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01 dicembre, 2022

Silvertown, Fabbrica Brunner Mond & Co, 19 gennaio 1917


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
19 gennaio 1917
STATO:
Inghilterra
LUOGO:
Silvertown, Fabbrica Brunner, Mond & Co
MORTI:
73
FERITI: 438

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 19 gennaio 1917, siamo a Silvertown, in una Inghilterra degli anni ’10 in guerra ed in continua evoluzione. Qui, sviluppato in un’importante area industriale dagli inizi del XIX secolo, il sobborgo del West Ham è cresciuto grazie al Metropolitan Building Act del 1844, una legge che limitava gli scambi di merci ad alto rischio all'interno dei confini di Londra. Proprio per la posizione fuori Londra, appena fuori da questi confini, con la sua estensione di 4,8 chilometri da est a ovest era il luogo ideale per le imprese che volessero trattare questo tipo di materiali. L'area, originariamente palustre e che offriva un facile accesso sia alle spedizioni via mare che alla forza lavoro, era abitata nel 1800 solo da 6.500 persone, numero destinato a crescere fino al superamento delle 300 mila unità nel 1900. Silvertown, nome proveniente dalla fabbrica di gomma SW Silver & Co. India fondata nel 19mo secolo, col tempo è diventata un’isola industriale sulla riva nord del fiume Tamigi, e assieme alle vicine Canning Town e West Ham, la più grande area manifatturiera nel sud dell'Inghilterra con attività che variano, tra le tante, dai produttori di sapone, ai mulini, alle raffinerie di zucchero, ai depositi di olio, tintorie e depositi di legname. Le fabbriche e le raffinerie costruite in questo sobborgo sono provviste di moli e dal punto di vista dei trasporti sono completamente autonome. Una di queste si trova a Crescent Wharf, sulla sponda sud del Tamigi. Costruita nel 1893 dalla Imperial Chemical Industries dove nel 1894 la ditta chimica Brunner, Mond & Co. aveva avviato le proprie attività, la fabbrica si era avviata con la produzione di cristalli di sodio, e in uno stabilimento più piccolo e poco distante, con l’idrossido di sodio, commercialmente noto come soda caustica utilizzato nella sintesi di coloranti, detergenti, saponi, nella fabbricazione della carta e nel trattamento delle fibre del cotone nonché nella produzione dell'ipoclorito di sodio, noto nell'uso comune come sbiancante e disinfettante col nome di candeggina. Quanto lo stabilimento più piccolo era stato chiuso nel 1912 col termine della produzione della soda caustica, la crescente domanda di munizioni trainata da una guerra dolorosamente rivelata più lunga del previsto, soprattutto per un paese non preparato a sostenere un conflitto così lungo e con sempre più necessità di riempitivi esplosivi affidabili, il governo inglese lo aveva rimesso operativo due anni dopo riadattandolo nel settembre del 1915 alla produzione del Trinitrotoluene. Esplosivo molto potente preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania l’anno dopo col nome di Tritolo o Tnt, grazie al vantaggio di essere un prodotto particolarmente stabile che gli permette di essere fuso a temperature relativamente basse, colato facilmente in forme diverse come testate di siluro o proiettili dirompenti ottenendo una forma perfettamente compatta, è adottato dalle forze armate come riempitivo dei proiettili d’artiglieria come sostitutivo della Lyddite, esplosivo altamente sensibile, troppo. Utilizzata fino al 1907, anno della sua sostituzione, la Lyddite era una variazione ottenuta aggiungendo dinitrobenzolo e vaselina nel 1888 in Gran Bretagna, nella città di Lydd, nella regione del Kent, dell’Acido Picrico, un composto organico scoperto dal chimico tedesco Johann Rudolph Glauber nel 1742, finito di sintetizzare correttamente nel 1841 e scoperto come esplosivo nel 1873 dal chimico anglo-tedesco Hermann Sprengel. Il vantaggio dei nuovi proiettili al Tritolo, essendo questo un prodotto ad alta stabilità poiché sotto l'urto di una massa battente del peso di 2 chilogrammi non detona se non da un’altezza di caduta di 80 centimetri, e ad alta velocità di detonazione, 7.800 metri al secondo, è che questi esplodono dopo aver sfondato la corazza del bersaglio, solitamente navale, e non al primo contatto con essa, cosa che non succedeva coi proietti precedenti. La facilità al maneggio, l’assoluta stabilità e la buona potenza, fanno sì che questo esplosivo si sia imposto fino ad ora come il migliore tra quelli conosciuti per usi bellici. La sua unica limitazione però è la scarsa possibilità di rifornimento della materia prima, il toluolo, i cui approvvigionamenti sono in questo momento insufficienti per l’eccessiva domanda, motivo per cui una buona parte del prodotto finito della Brunner, Mond & Co. andrà poi a fondersi con altri elementi per creare nuovi esplosivi utili al caricamento delle munizioni. La direzione della Brunner, Mond & Co. non è mai stata felice di avere nei propri impianti questo tipo di raffineria, sia perché circondata da altre attività contenenti materiali altamente combustibili come petrolio, creosoto, farina e legno, sia per la presenza a soli 200 metri delle fitte file di case dei lavoratori. Ma la sua abbondanza di manodopera e il facile accesso ai porti la rendevano una posizione troppo buona per essere trascurata tanto che la pressione continua della politica al Dipartimento per il Rifornimento degli Esplosivi ha costretto lo stabilimento fin dalla sua riconversione ad una produzione di 9 tonnellate giornaliere, un’enormità. Il lavoro prosegue senza particolari intoppi da 14 mesi, con occupati 63 lavoratori su tre turni al fine di garantire le tre fasi della nitrazione del toluolo in una produzione continua 24 ore su 24 senza mai fermare i giganteschi e robusti recipienti di ghisa riscaldati contenenti gli agitatori ad elica. In ogni recipiente, il cui riscaldamento è garantito da un’incamiciatura esterna e un circuito acqua-vapore, al toluolo puro di partenza nel peso di 500 chilogrammi vengono aggiunte 3 tonnellate di un miscuglio composto da un 60% di acido solforico e 20% di acido nitrico. Nella nitrazione, effettuata ad una temperatura iniziale non superiore a 40 gradi centigradi e terminale di 60, si ottiene il mononitrotoluene, un prodotto intermedio, impiegato in un secondo apparecchio nitratore per estrarre dall'acido riguadagnato quei quantitativi di Tritolo che rimangono sciolti nell'acido stesso, operazione questa che serve ad aumentarne il rendimento. In ultima fase, il prodotto ottenuto viene portato, mediante tubazioni riscaldate con mantello esterno di vapore in modo da conservarsi perfettamente fluido, in altri recipienti simili ai precedenti dove per due ore viene ulteriormente e definitivamente nitrato attraverso anche il graduale aumento della temperatura portata a 125 gradi centigradi prima del lavaggio finale. Col lavaggio del prodotto fuso proveniente dall'ultima fase si inizia raccogliendolo in un tino di piombo pieno d'acqua fredda tenuta violentemente in agitazione con aria compressa. Si ha in questo modo una prima granulazione dove, una volta che l’acido viene eliminato dall’acqua di lavaggio cambiata ripetutamente, i granuli sono passati in apparecchi di purificazione costituiti da altri tini di piombo con braccia agitatrici di legno e metallo in lento e continuo movimento. Il raffreddamento crea una cristallizzazione molto minuta, migliore condizione questa per avere una purificazione cristallo per cristallo e questa avviene in una soluzione concentrata di solfito di soda lavata prima con una soluzione cloridrica e poi con acqua pura. Nell’ultima parte della linea di produzione, con l’essicamento il Tritolo viene prima fuso nuovamente in tini vaporizzati e lasciato a riposare per alcune ore, poi è fatto passare in un labirinto riscaldato esternamente a vapore dove gli vengono fatte perdere le ultime sostanze estranee prima di essere filtrato e granulato tramite agitamento in un cilindro raffreddato ad acqua. Al termine del processo di raffinazione, controllato meticolosamente dall’inizio alla fine dal dottor Andreas Angel, un professore di Oxford che svolge qui attività volontaria come capo chimico, il prodotto finito ridotto a scaglie, pronto a servire alle successive operazioni di fusione o compressione, viene raccolto in sacchi di cotone e caricato a mano su vagoni ferroviari per essere spedito alle fabbriche di munizioni o ad altri stabilimenti, dove verrà incamerato singolarmente nelle ogive di bombe e proiettili o sarà unito, con un altro processo, in proporzioni variabili al Nitrato d'Ammonio. Questo, un fertilizzante preparato e descritto nel 1659 da Johann Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma, era stato scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. Assieme al Tritolo nelle percentuali del 60/40, 50/50, 80/20 è ottenuto l’Amatolo, una neonata miscela esplosiva creata dalle forze armate britanniche, meno costosa, potente quasi quanto il Tnt ma con lo svantaggio di essere igroscopica, cioè con la capacità di assorbire umidità nell’aria e quindi diventare pressoché inutilizzabile dopo lunghi periodi. Oggi 19 gennaio è un gelido venerdì sera, sono le ore 18:46 e le fabbriche sono in chiusura, ma non tutte. Lo stabilimento della Brunner, Mond & Co. è operativo, dieci uomini e dieci donne sono al lavoro all’interno dei locali accanto alla linea di produzione. All’esterno due bottai stanno chiudendo un vagone ferroviario, l’ultimo di una lunga fila in attesa di essere spedita nelle prime ore della mattina. A 200 metri, dove nelle case a schiera le persone sono nella zona giorno al piano terra, c’è chi prepara la cena, chi legge, chi invece gioca con figli. Qualcuno sente delle urla in lontananza, vengono dallo stabilimento, c’è del fumo è scoppiato un incendio. Si è sviluppato per un corto circuito nella stanza di uno dei crogioli della linea di produzione e si sta propagando velocemente, troppo velocemente. Sono i due bottai ad averlo visto per primi, poi le fiamme sempre più alte che locale dopo locale dilaniano ogni cosa. Non essendo di stanza sul posto una squadra antincendio, i due operai danno l’allarme con grida e fischi agli altri che in pochi secondi lasciano il posto precipitandosi fuori. Qui, un agente di polizia corso nel piazzale dall’esterno gli indica la direzione. È George Greenoff, un ufficiale della Royal Marine in servizio fuori dalla fabbrica, sa cosa vuol dire affrontare un incendio in presenza di esplosivi, sa che non tornerà nella sua casa di Rhea Street, a North Woolwich, sa che non rivedrà suo figlio Edward, di otto anni. Nello stabilimento il capo chimico è ancora dentro, mentre sta cercando con l’operaio George Wenbourne di contenere le fiamme che si sono allargate al piano superiore, in basso prive di controllo sono arrivate ai vagoni. In lontananza i residenti si sono riversati in strada, alcuni, ignari del pericolo assistono alla scena, altri si allontanano il più possibile in tutta fretta. Nelle abitazioni più distanti invece nessuno si è accorto di nulla: c’è chi legge, chi prepara la cena, chi gioca coi figli, ignari completamente di quello che sta per succedere nello stabilimento a qualche centinaio di metri dove nel piazzale appena fuori dalla recinzione, allertata da un ragazzo in strada è arrivata la squadra di pompieri di West Ham. Frederick Sell, 45 anni e il sottoufficiale Henry Vickers, 49 anni, entrambi di Fort Street, smontano dal camion nonostante gli venga urlato di non farlo. Mentre i due corrono con le manichette oltre gli enormi cancelli e altri accanto al camion si occupano di srotolare il tubo e allacciarlo alla cisterna dell’autopompa, una vampata avvolge le prime sale di stoccaggio al primo piano sfogando fuori dalle finestre. I volti dei presenti sbiancano, sono le ore 18:52. In una fulminea reazione a catena l’impianto esplode innescando i depositi al piano terra e i vagoni in stallo sui binari. Con un gigantesco boato 50 tonnellate di Trinitrotoluene saltano in aria. Londra trema, le luci della città si spengono, i vetri vanno in pezzi mentre il cielo si illumina a giorno. Una bolla di 39 milioni di litri di gas ad alta pressione avvolge la fabbrica disintegrando la linea di produzione, i depositi e la stazione, attraversa i piazzali chiudendo dietro di sé i pesanti cancelli fino a scardinarli lanciandoli in aria per due chilometri assieme all’autopompa. L’esplosione, così potente da sentirsi fino a Norwich, a 190 chilometri di distanza, schiaccia la zona industriale, 7 ettari tra moli e strade sono attraversate da un muro d’aria che strappa via le strutture dalle fondazioni. Dopo aver spazzato via la stazione dei pompieri, la fabbrica di compensato Vanesta e i locali commerciali dei Royal Victoria Docks di Canning Town, aver dilaniato le navi ormeggiate, la banchina e i due serbatoi d’olio combustibile della Silvertown Lubricants Oil, l’onda di sovrappressione oltrepassa il fiume raggiungendo il gasometro sulla penisola di Greenwich. 200.000 metri cubi di gas esplodono con una gigantesca palla di fuoco che illumina la notte inondando il cielo di lingue di fuoco e metallo mentre la sfera d’aria prosegue la sua corsa verso la zona residenziale. Mentre i piani alti vengono dilaniati i residenti, sorpresi nel pieno delle faccende domestiche, cercano di mettersi in salvo come possono nascondendosi sotto i tavoli. Ad alcuni va peggio, scaraventati fuori dalle finestre da un’onda d’urto che semina distruzione per chilometri. Dopo la tempesta arriva il silenzio, un silenzio quasi irreale ma che dura poco perché le strutture strappate da terra ricadono in pezzi su tutta l’area. Le coperture dei capannoni e delle case sono colpite da una pesante grandinata di metallo, legno e cemento. Lo scenario che gli si presenta davanti ai soccorsi che stanno arrivando da ogni parte di Londra è spettrale. Non è rimasto in piedi praticamente niente e quello che miracolosamente ha resistito sta bruciando. La stazione dei vigili del fuoco di Silvertown costruita solo tre anni fa non c’è più, così come la vicina scuola e la St. Barnabas Church su Eastwood Road. 974 abitazioni sono sparite, 69.837 sono pesantemente danneggiate, sul Tamigi le navi sono avvolte dalle fiamme così come i magazzini, i capannoni, i negozi, anche le 32 scuole non sono state risparmiate. I cereali dei due mulini, sollevati in aria dopo lo squarciamento della struttura, trasformati in fuoco e trasportati dal vento stanno appiccando incendi per chilometri. Dalla città di Kent, a 62 chilometri di distanza, i passanti stanno assistendo alla notte di Silvertown trasformata in giorno. Le strade sono disseminate di detriti, macchinari volati per aria, alcuni del peso di svariate tonnellate, sono precipitati sulle fabbriche e le case degli operai. Anche la caldaia dello stabilimento è volata via, ora si trova al centro della strada in una massa informe di metallo del peso di 15 tonnellate. 73 persone sono state fatte a pezzi, 438 sono rimaste ferite, molte sono gravissime. I danni sono incalcolabili. La fabbrica della Brunner, Mond & Co. non c’è più, al suo posto c’è un grosso cratere con dentro morti e macerie e tra questi c’è anche il dottor Angel, o quello che ne resta. Per strada i corpi giacciono contorti, smembrati, uomini, donne, anche bambini, qualcuno è sotto tonnellate di mattoni, qualcun altro sopra un muretto. Ci sono madri che cercano i figli, e poi gruppi di persone, stordite dall'accaduto e molte sanguinanti con addosso le giacche di chi le ha soccorse, che scavano assieme all’esercito e ai volontari tra le macerie di case e negozi alla ricerca di qualcuno che forse non rivedrà più. George Greenoff, colpito alla testa da una scheggia è a terra privo di sensi, morirà tra nove giorni in ospedale. Chi riesce a camminare viene medicato per strada in stazioni di pronto soccorso allestite all’aperto, la chiesa di San Barnaba, trasformata in ospedale, viene destinata ai casi più gravi mentre il Queen Mary's Hospital, diventato una gigantesca camera mortuaria, è in attesa dei primi corpi senza vita. La risposta locale è enorme ed immediata. L'esercito, i servizi di emergenza, le organizzazioni di beneficenza, i funzionari del governo locale e le persone comuni si precipitano per dare una mano come possono. Anche l’organizzazione dell’Esercito della Salvezza si è mobilitata aprendo nove rifugi presso scuole, chiese e ampi locali per fornire immediatamente alloggio, cibo e bevande calde. Qualcuno apre addirittura le porte di casa per dare riparo a chi una casa probabilmente non l’ha più, sono migliaia. Ci vorranno quattro giorni per spegnere i roghi e due mesi per rendere la zona nuovamente accessibile. Gli aiuti e i risarcimenti saranno ingenti e arriveranno da tutto il Regno Unito, anche dal Primo Ministro David Lloyd George e da Re Giorgio V, un piccolo gesto consolatorio per confortare, anche se in piccola parte, le famiglie delle vittime di quella che rimarrà per anni a venire la più grande esplosione nella storia di Londra. 

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01 agosto, 2022

Saltpan Reach, Porto, 27 maggio 1915

 

TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
27 maggio 1915
STATO:
Inghilterra
LUOGO: Saltpan Reach
MORTI:
352
FERITI:
84

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 27 maggio 1915, è mattino e alla boa numero 28 del porto di Saltpan Reach, sull'estuario del fiume Medway tra Port Victoria e l’antica città fortificata di Sheerness adiacente al cantiere navale della Royal Navy di Chatham, è ormeggiata la HMS Princess Irene. Con le sue 5.394 tonnellate, la HMS, “Her Majesty's Ship, la Nave di Sua Maestà, è stata varata l’anno scorso. Nata per essere un vettore oceanico di lusso per 1.500 passeggeri, progettata e costruita dalla William Denny e Brothers Ltd di Dumbarton, in Scozia, per la Canadian Pacific Railway, è stata inaugurata il 20 ottobre per servire, assieme alla sua gemella Princess Margaret, il percorso Vancouver-Victoria-Seattle. Prima di salpare per il viaggio inaugurale è stata requisita dalla Marina Reale Britannica che ha rimosso il ponte principale e ne ha modificato la configurazione per convertirla in nave posamine. L’Europa è in guerra, una situazione che mese dopo mese si prospetta più difficile del previsto, il predominio anglo-francese sui mari preclude alla Germania ogni fonte di approvvigionamento esterno e il blocco navale imposto dalla Gran Bretagna nella Manica tiene in una stretta mortale il commercio tedesco. La ritorsione della Germania, affidata alla micidiale azione dei sottomarini, è la decisione di spezzare questo blocco attraverso una guerra sottomarina che contempla la possibilità di colpire anche i paesi neutrali. Dopo l’affondamento del transatlantico RSM Lusitania con la morte di 1.201 passeggeri lo scorso 7 maggio, l’Inghilterra, iniziando a temere che questa guerra potrebbe non finire poi così presto, sta mobilitando il suo impero. Disponendo della più importante flotta commerciale del mondo importa quasi tutto il petrolio, e cosa più importante per un’isola densamente popolata, la metà delle derrate alimentari. Dove gli obiettivi delle operazioni navali sono la protezione dei convogli destinati al fronte francese in cui navi cariche di materiali e soldati attraversano le acque costantemente pattugliate da cacciatorpediniere e sommergibili, la posa degli sbarramenti minati difensivi è fondamentale per il blocco navale, sia allo scopo di precludere alla flotta tedesca l'uscita nell'aperto Oceano Atlantico, sia il suo commercio marittimo con le potenze neutrali, sia per proteggere il flusso di uomini e mezzi verso la Francia attraverso la manica con una rete di mine che copre una vasta superficie del Mare del Nord, tra la foce del Tamigi e l'Olanda. Per la costruzione di questa rete, programmata nella posa 128 mila mine in tre anni, in ausilio alle unità navali militari sono impiegate anche le mercantili appositamente modificate scelte per l’elevata capacità di carico e la precisione nella navigazione, caratteristiche di cui solo queste imbarcazioni sono provviste. Con imbarcati 225 membri di equipaggio, la Princess Irene è un colosso di 120 metri di lunghezza e largo 16 che, alimentata da quattro turbine a vapore in grado di spingerla fino alla velocità di 41,7 chilometri orari, imbarca un carico di 500 “Navy Spherical Mine” Type H Mark V, molto diverse dai primi seicenteschi prototipi inglesi che avevano messo a dura prova le navi di Luigi XIII. I barili di legno pieni di esplosivo con un acciarino da moschetto come dispositivo di accensione e ancorati a grosse pietre sul fondo, avevano funzionato così bene che gli ufficiali della Marina Pontificia ne avevano copiato il design per riadattarlo alla difesa dei porti dalle scorrerie dei pirati barbareschi. Di 102 centimetri di diametro e pesanti 399 chilogrammi, le mine Mark V, loro straordinaria evoluzione sotto il profilo tecnologico e offensivo, sono in preparazione sui carrelli per le messa in servizio per un totale di 113.500 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale armati e pronti all’uso. Partite dalle località fluviali di Woolwich e Upnor e arrivate a Saltpan Reach su delle chiatte lungo i fiumi Tamigi e Medway, sono un modello sferico “a contatto” Hertz, cioè ad attivazione ad urtante con fiala di acido solforico. Gli urtanti, sei spilli in piombo montati sulla superficie della sfera, quattro sulla parte superiore e due su quella inferiore, quando entrano a contatto con un corpo esterno si piegano rompendo la fiala di vetro all’interno che rilascia l’acido. Colando per gravità attraverso un condotto, questo è convogliato forzatamente fino a una batteria al piombo sotto lo spillo che viene attivata generando una corrente sufficiente ad alimentare il sistema di innesco. Questo è costituito da un detonatore elettrico all’Azoturo di Piombo, un tubicino d’innesco in alluminio erede di quello inventato da Julius Smith nel 1876, riempito col preparato della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890 che innesca una carica esplosiva cilindrica primaria di Trinitrotoluene, un esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo. Il booster, infilato per tutta la lunghezza all’interno dell’alloggiamento della carica principale, più grossa, funge da spinta per 227 chilogrammi di Amatolo 60/40 chiusi in una camera metallica stagna, una potente miscela creata dalle forze armate britanniche all’inizio della guerra e costituita da una percentuale del 40% di Trinitrotoluene e 60% di Nitrato d'ammonio. Concepito principalmente come fertilizzante e chiamato col nome di “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma, il Nitrato d’Ammonio è stato preparato e descritto nel 1659 da Johann Rudolph Glauber, un chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, per poi essere scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. Grazie al sistema di fissaggio della mina sul carrello, la posa in mare diventa semplice e veloce tanto che la Princess Irene è in grado di posare uno sbarramento di 12 chilometri in 20 minuti procedendo con una velocità costante di 20 nodi, circa 40 chilometri orari. Il carrello, un cassone in ferro di grande peso che funge da zavorra, durante il trasporto regge su di sé la mina semplificando la movimentazione rendendola in tal modo più sicura. Al suo interno contiene l’avvolgimento di un trefolo d’acciaio in grado di sostenere la mina e tenerla ancorata al carrello che, una volta rilasciato, si posa sul fondale facendola fluttuare alla profondità stabilita calcolata grazie ad un sistema a pressostato. Chiamato così per via di quattro ruote di derivazione ferroviaria che scorrono su rotaie imbullonate sul ponte della nave, il carrello viene sganciato in mare e, dopo qualche secondo di galleggiamento, affonda srotolando il cavo fino a raggiungere la profondità programmata dove il pressostato attiva, sotto la pressione dell’acqua, un meccanismo che fa scattare un freno di blocco del rocchetto facendo affondare la zavorra, trattenendo la mina ad una profondità compresa tra 5 e 10 metri dalla superficie e sganciando una molla che infila meccanicamente il detonatore all’interno del booster armando la carica principale. La Princess Irene è dotata di tre serie di binari sui due lati del ponte principale e altre due serie su quello posteriore, per poter imbarcare il maggior numero di mine le file di binari sono imbullonate il più vicino possibile le une alle altre, così vicine che nella posa dei carrelli gli operatori devono prestare la massima attenzione che gli urtanti di ogni mina non collidano tra loro. Si è sempre discusso in merito al personale addetto al carico e allo scarico delle merci, e ancora di più per la manipolazione degli armamenti e oggi, a bordo con l’equipaggio ci sono anche 78 operai della Sheerness Dockyard divisi in due squadre. Mentre una si sta occupando di verificare i rinforzi delle intelaiature in ferro che sostengono il peso delle mine sul ponte non progettato per un carico simile, l’altra sta registrando le rotaie in vista della partenza programmata per il 29. George Kilpatrick, che avrebbe dovuto far parte della seconda squadra, ottenendo un cambio turno dell’ultimo minuto è appena andato via. Anche il 21enne John Jeffrey Sutton non è a bordo, ha chiesto al Capitano il permesso di scendere a terra per un appuntamento dal dentista. Si è arruolato a Portsmouth nel giugno di tre anni fa e ottenuta la certificazione di sottufficiale in solo un anno è stato imbarcato a marzo sul posamine come segnalatore della Royal Navy. A bordo invece operai e membri dell’equipaggio si stanno occupando del delicato montaggio dei carrelli e in pesante ritardo sulla tabella di marcia stanno cercando di recuperarlo accelerando le operazioni. L’ispezione di ogni mina prima di essere trascinata nella sua corsia dopo il trasbordo dalla chiatta al ponte del posamine, operazione fino a pochi minuti fa meticolosa e particolarmente lunga, viene ridotta ad una verifica superficiale, veloce, troppo, talmente veloce da non vedere che un violento scossone durante la fase di rilascio delle cinghie nel poggiare una mina sul ponte ha fatto saltare il fermo di sicurezza della molla spingendo il detonatore nell’alloggiamento del booster. La mina, armata, è spostata sui binari e incolonnata alle altre. Sono le ore 11:08, le operazioni stanno volgendo al termine, i carrelli sono ordinatamente poggiati gli uni agli altri in un incastro perfetto con gli urtanti di ogni sfera che quasi si sfiorano. La mina innescata, silente in mezzo alle altre 499, ha accusato per ore gli effetti dell’atterraggio fuori controllo. Le vibrazioni, troppo intense per un marchingegno di tale complessità, hanno danneggiato anche la fiala di un urtante, filatura nel vetro che ha consentito all’acido di colare per il condotto, goccia dopo goccia, depositandosi sulla superficie della batteria che improvvisamente si attiva. La corrente elettrica, schizzando fino al detonatore lo accende. La miscela incendiaria al suo interno avvia l’Azoturo di Piombo sensibile al calore che innesca il Tritolo del booster facendo detonare la carica principale. L’Amatolo scatena la sua potenza, con una velocità di detonazione di 5.000 metri al secondo i 227 chilogrammi esplodono facendo saltare le mine di poppa innescando una velocissima reazione a catena. Una colonna di fuoco si alza nel cielo seguita da una seconda che sovrasta la precedente sollevandosi per 90 metri e lanciando in acqua chi si trova sul ponte. Nessuno ha il tempo di fare quasi nulla, in una frazione di secondo una terza fiammata avvolge la nave, la Her Majesty's Ship Princess Irene salta in aria. La furia delle 113.500 tonnellate di Amatolo solleva le 5.394 del posamine staccandolo letteralmente dall’acqua spezzandolo in due. L’equipaggio è fatto a pezzi, parti di corpi in fiamme sono lanciati in mare e sulla terraferma sparpagliati assieme a lamiere e detriti. Sotto una palla di fuoco che continua a salire verso il cielo, a pelo d’acqua l’onda d’urto generata viaggia ad una velocità mostruosa. Investe immediatamente le chiatte, le spoglia, scoperchia le cabine e prosegue raggiungendo una nave da trasporto carbone ad 800 metri dove strappa i bulloni della gru dalle piastre scaraventandoci addosso una caldaia, sradicando la struttura dai sostegni e sventrando un marinaio con una scheggia di metallo del peso di 46 chilogrammi. Dopo avere portato distruzione in mare, l’onda di sovrappressione impatta a tutta velocità sulla costa. Il muro d’aria, accompagnato da una tempesta di frammenti colpisce il deposito di combustibili dell'Admiralty di Port Victoria perforando le cisterne della stazione di pompaggio che esplodono radendo al suolo parte dell’area industriale. Ad Isle of Grain, il punto più orientale della penisola di Hoo nel distretto di Medway nel Kent, non va di certo meglio, una pioggia di fuoco e ferro si riversa sulle case, sulle campagne, sulle persone. Nel giardino di casa, una mamma si vede decapitare davanti agli occhi la figlia di nove anni da un frammento di ferro di 35 chilogrammi mentre una sezione di 10.160 chilogrammi del posamine compare dal nulla conficcandosi in un terreno poco distante. In un raggio di 32 chilometri dal cielo piove metallo, parti delle caldaie e della chiglia bombardano la costa, a Sittingbourne un fumaiolo atterra in un parcheggio, a Bredhurst un pezzo della prua scoperchia un negozio, ad Hartlip alcune paratie sfregiano una palazzina e ad Rainham una porzione del ponte infilza una delle vie più trafficate. 84 persone vengono colpite, fortunatamente molte saranno in grado di raccontarlo. Nel Punto Zero invece è calato il silenzio. La Princess Irene si è disintegrata. Da un fungo nero alto 400 metri, come fogli di carta giù da un palazzo planano lamiere sull’acqua intrisa d’olio che brucia su una distesa di corpi straziati. In città John Jeffrey Sutton è ancora dal dentista quando la finestra si spalanca con un ruggito. Si alza dal lettino, si affaccia, la gente si è riversata in strada e indica qualcosa verso il mare. Sutton si precipita in strada, guarda la costa, un’immensa colonna di fumo copre il cielo proprio dove c’era la sua nave, disintegrata, sparita portando con sé 352 anime vittime di una disattenzione che probabilmente, anzi, quasi sicuramente si sarebbe potuta evitare.

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01 gennaio, 2022

Bombay, Victoria Dock, 14 aprile 1944

 

TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
14 aprile 1944
STATO: India
LUOGO:
Bombay, Victoria Dock
MORTI: 1.238
FERITI:
2.583

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È venerdì 14 aprile, sono le ore 13:30, è un mite pomeriggio di primavera a Bombay e qui, nella Capitale dello stato del Maharashtra, prima città per densità di popolazione, il porto è gremito di navi da guerra. Trovandosi sulla costa occidentale e possedendo un profondo porto naturale che movimenta quasi la metà del traffico merci marittimo dell’India, Bombay è anche un’importantissima base navale e un centro logistico fondamentale per il progetto di invasione del Giappone. Le navi in porto battono tutte le bandiere degli alleati, soldati europei, asiatici, americani, affollano la città comprando ricordi come i variopinti sari di seta, elefanti d'Avorio e bastoncini di incenso cinese. Come ogni giorno lungo i moli si lavora a pieno regime, i turni sono duri e molti materiali da movimentare sulla banchina presentano un grado di pericolosità elevano tanto da mantenere il livello di attenzione degli operatori addetti al carico e scarico costantemente alto. Alcuni di questi, appena rientrati dalla pausa pranzo iniziata alle ore 12:30, stanno risalendo a bordo del mercantile norvegese per carichi pesanti M/S Belray. Uno dei primi, nello scendere in una delle due stive ha appena notato con la coda dell’occhio un filo di fumo fuoriuscire da una delle prese d’aria della stiva di una nave ormeggiata nel Victoria Dock, la banchina contigua. Si tratta della SS Fort Stikine, una nave da carico di 7.142 tonnellate di stazza costruita nel 1942 a Prince Rupert, una città portuale nella Columbia Britannica. Il mercantile, dal nome di un ex avamposto della Compagnia della Baia di Hudson situato nell’attuale Wrangell, in Alaska, e di proprietà della War Shipping Administration, l’agenzia di guerra di emergenza del governo degli Stati Uniti d’America incaricata di acquistare e gestire il tonnellaggio di navi civili necessario per combattere la guerra, fa parte di una classe di 198 navi da carico per l’utilizzo dal parte del Regno Unito nell’ambito dello schema Lend-Lease. Questo è un programma promulgato l’11 marzo 1941 in base al quale gli Usa forniscono al Regno Unito, alla Francia libera, alla Repubblica di Cina, all’Unione Sovietica e alle altre nazione alleate, cibo, petrolio e approvvigionamenti militari incluse navi e aerei da guerra, per i quali gli Stati Uniti ricevono in cambio basi militari e navali in territorio alleato durante tutta la durata del conflitto. Il Fort Stikine, arrivato in porto il 12 aprile via Gibilterra, Port Said e Karachi e con le operazioni di scarico iniziate già da una notte con parte di fertilizzante e di olio combustibile già portati a terra, è reduce di una traversata di una cinquantina di giorni dopo avere lasciato l’Inghilterra da Birkenhead carico di munizionamento, bombe aeronautiche, esplosivo sfuso, aeroplani Supermanire Spitfire, approvvigionamenti, e 31 casse di lingotti d'oro del valore di 890 mila sterline destinati a stabilizzare la Rupìa indiana. Dopo una sosta in Pakistan e scaricati a Karachi gli aerei da caccia Spitfire, parte degli approvvigionamenti, delle munizioni e degli esplosivi, ha stivato al loro posto 1.000 barili di olio combustibile, sacchi di riso, legname, rottami di ferro, zolfo, resina, fertilizzanti a base di pesce, e con protesta del Capitano Alexander James Naismith anche 8.700 balle di cotone grezzo, una merce vietata nel trasporto su rotaia da Punjab a Bombay. Chiamati gli altri nella stiva numero 2 per osservare il fumo biancastro venire da babordo, il lato della nave più vicino alla banchina, gli uomini del Belray si precipitano sul ponte per dare l'allarme. Non c’è tempo da perdere, gli operatori di un mezzo antincendio in stazionamento sul molo, allertati dalle grida di quegli uomini che si sbracciano in maniera nervosa, si precipitano sotto la nave con gli idranti ma senza aver dato “l’allarme 2”, ovvero quello per gli incendi su navi con carichi pericolosi, errore al quale il vice-caposquadra, accortosi di tale ingenuità, si affretta a rimediare andando a digitare il numero “290” sul telefono della banchina. Ma il telefono, con grande stupore dell’uomo, è privo di disco combinatore. La situazione precipita. Il vice-caposquadra, percorrendo di corsa la banchina per 170 metri fino alla cabina dell’avvisatore antincendio, rompe il vetro per suonare il campanello, un campanello di un allarme moderato che allerta il centro di controllo ma per l’invio di sole due autopompe. Le lancette dell'orologio della torre del porto stanno segnando le ore 14:16 e dentro il Fort Strike trasformato in una gigantesca bomba galleggiante lunga 135 metri, 180 metri cubi di legname pericolosamente posizionato sopra le balle di cotone accanto ai barili d’olio stanno per innescare una massa di esplosivo gigantesca, mostruosa: 1.395 tonnellate. Nella parte sud-ovest della stiva, contenute in 50.000 casse di legno del peso di 52 chilogrammi ciascuna ci sono i pezzi del calibro 7,7 millimetri, il munizionamento delle 8 mitragliatrici Browning .303 Mark II che armano le tre torrette difensive dei bombardieri quadrimotori pesanti inglesi Avro 683 Lancaster. Ciascun colpo è caricato con Polvere Infume, una invenzione del chimico francese Paul Marie Eugène Vieille che aveva ottenuto un nuovo tipo di polvere da sparo di tipo propellente completamente diverso dalle altre e che sviluppava un’energia tre volte superiore producendo nel contempo fumi di combustione molto ridotti. Questo tipo di esplosivo era stato realizzato unendo una miscela di etere ed alcool al prodotto della gelatinizzazione della Nitrocellulosa, l’esplosivo scoperto nel 1838 dal chimico francese Théophile-Jules Pelouze da carta, lino e cotone, ricetta perfezionata e stabilizzata dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846 contemporaneamente al chimico tedesco Johann Friedrich Böttger. Nella porzione nord-ovest della stiva invece, confezionate in panetti del peso di 200 grammi l’uno e contenute in 7.000 casse di legno del peso netto di materiale equivalente a 34 chilogrammi ciascuna ci sono 238 tonnellate di esplosivo sfuso di tipo "A" ad alta sensibilità. Questo è il Trinitrotoluene, un esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt. Immediatamente accanto, impilate ordinatamente le une sulle altre nella parte nord-est della stiva ci sono le bombe aeronautiche e sono del tipo a caduta libera con carica di esplosivo ad alta velocità, un tipo di bombe che seguono una traiettoria balistica dopo il lancio in funzione della velocità del mezzo aereo e della sua quota in relazione alla quota del bersaglio a terra. Queste, “per operazioni speciali, ad alta capacità”, sono completamente diverse dalle classiche “per uso generico, a media capacità” utilizzate per le operazioni di bombardamento strategico e tattico con l’impiego di bombardieri a lungo raggio per sganciare grandi quantità di ordigni su parti di territorio nemico dietro la linea del fronte per minarne il morale, il sistema produttivo o le infrastrutture, o per supporto attaccando mezzi e truppe sul campo. Destinate ad un utilizzo chirurgico, preciso e altamente distruttivo, qui dentro ci sono 150 Blockbuster, dei cilindri in acciaio di completa distruzione progettati per scopi di bombardamento in cui è richiesto il massimo danno da esplosione. Sono bombe gigantesche che hanno una configurazione particolare, modulare, poiché le versioni maggiori sono studiate per essere costituite da sezioni affiancate della più piccola imbullonate tra loro. Stoccata nella stiva del Fort Stikine c’è la versione più pesante, misura 741 centimetri di lunghezza per 97 centimetri di diametro ed è costituita da quattro sezioni affiancate della versione più piccola da 782 chilogrammi di peso lunga 224 centimetri con un diametro di 76 e una carica esplosiva di 556 chilogrammi. La grande, pesante invece 5.443 chilogrammi contiene una carica esplosiva di 4.355 chilogrammi, in alcuni casi costituita da Torpex, in altri casi da Amatex. Sono entrambi esplosivi ad alta velocità, il primo è potentissimo, sviluppato nel 1942 presso la Fabbrica Reale Gunpowder, nel Waltham Abbey, nel Regno Unito, è 50% più potente del Trinitrotoluene ed è composto da 40% in peso di questo, 42% in peso di RDX e 18% in peso di polvere di alluminio. Il nome è l'abbreviazione di TORPedo EXplosiv, essendo stato originariamente sviluppato per la testata dei siluri. L’Amatex invece è una miscela esplosiva sviluppata dall’ammiragliato britannico nei primi anni della guerra ed è costituita da 51% in peso di Nitrato d’Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, 40% in peso di Trinitrotoluene e 9% in peso di RDX. Formalmente chiamato ciclotrimetilenetrinitramina, l’RDX ha caratteristiche eccezionali, è stato scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920. “RD” sta per Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, mentre la "X", la classificazione, è nata come lettera provvisoria poi rimasta definitiva. Separati da tutti, a sud-est dello scompartimento dedicato agli armamenti, chiusi in 500 casse ci sono i meccanismi più delicati, i detonatori e le spolette. I detonatori, del tipo a fuoco ed elettrico, sono gli artifizi esplosivi primari in grado di innescare l’esplosivo sfuso. Quelli elettrici, eredi del cilindretto di alluminio inventato nel 1876 da Julius Smith attivati da una scarica elettrica che arroventava un ponticello imbevuto in una soluzione infiammabile e innescava una carica di Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, nella versione “moderna” hanno il medesimo accenditore ma contengono due micro cariche, una secondaria di Pentrite, uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, che innesca una primaria di Azoturo di Piombo, il preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. I detonatori a fuoco invece, eredi di quello inventato da Alfred Nobel nel 1867 consistente in un tubetto di stagno riempito anch’esso di Fulminato di Mercurio, sono attivati da una classica miccia a lenta combustione, un cordone di cotone reso impermeabile con un’anima di Polvere Nera, esplosivo formato da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044 che suggeriva il dosaggio di un 74% in peso di nitrato di potassio, 15% in peso di carbone e 11% in peso di zolfo. Erede del cordone di canapa catramata con l’anima di polvere nera brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford, consente alla fiamma un percorso di un metro ogni 120 secondi. Le spolette invece, chiuse in altre casse di legno separate dai detonatori da un pannello di legno, consentono l’innesco dell’esplosivo contenuto nelle ogive delle bombe. Da montare sul naso delle ogive, questo tipo studiato appositamente per le Blockbuster sono di tipo meccanico, con una molla che rilascia un percussore all’impatto della bomba col terreno che arma il detonatore interno con innesco ad urto. Questo carico, minacciato dalle fiamme che metro dopo metro stanno avvolgendo la stiva, deve essere messo in sicurezza nel più breve tempo possibile. Sono passati 8 minuti dopo il primo squillo di sirena che l'ufficiale del più vicino distaccamento dei vigili del fuoco arriva sul posto con le due autopompe. Dopo aver osservato dall’interno l’incendio ormai già propagato si rende conto che è il cotone ad avere preso fuoco per primo. La causa? Una lanterna creduta spenta e ancora calda poggiata su una delle balle. I minuti passano e le fiamme, che si stanno espandendo con una velocità impressionante, hanno già acceso il legname che sta facendo aumentare esponenzialmente la temperatura nella stiva. Il metallo dei barili di olio combustibile si deforma e alcuni di questi, danneggiati nella movimentazione e nel trasporto ma stivati ugualmente nonostante perdessero olio, stanno per prendere fuoco. L’ufficiale, che sbianca alla vista del carico invia immediatamente “l’allarme numero 2” in modo da allertare altre 8 autopompe che arrivano in pochi minuti, sono le ore 14:35. Gli ultimi ad arrivare sono Norman Coombs, capo dei vigili del fuoco di Bombay, precipitatosi sulla banchina ancora in pantaloncini e giacca sportiva, e il Capitano Oberst, ufficiale dell’Indian Army Ordnance Corps, il corpo d’artiglieria dell’esercito, responsabile degli esplosivi in porto. Hanno in mano una planimetria del mercantile con la disposizione del carico nella stiva. In un velocissimo briefing assieme al Capitano Naismith e al Comandante Longmore della Royal Indian Navy, la forza navale dell’India Britannica, prendono coscienza che se la SS Fort Stikine dovesse saltare in aria sprofonderebbe con tutto il porto e parte della città. Il calore è immenso e tutto intorno l’acqua sta ribollendo, la nave deve essere immediatamente affondata. Ma il Colonnello Carl Liam Sadler, direttore generale del porto, non è d'accordo, il metro e mezzo d’acqua tra la chiglia della nave e il fondale del porto del punto in cui è ormeggiato il mercantile è troppo poco profondo e non coprirebbe neppure la parte inferiore della stiva numero 2. Mentre il Comandante Naismith, confuso da questi consigli contrastanti e titubante sul da farsi, l’olio prende fuoco con le cataste di legname e le balle di cotone diventate un’unica, immensa palla di fuoco. Sono le ore 14:50, mentre si decide se allontanare o no il mercantile dai moli trascinandolo al largo con dei rimorchiatori, 2 motoscafi antincendio arrivati nel frattempo sul posto, il Doris e Panwell, aprono altre 9 manichette sulla nave in fiamme, ma è troppo tardi, la situazione interna precipita vertiginosamente nella stiva diventata un immenso rogo coi pompieri che continuano a rovesciarvi da quasi un’ora 900 tonnellate d’acqua portando il numero delle manichette a terra da 11 a 32. Gli ultimi membri d’equipaggio lasciano il mercantile di corsa ma all’esterno la maggior parte dei portuali, non dando importanza agli eventi che si susseguono davanti alla Fort Stikine, continuano a lavorare come se nulla fosse, complice l’assenza di esposizione della bandiera rossa per indicare un carico pericoloso a bordo, una pratica interrotta in quanto avrebbe identificato tali navi in ​​caso di raid aereo nemico rendendole un bersaglio primario. Inoltre, essendo stata interrotta per lo stesso motivo anche l’obbligatorietà dello scaricamento in chiatte offshore delle merci a rischio come gli esplosivi di tipo “A”, i più pericolosi, praticamente nessuno a parte gli equipaggi e gli ufficiali del porto sapevano il reale contenuto di ogni bastimento. Ciò che i portuali stanno guardando con curiosità è solo un’anonima nave con del fuoco a bordo e delle operazioni di spegnimento, una cosa abbastanza frequente in un porto trafficato come quello, talmente frequente che un marinaio del Jalapadma, una nave da carico ormeggiata a poppa del Fort Stikine, finisce con l'annoiarsi a tal punto nello stare a guardare tutti quegli uomini con le pompe in mano da andarsene sottocoperta a leggere un libro. Solo uno spettatore si è accorto del reale pericolo, un marinaio del Belray, uno che conosce bene gli incendi perché li ha combattuti durante gli incessanti bombardamenti di Londra da parte dei tedeschi. Alla vista delle fiamme che stanno cambiando colore diventando giallo scuro gli riappare davanti agli occhi una frase del suo vecchio manuale d'istruzione antincendio: "fiamme giallo scure, pericolo esplosivi", sono le ore 16:06. L’uomo ha appena il tempo percorrere tutto il ponte del Belray urlando ai compagni di mettersi al riparo prima di gettarsi faccia a terra nel pozzetto del cannone che una fiammata si fa strada lungo i condotti e le aperture del mercantile di fronte levandosi in aria ben oltre l’albero maestro. La Fort Skitine salta in aria, l’esplosione scuote l’aria con tale violenza da mandare in tilt i sismografi dell'Osservatorio dell’Istituto Indiando di Geomagnetismo dell’isola di Colaba. Il mercantile viene spezzato in due scardinando la caldaia dai sostegni e sparandola attraverso le lamiere ad una distanza di 800 metri. La terra trema, a Bombay le strutture si aprono, fino a 1.600 metri i muri crollano, le finestre vanno in frantumi per 12 chilometri. Dal molo un gigantesco fungo di fuoco spazza via qualsiasi cosa lanciando in aria una pioggia di rottami e cotone in fiamme. Sulla banchina un ufficiale viene tagliato in due da un pezzo di lamiera, il Comandante Naismith e il Secondo Ufficiale sono trascinati via davanti all’ispettore marittimo che viene completamente spogliato, i pompieri sono falciati come spighe. In basso il mare si solleva di 10 metri, i bacini vengono devastati da un anello di fuoco che con la potenza di 1.000 uragani attraversa la superficie raggiungendo una dopo l’altra le navi ormeggiate. Il Doris e il Panwell spariscono; il Belray, della Armstrong Whitworth & Co. Ltd e del peso di 4.094 tonnellate viene sbattuto violentemente sul molo; il Jalapadma, la nave da carico inglese da 3.857 tonnellate della Scindia Steam Navigation Company viene divisa in due con la parte anteriore sollevata per 20 metri e scaraventata sul tetto di un capannone e la poppa lanciata per 180 metri; il Baroda, una nave da carico inglese da 3.172 tonnellate di proprietà della British India Steam Navigation Company viene incenerita; la HMIS El Hind, una nave passeggeri da 5.319 tonnellate utilizzata dalla Scindia Steam Navigation Company Ltd e requisita dalla Royal Indian Navy come nave da sbarco, viene scoperchiata assieme alla Fort Crevier e alla Kingyuan, due navi da carico inglesi, la prima di 7.142 tonnellate e la seconda, di proprietà della China Navigation Company, di 2.653 tonnellate; due navi da carico, la General van Sweiten, da 1.300 tonnellate, la General van der Heyden, da 1.213 tonnellate, e il Tinombo, un mercantile costiero da 872 tonnellate, tutte olandesi e di proprietà della Koninklijke Peketvaart-Maatschappij, sono sollevate e rovesciate su un lato dilaniando tra le lamiere 2, 15 e 8 membri dell’equipaggio; le chiglie della nave da carico norvegese Graciosa, da 1.173 tonnellate di proprietà di Skibs A/S Fjeld, e dei due mercantili panamensi Iran e Norse Trader, la prima da 5.677 tonnellate della Iran Steamship Company, la seconda da 3.507 tonnellate di proprietà di Wallen & Co. Sank, si squarciano per tutta la lunghezza piegandosi verso l’interno; alla nave da carico egiziana Rod El Farag, da 6.292 tonnellate, della Sociète Mirs de Navigation Maritime, il ponte viene completamente fatto a pezzi, la poppa è piegata verso l’alto e il lato destro rientra per metà; all’HMS LCP 323 e all’HMS LCP 866, due piccoli mezzi da sbarco inglesi del peso di 3.674 chilogrammi non va meglio, le lamiere accartocciate come fogli di carta sono strappate dalle chiglie sollevate dall’acqua e lanciate in direzione della vicina Empire Indus, una nave da carico inglese da 5.155 tonnellate e della vicina HMHS Chantilly, una nave passeggeri inglese da 10.017 tonnellate trasformata in nave ospedale, mentre vengono avvolte dalle fiamme e strappate dagli ormeggi. L’onda di sovrappressione, devastati i bacini raggiunge la terraferma. 55 mila tonnellate di cereali, le riserve di emergenza destinate alla carestia del Bengala sono cancellati, i sili che li contengono scoperchiati, rovesciati su un lato e aperti per tutta la lunghezza. Le balle di cotone in fiamme, cadendo dal cielo sulle navi attraccate, sul cantiere navale e sulle aree dei bassifondi fuori dal porto, incendiano due chilometri quadrati di superficie edificata. In un raggio di 800 metri dalla nave alcune delle porzioni più sviluppate ed economicamente importanti di Bombay vengono cancellate. In città frammenti di metallo rovente, mattoni e porzioni di cemento ricadono sulle case e sulle strade falciando i passanti e uccidendo chi non si trova al riparo. Un lingotto d’oro sfonda il tetto di una casa atterrando ai piedi di un vecchio che legge nel balcone al terzo piano. Nella stanza accanto, la moglie non ha il tempo di accorgersi di nulla, un frammento di banchina squarcia il muro della camera da letto trapassandole il petto. Sul Belrav, il marinaio che si è buttato nel pozzetto risale in coperta, ormai trasformata in un cumulo di ferro inclinato di 40 gradi, corpi senza vita e moribondi. Solleva di peso un compagno, gli scivola dalle mani per il troppo sangue, la gamba gli è stata strappata di netto, fatica a portarlo giù per la passerella ma cerca prendere anche gli altri. Va avanti e indietro più volte, dispone i feriti a terra tra due muri rimasti intatti, al riparo dai continui scoppi di munizioni. L'ultimo è un marinaio indiano che ha perso entrambe le gambe, lo raccoglie per caricarlo su una piccola automobile ferma sulla banchina, l'ha quasi raggiunta quando dal bagliore rossastro della nuvola di fumo che nasconde il Fort Skitine un boato scuote l’aria per la seconda volta. Sono le ore 16:46, la restante parte di esplosivo si è accesa. La detonazione è impressionante, molto più potente della precedente. Il marinaio spinge il compagno sotto l'automobile seguendolo nel fango prima di essere raggiunto dall’onda di sovrappressione che solleva l’auto da terra scaraventandola contro un muro. Il boato, sentendosi per 80 chilometri fa vibrare il terreno fino alla città di Shimla, a 1.750 chilometri. La prima esplosione, avvenendo lateralmente ha sfogato parte della sua forza contro l'acqua e contro i capannoni delle banchine, questa, con un effetto spaventoso si sviluppa invece verticalmente. Il fungo nero che si apre coprendo il precedente risucchia verso l’alto frammenti di metallo, legno e cotone infuocato per un'altezza di 1.500 metri, una seconda pioggia di detriti bersaglia terra e acqua in un raggio di 900 metri appiccando fuochi oltre i confini del porto, nei quartieri residenziali. Intorno lo scenario è infernale. 1.238 persone tra cui 410 militari, 531 civili, 231 operatori portuali e 66 pompieri, sono state dilaniate. I loro corpi smembrati, accartocciati come fogli di carta non hanno più una forma. Altre 2.583, civili, soldati inglesi, indiani, aviatori della RAF e uomini delle forze armate americane sono invece feriti in modo grave. Il porto non esiste più, sotto una colonna nera che si estende su tutta la baia le strutture sono state appiattite e un milione di tonnellate di macerie, parti umane e di animali ricoprono il terreno per chilometri. Anche dei due bacini resta ben poco: il Jalapadma, il Baroda, il Fort Crevier, la Graciosa, l’Iran e il Rod El Farag sono distrutte; il Belray, la HMIS El Hind, il Kingyuan, il General van Sweiten, il General van der Heyden, il Tinombo, la Norse Trader, l’HMS LCP 323 e l’HMS LCP 866 sono affondate, tre ponti girevoli d’ingresso sono fuori dai loro sostegni, l’ingresso del bacino Victoria è bloccato da una nave affondata all’interno e da una affondata all’esterno, l’imbocco invece è ostruito da un groviglio di alberi e sartiame. La Empire Indus e la HMHS Chantilly, miracolosamente sopravvissute ma ancora in fiamme, vagano lentamente verso la costa trasportate dalla corrente. La macchina dei soccorsi sarà imponente, mentre i funzionari portuali stanno allontanando in tutta fretta dirigendole in mare aperto altre 7 navi trasporto esplosivi dal bacino Alexandra, 6.000 indiani e 2.000 soldati inglesi si mobilitano allestendo postazioni di primo soccorso della Croce Rossa in tutta l’area con l’ospedale St. George che verrà intasato dai feriti mentre 80.000 persone resteranno senza una casa, anche loro vittime di una guerra che non sembra ancora vedere la fine.

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