TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: camion bomba
DATA: 26 febbraio 1993
STATO: New York
LUOGO: New York, World Trade Center
MORTI: 6
FERITI: 1.042
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
“Se essere terrorista significa riscattare la mia terra e combattere contro
chi ha attaccato me e i miei cari, non ho niente in contrario ad essere
chiamato terrorista”. È il 1993, il 26 febbraio, Ramzī Aḥmad Yūsuf osserva
impassibile dal sedile passeggero di un furgone la vita caotica dell’isola di
Manhattan. Il traffico, il via vai di persone, i serpentoni di taxi che si
incrociano lungo le vie intasate di una frenetica New York. Ha 25 anni, è molto
lontano da casa. Nato in Kuwait e noto come Abdul Basit Mahmoud Abdul Karim, ha
almeno un’altra quarantina di pseudonimi, è considerato dalla CIA, la Central
Intelligence Agency americana, uno dei massimi esperti nella costruzione di
ordigni esplosivi. Ha studiato ingegneria elettrotecnica ad Oxford,
preparazione che gli è servita da punto di partenza per la sua carriera di esplosivista
nei campi di addestramento mujaheddin nel 1988 in un Afghanistan invaso dai
sovietici durante l’occupazione della guerra russo-afghana, anno in cui era
nata al-Qaida, movimento fondamentalista islamista sunnita paramilitare
terroristico guidato dal miliardario saudita Osāma bin Lāden, 17esimo dei 57
figli dell’immobiliarista yemenita Mohammed bin Awad bin Lāden, avvalso della
guida ideologica di Ayman al-Zawāhirī, scrittore, poeta e medico
de Il Cairo appartenente ad una famiglia di dotti religiosi e di
magistrati, bin Lāden aveva deciso di utilizzare soldi e macchinari della
propria impresa di costruzioni per aiutare la resistenza dei mujaheddin durante
l’invasione. Ed è proprio seguendo la sua dottrina che Ramzī Aḥmad Yūsuf aveva
pianificato qui, dopo solo un mese, un attacco contro gli Stati Uniti d’America
che scatenasse un eco mediatico talmente grande da non essere più dimenticato.
Ambizioso e piuttosto complicato, per la sua realizzazione era stato necessario
l’intervento dello zio, Khalid Shaykh Muhammad, 29 anni, un terrorista
pakistano conosciuto con almeno 50 pseudonimi e che in futuro sarà ricordato
come uno dei principali architetti degli attacchi dell’11 settembre 2001 agli
Stati Uniti d’America, che si era mobilitato per fornire i finanziamenti necessari
tramite il conto bancario di Mohammed Salameh, un 26enne cisgiordano amico di Yūsuf.
Rientrato negli Stati Uniti il 1 settembre del 1992 Yūsuf era partito dal
Pakistan assieme ad un altro cisgiordano, Ahmed Ajaj, di 25 anni, compagno di
addestramento nei campi dell’Afghanistan, atterrando all’Aeroporto
Internazionale John F. Kennedy con un falso passaporto iracheno dove aveva
chiesto asilo politico ai funzionari, piano che non era riuscito ad Ahmed Ajaj,
messo in stato di fermo perché in possesso di un passaporto svedese, uno saudita,
uno giordano, uno britannico, un biglietto aereo a nome di un certo Mohammed
Azan, dei manuali per la fabbricazione di bombe, video e materiale
sull'assemblaggio di armi ed esplosivi, lettere di riferimento alla sua
presenza nei campi di addestramento terroristici, materiale anti-americano e
anti-israeliano, istruzioni sulla falsificazione di documenti e due matrici in
gomma per l’alterazione del sigillo per i passaporti Sauditi. Trasferitosi a
Jersey City, nel New Jersey, Yūsuf aveva iniziato a raccogliere gli elementi
per assemblare un dispositivo destinato al futuro obiettivo, il World Trade
Center di Manhattan, il complesso di sette edifici simbolo dell’economia
occidentale sito nella parte Sud dell'isola di Manhattan, il Lower Manhattan,
cuore del distretto finanziario di New York, comprendente uno spazio totale di
1,24 milioni di metri quadrati di uffici e noto in tutto il mondo per la sua
gigantesca icona: le Torri Gemelle. La Torre Nord, il WTC1, è un grattacielo di
110 piani alto 417 metri costruito tra il 1966 e il 1970, gemello della Torre
Sud, il WTC2, di 110 piani e con un’altezza di 415 metri, costruito tra
il 1968 e il 1973 e distinguibile da questo per l’assenza
dell’antenna alta 110 metri che lo sormonta. La Chevy Nova del 1978 di proprietà
di Mohammed Salameh aveva fatto molti viaggi per trasportare le materie prime nel
deposito dove è stata costruita la bomba, ordigno che porta la firma di un
costruttore tristemente famoso, Abdul Rahman Yasin, nato nell’Indiana da padre
iracheno. Con la collaborazione di Mahmud Abouhalima, 35 anni egiziano, da
Nidal Ayyad, 26enne originario del Kuwait laureato in ingegneria chimica e
microbiologia alla Rutgers University, e da Khalid Shaykh Muhammad, lo zio di Yūsuf,
laureato in ingegneria meccanica alla North Carolina Agricultural and Technical
State University, Yasin aveva studiato una carica principale costituita da un nucleo
di Nitrato di Urea, un esplosivo ad alto potenziale a base di fertilizzanti ma
chimicamente instabile sintetizzato per la prima volta dal chimico tedesco Friedrich
Karl Johannes Thiele nel 1899, incamiciandolo in particelle di alluminio,
magnesio e ossido di ferro in modo da produrre altissime temperature. Questa,
se pure ad alta capacità distruttiva, aveva però bisogno di una carica di spinta,
un primer sufficientemente potente e veloce che consentisse alla reazione a
catena di attivarsi in modo completo. Per questo motivo i tecnici avevano
progettato un secondo congegno formato dall’unione di ulteriori tre cariche più
piccole costituite da esplosivi veloci e diversi che sommati tra loro erano
andati a creare un booster di enorme potenza. La prima carica, una Gelatina per
uso estrattivo, è una Dinamite a base attiva fortemente esplosiva, brevettata
dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e composta dalla
Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel
1847 dalla Nitrocellulosa, il prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian
Friedrich Schönbein nel 1846, e miscelata con Nitrocellulosa ad alto contenuto
di azoto. La seconda carica, una Polvere Infume, è l’invenzione del chimico
francese Paul Marie Eugène Vieille che attraverso la gelatinizzazione
della Nitrocellulosa con una miscela di etere ed alcool aveva ottenuto
un nuovo tipo di polvere da sparo di tipo propellente completamente
diverso dalle altre e in grado di sviluppare un’energia tre volte superiore ma
producendo fumi di combustione molto ridotti. La terza carica è invece
costituita da Nitrato d’Ammonio ad alta densità, un fertilizzante. Johann
Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori
della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, lo
aveva preparato e descritto nel 1659 chiamandolo “nitrum flammans” per via del
colore giallo della sua fiamma. A scoprire la sua esplosività era stato il
chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870 e da allora il Nitrato
d’Ammonio non è più stato un prodotto esclusivo per l’agricoltura bensì una
delle basi per miscele esplosive più richieste al mondo. Assemblate assieme a quest’ultima
le prime due cariche erano state poi collegate tra loro con 3 metri di miccia
detonante. Questo tipo di miccia esplosiva, erede di quella messa a punto negli
stabilimenti David Bickford nel 1914 inserendo un’anima in Pentrite, uno degli
esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco
Bernhard Tollens, costituisce il sistema d’innesco avviato da un circuito ridondante
di 4 detonatori a fuoco. Gli artifizi esplosivi primari
diretti discendenti di quello inventato dal chimico e ingegnere svedese Alfred
Nobel nel 1867, contengono una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite,
innescato a sua volta da pochissimo esplosivo primario, l’Azoturo di Piombo, un
preparato brevettato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890.
Dopo aver unito la carica di spinta a quella principale, al fine di aumentare
la potenza della bomba erano stati aggiunti tre serbatoi di idrogeno ciascuno
da 40 litri disponendoli con una configurazione radiale. In questo modo la
relazione tra loro delle varie sezioni creerà un effetto di tipo “fuel-air”
simile come concetto alla “vacuum bomb” comunemente detta “bomba termobarica”. Una
volta esploso, durante la fase iniziale l'ordigno disperderà tutto intorno la
quantità di idrocarburi che, miscelandosi con l'aria, nella seconda fase prenderà
fuoco, una frazione di secondo dopo, innescata dalla carica principale
consumando l'ossigeno e con l'effetto finale di creare una depressione molto
forte e una violenta corrente d'aria diretta verso il centro della depressione
stessa. L’effetto aggiunto alla già demolitrice carica principale sarà una
reazione chimica che scatenerà una combustione rapida e violenta tra il
combustibile, gli idrocarburi vaporizzati, e il comburente, l'ossigeno
atmosferico. Una volta assemblato l’ordigno, all’estremità di ogni detonatore
era stata fissata una miccia del tipo a lenta combustione della lunghezza di 6
metri, misura non casuale ma calcolata tendo conto di un tempo minimo di 12
minuti per la fuga. Questo tipo di miccia, studiata per la percorrenza della
fiamma di un metro ogni 120 secondi, è la diretta discendente della corda di
canapa catramata brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford. È
costituita da un cordone di cotone impermeabile con un’anima di Polvere Nera, un
esplosivo costituito da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e
11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e
scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella comparsa per la prima
volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044. L’ordigno progettato da Mohammed
A. Salameh ora si trova nel vano di carico del furgone giallo, un Ford
Econoline della Compagnia Ryder noleggiato da Mohammed A. Salameh presso la
ditta DIB Leasing di Jersey City, con una capienza del vano di carico di 8,4
metri cubi. Alla guida c’è il 23enne giordano Eyad Ismoil, studente di
ingegneria alla Wichita State University del Kansas contattato un anno fa
da Yūsuf e con cui si è trasferito a New York per pianificare l’attacco. Yūsuf
dal sedile passeggero gli dice dove andare, Lower Manhattan è a pochi isolati.
Dietro di loro, la bomba ha un peso complessivo di 590 chilogrammi e una
potenza distruttiva enorme, in grado di decretare l’instabilità statica della Torre
Nord provocandone il rovesciamento sulla Torre Sud uccidendo gli occupanti di
entrambi gli edifici, di quelli vicini e dei passanti in strada. Tutto questo
dopo che il fumo, incanalatosi nella Torre Nord attraverso i condotti
dell’aerazione, soffocherà i presenti trattenendoli ai piani costringendoli a
cercare ossigeno dalle finestre anziché precipitarsi giù per le scale in un
tentativo disperato di fuga. Le perdite in vite umane sono stimate in circa
250.000 unità, un numero altissimo come monito al forte e continuo sostegno
americano ad Israele nella Palestina. Questo attentato, seppure studiato per
avere esiti disastrosi, è solo l’incipit di un piano ben più ampio, il Progetto
Bojinka, una articolata scacchiera di eventi pianificati assieme allo zio Khalid
Shaykh Muhammad e all’organizzazione terroristica Abu Sayyaf, un gruppo paramilitare
separatista islamico con base alle isole a sud delle Filippine. Il progetto prevede
di fare esplodere contemporaneamente sull'Oceano Pacifico 11 aerei di linea
della United Airlines, della Delta Airlines e della Northwest Airlines, tre
delle maggiori compagnie aeree americane, con una stima di decessi intorno alle
4.000 unità, di eliminare con delle autobomba il Presidente degli Stati Uniti
d’America Bill Clinton e il Papa Giovanni Paolo II durante la visita nelle Filippine,
e colpire il quartier generale della CIA a Langley, in Virginia, con un piccolo
aeroplano imbottito di esplosivo. Sono le ore 12:00 e con la bomba armata nel
vano di carico il furgone entra nel garage pubblico sotto il World Trade Center.
Yūsuf e Ismoil si fermano al sottolivello B-2 accanto a una macchina il cui proprietario,
un uomo d’affari in partenza per un viaggio di lavoro, ha appena chiuso il
portabagagli e sta per salire a bordo. All’interno del Ford Econoline le micce
sono già accese, l’ordigno è attivo, mancano 8 minuti. Nell’auto accanto,
l’uomo è distratto da due figure che si allontanano a passo svelto chiudendosi
dietro il portellone posteriore del furgone. C’è qualcosa che non va, dallo
specchietto retrovisore nota una leggera nuvola di fumo biancastro fuoriuscire proprio
da quel portellone. Incuriosito, spegne il motore, apre lo sportello ma un
odore acre di bruciato invade l’abitacolo. Mentre nota con la coda dell’occhio
il fumo diventato di colore più intenso, ha appena il tempo di mettere un piede
a terra per scendere che pochi metri più indietro, nel cassone dell’Econoline
la fiamma della prima miccia arriva al detonatore. L’Azoturo di Piombo innesca
la Pentrite che trasferisce l’onda esplosiva alla miccia detonante, la carica
primaria di Gelatina-Polvere Infume-Nitrato d’Ammonio permette alla principale
di Nitrato di Urea e idrogeno di scatenare la sua furia. Alle ore 12:17 la
gigantesca bomba dà il via all’apocalisse. Con una velocità di detonazione di 4.800
metri al secondo nel garage sotterraneo viene generata una pressione di 69 mila
chilogrammi per centimetro quadrato. L’aria si incendia, il vetri si
liquefanno, le torri tremano. La detonazione produce un’onda d’urto di 16 mila
chilometri orari a 6 mila gradi che spazza via il livello B-2 vaporizzando
l’uomo all’interno della sua auto, sciogliendo altre 5 persone, accartocciando
ogni veicolo e struttura e aprendo un cratere largo 30 metri andando a
concentrare la sua forza sull’asse verticale sventrando i quattro solai di
calcestruzzo armato dei quattro sottopiani trasformandoli in 4 mila tonnellate
di macerie. L’impianto idrico viene distrutto, quello elettrico non esiste più,
l’intera Manhattan viene riportata all’età della pietra. Nelle torri una
colonna di fumo raggiunge il 93simo piano incanalandosi attraverso il blocco
non pressurizzato di scale e ascensori, centinaia sono le persone intrappolate
qui dentro. Le strutture stanno ancora oscillando, non crollano, hanno vibrato
violentemente ma hanno retto l’impatto dell’esplosione. Per un errore di
valutazione il furgone è stato parcheggiato troppo distante dai pilastri in
calcestruzzo. Del Ford Econoline non resta praticamente niente, l’unico pezzo
sopravvissuto è una porzione del motore conficcato in un muro a 60 metri.
All’esterno è il caos, gli allarmi suonano, le ambulanze corrono da una parte
all’altra e il piano di evacuazione del complesso è reso difficile dal fumo
nero e denso e dalle fiamme che minuto dopo minuto invadono gli ambienti.
Mentre gli uomini del New York Fire Department e del New York Police Department
sono impegnati a far uscire nel più breve tempo possibile 50 mila persone e
1.042 feriti, c’è chi pensa a un incidente, forse un trasformatore. Ma un
trasformatore non provoca questi danni, un trasformatore non avrebbe mai
danneggiato anche il Marriott Hotel e gli edifici adiacenti. Tutti guardano il
simbolo del potere finanziario ferito, fumante, ma nessuno osa immaginare che
qualcun altro a 11 mila chilometri gli ha appena dichiarato guerra, una guerra
silenziosa fatta di progetti elaborati, di inganni e di martiri, e questo è
solo il preludio di quello che succederà tra qualche anno, l’11 settembre 2001
dove l’America sarà nuovamente attaccata al cuore, ai suoi simboli, ma stavolta
raggiungendo lo scopo.
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