudson situato nell’attuale Wrangell, in Alaska, e di proprietà della War Shipping Administration, l’agenzia di guerra di emergenza del governo degli Stati Uniti d’America incaricata di acquistare e gestire il tonnellaggio di navi civili necessario per combattere la guerra, fa parte di una classe di 198 navi da carico per l’utilizzo dal parte del Regno Unito nell’ambito dello schema Lend-Lease. Questo è un programma promulgato l’11 marzo 1941 in base al quale gli Usa forniscono al Regno Unito, alla Francia libera, alla Repubblica di Cina, all’Unione Sovietica e alle altre nazione alleate, cibo, petrolio e approvvigionamenti militari incluse navi e aerei da guerra, per i quali gli Stati Uniti ricevono in cambio basi militari e navali in territorio alleato durante tutta la durata del conflitto. Il Fort Stikine, arrivato in porto il 12 aprile via Gibilterra, Port Said e Karachi e con le operazioni di scarico iniziate già da una notte con parte di fertilizzante e di olio combustibile già portati a terra, è reduce di una traversata di una cinquantina di giorni dopo avere lasciato l’Inghilterra da Birkenhead carico di munizionamento, bombe aeronautiche, esplosivo sfuso, aeroplani Supermanire Spitfire, approvvigionamenti, e 31 casse di lingotti d'oro del valore di 890 mila sterline destinati a stabilizzare la Rupìa indiana. Dopo una sosta in Pakistan e scaricati a Karachi gli aerei da caccia Spitfire, parte degli approvvigionamenti, delle munizioni e degli esplosivi, ha stivato al loro posto 1.000 barili di olio combustibile, sacchi di riso, legname, rottami di ferro, zolfo, resina, fertilizzanti a base di pesce, e con protesta del Capitano Alexander James Naismith anche 8.700 balle di cotone grezzo, una merce vietata nel trasporto su rotaia da Punjab a Bombay. Chiamati gli altri nella stiva numero 2 per osservare il fumo biancastro venire da babordo, il lato della nave più vicino alla banchina, gli uomini del Belray si precipitano sul ponte per dare l'allarme. Non c’è tempo da perdere, gli operatori di un mezzo antincendio in stazionamento sul molo, allertati dalle grida di quegli uomini che si sbracciano in maniera nervosa, si precipitano sotto la nave con gli idranti ma senza aver dato “l’allarme 2”, ovvero quello per gli incendi su navi con carichi pericolosi, errore al quale il vice-caposquadra, accortosi di tale ingenuità, si affretta a rimediare andando a digitare il numero “290” sul telefono della banchina. Ma il telefono, con grande stupore dell’uomo, è privo di disco combinatore. La situazione precipita. Il vice-caposquadra, percorrendo di corsa la banchina per 170 metri fino alla cabina dell’avvisatore antincendio, rompe il vetro per suonare il campanello, un campanello di un allarme moderato che allerta il centro di controllo ma per l’invio di sole due autopompe. Le lancette dell'orologio della torre del porto stanno segnando le ore 14:16 e dentro il Fort Strike trasformato in una gigantesca bomba galleggiante lunga 135 metri, 180 metri cubi di legname pericolosamente posizionato sopra le balle di cotone accanto ai barili d’olio stanno per innescare una massa di esplosivo gigantesca, mostruosa: 1.395 tonnellate. Nella parte sud-ovest della stiva, contenute in 50.000 casse di legno del peso di 52 chilogrammi ciascuna ci sono i pezzi del calibro 7,7 millimetri, il munizionamento delle 8 mitragliatrici Browning .303 Mark II che armano le tre torrette difensive dei bombardieri quadrimotori pesanti inglesi Avro 683 Lancaster. Ciascun colpo è caricato con Polvere Infume, una invenzione del chimico francese Paul Marie Eugène Vieille che aveva ottenuto un nuovo tipo di polvere da sparo di tipo propellente completamente diverso dalle altre e che sviluppava un’energia tre volte superiore producendo nel contempo fumi di combustione molto ridotti. Questo tipo di esplosivo era stato realizzato unendo una miscela di etere ed alcool al prodotto della gelatinizzazione della Nitrocellulosa, l’esplosivo scoperto nel 1838 dal chimico francese Théophile-Jules Pelouze da carta, lino e cotone, ricetta perfezionata e stabilizzata dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846 contemporaneamente al chimico tedesco Johann Friedrich Böttger. Nella porzione nord-ovest della stiva invece, confezionate in panetti del peso di 200 grammi l’uno e contenute in 7.000 casse di legno del peso netto di materiale equivalente a 34 chilogrammi ciascuna ci sono 238 tonnellate di esplosivo sfuso di tipo "A" ad alta sensibilità. Questo è il Trinitrotoluene, un esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt. Immediatamente accanto, impilate ordinatamente le une sulle altre nella parte nord-est della stiva ci sono le bombe aeronautiche e sono del tipo a caduta libera con carica di esplosivo ad alta velocità, un tipo di bombe che seguono una traiettoria balistica dopo il lancio in funzione della velocità del mezzo aereo e della sua quota in relazione alla quota del bersaglio a terra. Queste, “per operazioni speciali, ad alta capacità”, sono completamente diverse dalle classiche “per uso generico, a media capacità” utilizzate per le operazioni di bombardamento strategico e tattico con l’impiego di bombardieri a lungo raggio per sganciare grandi quantità di ordigni su parti di territorio nemico dietro la linea del fronte per minarne il morale, il sistema produttivo o le infrastrutture, o per supporto attaccando mezzi e truppe sul campo. Destinate ad un utilizzo chirurgico, preciso e altamente distruttivo, qui dentro ci sono 150 Blockbuster, dei cilindri in acciaio di completa distruzione progettati per scopi di bombardamento in cui è richiesto il massimo danno da esplosione. Sono bombe gigantesche che hanno una configurazione particolare, modulare, poiché le versioni maggiori sono studiate per essere costituite da sezioni affiancate della più piccola imbullonate tra loro. Stoccata nella stiva del Fort Stikine c’è la versione più pesante, misura 741 centimetri di lunghezza per 97 centimetri di diametro ed è costituita da quattro sezioni affiancate della versione più piccola da 782 chilogrammi di peso lunga 224 centimetri con un diametro di 76 e una carica esplosiva di 556 chilogrammi. La grande, pesante invece 5.443 chilogrammi contiene una carica esplosiva di 4.355 chilogrammi, in alcuni casi costituita da Torpex, in altri casi da Amatex. Sono entrambi esplosivi ad alta velocità, il primo è potentissimo, sviluppato nel 1942 presso la Fabbrica Reale Gunpowder, nel Waltham Abbey, nel Regno Unito, è 50% più potente del Trinitrotoluene ed è composto da 40% in peso di questo, 42% in peso di RDX e 18% in peso di polvere di alluminio. Il nome è l'abbreviazione di TORPedo EXplosiv, essendo stato originariamente sviluppato per la testata dei siluri. L’Amatex invece è una miscela esplosiva sviluppata dall’ammiragliato britannico nei primi anni della guerra ed è costituita da 51% in peso di Nitrato d’Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, 40% in peso di Trinitrotoluene e 9% in peso di RDX. Formalmente chiamato ciclotrimetilenetrinitramina, l’RDX ha caratteristiche eccezionali, è stato scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920. “RD” sta per Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, mentre la "X", la classificazione, è nata come lettera provvisoria poi rimasta definitiva. Separati da tutti, a sud-est dello scompartimento dedicato agli armamenti, chiusi in 500 casse ci sono i meccanismi più delicati, i detonatori e le spolette. I detonatori, del tipo a fuoco ed elettrico, sono gli artifizi esplosivi primari in grado di innescare l’esplosivo sfuso. Quelli elettrici, eredi del cilindretto di alluminio inventato nel 1876 da Julius Smith attivati da una scarica elettrica che arroventava un ponticello imbevuto in una soluzione infiammabile e innescava una carica di Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, nella versione “moderna” hanno il medesimo accenditore ma contengono due micro cariche, una secondaria di Pentrite, uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, che innesca una primaria di Azoturo di Piombo, il preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. I detonatori a fuoco invece, eredi di quello inventato da Alfred Nobel nel 1867 consistente in un tubetto di stagno riempito anch’esso di Fulminato di Mercurio, sono attivati da una classica miccia a lenta combustione, un cordone di cotone reso impermeabile con un’anima di Polvere Nera, esplosivo formato da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044 che suggeriva il dosaggio di un 74% in peso di nitrato di potassio, 15% in peso di carbone e 11% in peso di zolfo. Erede del cordone di canapa catramata con l’anima di polvere nera brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford, consente alla fiamma un percorso di un metro ogni 120 secondi. Le spolette invece, chiuse in altre casse di legno separate dai detonatori da un pannello di legno, consentono l’innesco dell’esplosivo contenuto nelle ogive delle bombe. Da montare sul naso delle ogive, questo tipo studiato appositamente per le Blockbuster sono di tipo meccanico, con una molla che rilascia un percussore all’impatto della bomba col terreno che arma il detonatore interno con innesco ad urto. Questo carico, minacciato dalle fiamme che metro dopo metro stanno avvolgendo la stiva, deve essere messo in sicurezza nel più breve tempo possibile. Sono passati 8 minuti dopo il primo squillo di sirena che l'ufficiale del più vicino distaccamento dei vigili del fuoco arriva sul posto con le due autopompe. Dopo aver osservato dall’interno l’incendio ormai già propagato si rende conto che è il cotone ad avere preso fuoco per primo. La causa? Una lanterna creduta spenta e ancora calda poggiata su una delle balle. I minuti passano e le fiamme, che si stanno espandendo con una velocità impressionante, hanno già acceso il legname che sta facendo aumentare esponenzialmente la temperatura nella stiva. Il metallo dei barili di olio combustibile si deforma e alcuni di questi, danneggiati nella movimentazione e nel trasporto ma stivati ugualmente nonostante perdessero olio, stanno per prendere fuoco. L’ufficiale, che sbianca alla vista del carico invia immediatamente “l’allarme numero 2” in modo da allertare altre 8 autopompe che arrivano in pochi minuti, sono le ore 14:35. Gli ultimi ad arrivare sono Norman Coombs, capo dei vigili del fuoco di Bombay, precipitatosi sulla banchina ancora in pantaloncini e giacca sportiva, e il Capitano Oberst, ufficiale dell’Indian Army Ordnance Corps, il corpo d’artiglieria dell’esercito, responsabile degli esplosivi in porto. Hanno in mano una planimetria del mercantile con la disposizione del carico nella stiva. In un velocissimo briefing assieme al Capitano Naismith e al Comandante Longmore della Royal Indian Navy, la forza navale dell’India Britannica, prendono coscienza che se la SS Fort Stikine dovesse saltare in aria sprofonderebbe con tutto il porto e parte della città. Il calore è immenso e tutto intorno l’acqua sta ribollendo, la nave deve essere immediatamente affondata. Ma il Colonnello Carl Liam Sadler, direttore generale del porto, non è d'accordo, il metro e mezzo d’acqua tra la chiglia della nave e il fondale del porto del punto in cui è ormeggiato il mercantile è troppo poco profondo e non coprirebbe neppure la parte inferiore della stiva numero 2. Mentre il Comandante Naismith, confuso da questi consigli contrastanti e titubante sul da farsi, l’olio prende fuoco con le cataste di legname e le balle di cotone diventate un’unica, immensa palla di fuoco. Sono le ore 14:50, mentre si decide se allontanare o no il mercantile dai moli trascinandolo al largo con dei rimorchiatori, 2 motoscafi antincendio arrivati nel frattempo sul posto, il Doris e Panwell, aprono altre 9 manichette sulla nave in fiamme, ma è troppo tardi, la situazione interna precipita vertiginosamente nella stiva diventata un immenso rogo coi pompieri che continuano a rovesciarvi da quasi un’ora 900 tonnellate d’acqua portando il numero delle manichette a terra da 11 a 32. Gli ultimi membri d’equipaggio lasciano il mercantile di corsa ma all’esterno la maggior parte dei portuali, non dando importanza agli eventi che si susseguono davanti alla Fort Stikine, continuano a lavorare come se nulla fosse, complice l’assenza di esposizione della bandiera rossa per indicare un carico pericoloso a bordo, una pratica interrotta in quanto avrebbe identificato tali navi in ​​caso di raid aereo nemico rendendole un bersaglio primario. Inoltre, essendo stata interrotta per lo stesso motivo anche l’obbligatorietà dello scaricamento in chiatte offshore delle merci a rischio come gli esplosivi di tipo “A”, i più pericolosi, praticamente nessuno a parte gli equipaggi e gli ufficiali del porto sapevano il reale contenuto di ogni bastimento. Ciò che i portuali stanno guardando con curiosità è solo un’anonima nave con del fuoco a bordo e delle operazioni di spegnimento, una cosa abbastanza frequente in un porto trafficato come quello, talmente frequente che un marinaio del Jalapadma, una nave da carico ormeggiata a poppa del Fort Stikine, finisce con l'annoiarsi a tal punto nello stare a guardare tutti quegli uomini con le pompe in mano da andarsene sottocoperta a leggere un libro. Solo uno spettatore si è accorto del reale pericolo, un marinaio del Belray, uno che conosce bene gli incendi perché li ha combattuti durante gli incessanti bombardamenti di Londra da parte dei tedeschi. Alla vista delle fiamme che stanno cambiando colore diventando giallo scuro gli riappare davanti agli occhi una frase del suo vecchio manuale d'istruzione antincendio: "fiamme giallo scure, pericolo esplosivi", sono le ore 16:06. L’uomo ha appena il tempo percorrere tutto il ponte del Belray urlando ai compagni di mettersi al riparo prima di gettarsi faccia a terra nel pozzetto del cannone che una fiammata si fa strada lungo i condotti e le aperture del mercantile di fronte levandosi in aria ben oltre l’albero maestro. La Fort Skitine salta in aria, l’esplosione scuote l’aria con tale violenza da mandare in tilt i sismografi dell'Osservatorio dell’Istituto Indiando di Geomagnetismo dell’isola di Colaba. Il mercantile viene spezzato in due scardinando la caldaia dai sostegni e sparandola attraverso le lamiere ad una distanza di 800 metri. La terra trema, a Bombay le strutture si aprono, fino a 1.600 metri i muri crollano, le finestre vanno in frantumi per 12 chilometri. Dal molo un gigantesco fungo di fuoco spazza via qualsiasi cosa lanciando in aria una pioggia di rottami e cotone in fiamme. Sulla banchina un ufficiale viene tagliato in due da un pezzo di lamiera, il Comandante Naismith e il Secondo Ufficiale sono trascinati via davanti all’ispettore marittimo che viene completamente spogliato, i pompieri sono falciati come spighe. In basso il mare si solleva di 10 metri, i bacini vengono devastati da un anello di fuoco che con la potenza di 1.000 uragani attraversa la superficie raggiungendo una dopo l’altra le navi ormeggiate. Il Doris e il Panwell spariscono; il Belray, della Armstrong Whitworth & Co. Ltd e del peso di 4.094 tonnellate viene sbattuto violentemente sul molo; il Jalapadma, la nave da carico inglese da 3.857 tonnellate della Scindia Steam Navigation Company viene divisa in due con la parte anteriore sollevata per 20 metri e scaraventata sul tetto di un capannone e la poppa lanciata per 180 metri; il Baroda, una nave da carico inglese da 3.172 tonnellate di proprietà della British India Steam Navigation Company viene incenerita; la HMIS El Hind, una nave passeggeri da 5.319 tonnellate utilizzata dalla Scindia Steam Navigation Company Ltd e requisita dalla Royal Indian Navy come nave da sbarco, viene scoperchiata assieme alla Fort Crevier e alla Kingyuan, due navi da carico inglesi, la prima di 7.142 tonnellate e la seconda, di proprietà della China Navigation Company, di 2.653 tonnellate; due navi da carico, la General van Sweiten, da 1.300 tonnellate, la General van der Heyden, da 1.213 tonnellate, e il Tinombo, un mercantile costiero da 872 tonnellate, tutte olandesi e di proprietà della Koninklijke Peketvaart-Maatschappij, sono sollevate e rovesciate su un lato dilaniando tra le lamiere 2, 15 e 8 membri dell’equipaggio; le chiglie della nave da carico norvegese Graciosa, da 1.173 tonnellate di proprietà di Skibs A/S Fjeld, e dei due mercantili panamensi Iran e Norse Trader, la prima da 5.677 tonnellate della Iran Steamship Company, la seconda da 3.507 tonnellate di proprietà di Wallen & Co. Sank, si squarciano per tutta la lunghezza piegandosi verso l’interno; alla nave da carico egiziana Rod El Farag, da 6.292 tonnellate, della Sociète Mirs de Navigation Maritime, il ponte viene completamente fatto a pezzi, la poppa è piegata verso l’alto e il lato destro rientra per metà; all’HMS LCP 323 e all’HMS LCP 866, due piccoli mezzi da sbarco inglesi del peso di 3.674 chilogrammi non va meglio, le lamiere accartocciate come fogli di carta sono strappate dalle chiglie sollevate dall’acqua e lanciate in direzione della vicina Empire Indus, una nave da carico inglese da 5.155 tonnellate e della vicina HMHS Chantilly, una nave passeggeri inglese da 10.017 tonnellate trasformata in nave ospedale, mentre vengono avvolte dalle fiamme e strappate dagli ormeggi. L’onda di sovrappressione, devastati i bacini raggiunge la terraferma. 55 mila tonnellate di cereali, le riserve di emergenza destinate alla carestia del Bengala sono cancellati, i sili che li contengono scoperchiati, rovesciati su un lato e aperti per tutta la lunghezza. Le balle di cotone in fiamme, cadendo dal cielo sulle navi attraccate, sul cantiere navale e sulle aree dei bassifondi fuori dal porto, incendiano due chilometri quadrati di superficie edificata. In un raggio di 800 metri dalla nave alcune delle porzioni più sviluppate ed economicamente importanti di Bombay vengono cancellate. In città frammenti di metallo rovente, mattoni e porzioni di cemento ricadono sulle case e sulle strade falciando i passanti e uccidendo chi non si trova al riparo. Un lingotto d’oro sfonda il tetto di una casa atterrando ai piedi di un vecchio che legge nel balcone al terzo piano. Nella stanza accanto, la moglie non ha il tempo di accorgersi di nulla, un frammento di banchina squarcia il muro della camera da letto trapassandole il petto. Sul Belrav, il marinaio che si è buttato nel pozzetto risale in coperta, ormai trasformata in un cumulo di ferro inclinato di 40 gradi, corpi senza vita e moribondi. Solleva di peso un compagno, gli scivola dalle mani per il troppo sangue, la gamba gli è stata strappata di netto, fatica a portarlo giù per la passerella ma cerca prendere anche gli altri. Va avanti e indietro più volte, dispone i feriti a terra tra due muri rimasti intatti, al riparo dai continui scoppi di munizioni. L'ultimo è un marinaio indiano che ha perso entrambe le gambe, lo raccoglie per caricarlo su una piccola automobile ferma sulla banchina, l'ha quasi raggiunta quando dal bagliore rossastro della nuvola di fumo che nasconde il Fort Skitine un boato scuote l’aria per la seconda volta. Sono le ore 16:46, la restante parte di esplosivo si è accesa. La detonazione è impressionante, molto più potente della precedente. Il marinaio spinge il compagno sotto l'automobile seguendolo nel fango prima di essere raggiunto dall’onda di sovrappressione che solleva l’auto da terra scaraventandola contro un muro. Il boato, sentendosi per 80 chilometri fa vibrare il terreno fino alla città di Shimla, a 1.750 chilometri. La prima esplosione, avvenendo lateralmente ha sfogato parte della sua forza contro l'acqua e contro i capannoni delle banchine, questa, con un effetto spaventoso si sviluppa invece verticalmente. Il fungo nero che si apre coprendo il precedente risucchia verso l’alto frammenti di metallo, legno e cotone infuocato per un'altezza di 1.500 metri, una seconda pioggia di detriti bersaglia terra e acqua in un raggio di 900 metri appiccando fuochi oltre i confini del porto, nei quartieri residenziali. Intorno lo scenario è infernale. 1.238 persone tra cui 410 militari, 531 civili, 231 operatori portuali e 66 pompieri, sono state dilaniate. I loro corpi smembrati, accartocciati come fogli di carta non hanno più una forma. Altre 2.583, civili, soldati inglesi, indiani, aviatori della RAF e uomini delle forze armate americane sono invece feriti in modo grave. Il porto non esiste più, sotto una colonna nera che si estende su tutta la baia le strutture sono state appiattite e un milione di tonnellate di macerie, parti umane e di animali ricoprono il terreno per chilometri. Anche dei due bacini resta ben poco: il Jalapadma, il Baroda, il Fort Crevier, la Graciosa, l’Iran e il Rod El Farag sono distrutte; il Belray, la HMIS El Hind, il Kingyuan, il General van Sweiten, il General van der Heyden, il Tinombo, la Norse Trader, l’HMS LCP 323 e l’HMS LCP 866 sono affondate, tre ponti girevoli d’ingresso sono fuori dai loro sostegni, l’ingresso del bacino Victoria è bloccato da una nave affondata all’interno e da una affondata all’esterno, l’imbocco invece è ostruito da un groviglio di alberi e sartiame. La Empire Indus e la HMHS Chantilly, miracolosamente sopravvissute ma ancora in fiamme, vagano lentamente verso la costa trasportate dalla corrente. La macchina dei soccorsi sarà imponente, mentre i funzionari portuali stanno allontanando in tutta fretta dirigendole in mare aperto altre 7 navi trasporto esplosivi dal bacino Alexandra, 6.000 indiani e 2.000 soldati inglesi si mobilitano allestendo postazioni di primo soccorso della Croce Rossa in tutta l’area con l’ospedale St. George che verrà intasato dai feriti mentre 80.000 persone resteranno senza una casa, anche loro vittime di una guerra che non sembra ancora vedere la fine.

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