Visualizzazione post con etichetta accadeva in febbraio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta accadeva in febbraio. Mostra tutti i post

01 aprile, 2019

New York, World Trade Center, 26 febbraio 1993


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: camion bomba
DATA:
26 febbraio 1993
STATO: New York
LUOGO:
New York, World Trade Center
MORTI:
6
FERITI: 1.042

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

“Se essere terrorista significa riscattare la mia terra e combattere contro chi ha attaccato me e i miei cari, non ho niente in contrario ad essere chiamato terrorista”. È il 1993, il 26 febbraio, Ramzī Aḥmad Yūsuf osserva impassibile dal sedile passeggero di un furgone la vita caotica dell’isola di Manhattan. Il traffico, il via vai di persone, i serpentoni di taxi che si incrociano lungo le vie intasate di una frenetica New York. Ha 25 anni, è molto lontano da casa. Nato in Kuwait e noto come Abdul Basit Mahmoud Abdul Karim, ha almeno un’altra quarantina di pseudonimi, è considerato dalla CIA, la Central Intelligence Agency americana, uno dei massimi esperti nella costruzione di ordigni esplosivi. Ha studiato ingegneria elettrotecnica ad Oxford, preparazione che gli è servita da punto di partenza per la sua carriera di esplosivista nei campi di addestramento mujaheddin nel 1988 in un Afghanistan invaso dai sovietici durante l’occupazione della guerra russo-afghana, anno in cui era nata al-Qaida, movimento fondamentalista islamista sunnita paramilitare terroristico guidato dal miliardario saudita Osāma bin Lāden, 17esimo dei 57 figli dell’immobiliarista yemenita Mohammed bin Awad bin Lāden, avvalso della guida ideologica di Ayman al-Zawāhirī, scrittore, poeta e medico de Il Cairo appartenente ad una famiglia di dotti religiosi e di magistrati, bin Lāden aveva deciso di utilizzare soldi e macchinari della propria impresa di costruzioni per aiutare la resistenza dei mujaheddin durante l’invasione. Ed è proprio seguendo la sua dottrina che Ramzī Aḥmad Yūsuf aveva pianificato qui, dopo solo un mese, un attacco contro gli Stati Uniti d’America che scatenasse un eco mediatico talmente grande da non essere più dimenticato. Ambizioso e piuttosto complicato, per la sua realizzazione era stato necessario l’intervento dello zio, Khalid Shaykh Muhammad, 29 anni, un terrorista pakistano conosciuto con almeno 50 pseudonimi e che in futuro sarà ricordato come uno dei principali architetti degli attacchi dell’11 settembre 2001 agli Stati Uniti d’America, che si era mobilitato per fornire i finanziamenti necessari tramite il conto bancario di Mohammed Salameh, un 26enne cisgiordano amico di Yūsuf. Rientrato negli Stati Uniti il 1 settembre del 1992 Yūsuf era partito dal Pakistan assieme ad un altro cisgiordano, Ahmed Ajaj, di 25 anni, compagno di addestramento nei campi dell’Afghanistan, atterrando all’Aeroporto Internazionale John F. Kennedy con un falso passaporto iracheno dove aveva chiesto asilo politico ai funzionari, piano che non era riuscito ad Ahmed Ajaj, messo in stato di fermo perché in possesso di un passaporto svedese, uno saudita, uno giordano, uno britannico, un biglietto aereo a nome di un certo Mohammed Azan, dei manuali per la fabbricazione di bombe, video e materiale sull'assemblaggio di armi ed esplosivi, lettere di riferimento alla sua presenza nei campi di addestramento terroristici, materiale anti-americano e anti-israeliano, istruzioni sulla falsificazione di documenti e due matrici in gomma per l’alterazione del sigillo per i passaporti Sauditi. Trasferitosi a Jersey City, nel New Jersey, Yūsuf aveva iniziato a raccogliere gli elementi per assemblare un dispositivo destinato al futuro obiettivo, il World Trade Center di Manhattan, il complesso di sette edifici simbolo dell’economia occidentale sito nella parte Sud dell'isola di Manhattan, il Lower Manhattan, cuore del distretto finanziario di New York, comprendente uno spazio totale di 1,24 milioni di metri quadrati di uffici e noto in tutto il mondo per la sua gigantesca icona: le Torri Gemelle. La Torre Nord, il WTC1, è un grattacielo di 110 piani alto 417 metri costruito tra il 1966 e il 1970, gemello della Torre Sud, il WTC2, di 110 piani e con un’altezza di 415 metri, costruito tra il 1968 e il 1973 e distinguibile da questo per l’assenza dell’antenna alta 110 metri che lo sormonta. La Chevy Nova del 1978 di proprietà di Mohammed Salameh aveva fatto molti viaggi per trasportare le materie prime nel deposito dove è stata costruita la bomba, ordigno che porta la firma di un costruttore tristemente famoso, Abdul Rahman Yasin, nato nell’Indiana da padre iracheno. Con la collaborazione di Mahmud Abouhalima, 35 anni egiziano, da Nidal Ayyad, 26enne originario del Kuwait laureato in ingegneria chimica e microbiologia alla Rutgers University, e da Khalid Shaykh Muhammad, lo zio di Yūsuf, laureato in ingegneria meccanica alla North Carolina Agricultural and Technical State University, Yasin aveva studiato una carica principale costituita da un nucleo di Nitrato di Urea, un esplosivo ad alto potenziale a base di fertilizzanti ma chimicamente instabile sintetizzato per la prima volta dal chimico tedesco Friedrich Karl Johannes Thiele nel 1899, incamiciandolo in particelle di alluminio, magnesio e ossido di ferro in modo da produrre altissime temperature. Questa, se pure ad alta capacità distruttiva, aveva però bisogno di una carica di spinta, un primer sufficientemente potente e veloce che consentisse alla reazione a catena di attivarsi in modo completo. Per questo motivo i tecnici avevano progettato un secondo congegno formato dall’unione di ulteriori tre cariche più piccole costituite da esplosivi veloci e diversi che sommati tra loro erano andati a creare un booster di enorme potenza. La prima carica, una Gelatina per uso estrattivo, è una Dinamite a base attiva fortemente esplosiva, brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e composta dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, il prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, e miscelata con Nitrocellulosa ad alto contenuto di azoto. La seconda carica, una Polvere Infume, è l’invenzione del chimico francese Paul Marie Eugène Vieille che attraverso la gelatinizzazione della Nitrocellulosa con una miscela di etere ed alcool aveva ottenuto un nuovo tipo di polvere da sparo di tipo propellente completamente diverso dalle altre e in grado di sviluppare un’energia tre volte superiore ma producendo fumi di combustione molto ridotti. La terza carica è invece costituita da Nitrato d’Ammonio ad alta densità, un fertilizzante. Johann Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, lo aveva preparato e descritto nel 1659 chiamandolo “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma. A scoprire la sua esplosività era stato il chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870 e da allora il Nitrato d’Ammonio non è più stato un prodotto esclusivo per l’agricoltura bensì una delle basi per miscele esplosive più richieste al mondo. Assemblate assieme a quest’ultima le prime due cariche erano state poi collegate tra loro con 3 metri di miccia detonante. Questo tipo di miccia esplosiva, erede di quella messa a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914 inserendo un’anima in Pentrite, uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, costituisce il sistema d’innesco avviato da un circuito ridondante di 4 detonatori a fuoco. Gli artifizi esplosivi primari diretti discendenti di quello inventato dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867, contengono una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, innescato a sua volta da pochissimo esplosivo primario, l’Azoturo di Piombo, un preparato brevettato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. Dopo aver unito la carica di spinta a quella principale, al fine di aumentare la potenza della bomba erano stati aggiunti tre serbatoi di idrogeno ciascuno da 40 litri disponendoli con una configurazione radiale. In questo modo la relazione tra loro delle varie sezioni creerà un effetto di tipo “fuel-air” simile come concetto alla “vacuum bomb” comunemente detta “bomba termobarica”. Una volta esploso, durante la fase iniziale l'ordigno disperderà tutto intorno la quantità di idrocarburi che, miscelandosi con l'aria, nella seconda fase prenderà fuoco, una frazione di secondo dopo, innescata dalla carica principale consumando l'ossigeno e con l'effetto finale di creare una depressione molto forte e una violenta corrente d'aria diretta verso il centro della depressione stessa. L’effetto aggiunto alla già demolitrice carica principale sarà una reazione chimica che scatenerà una combustione rapida e violenta tra il combustibile, gli idrocarburi vaporizzati, e il comburente, l'ossigeno atmosferico. Una volta assemblato l’ordigno, all’estremità di ogni detonatore era stata fissata una miccia del tipo a lenta combustione della lunghezza di 6 metri, misura non casuale ma calcolata tendo conto di un tempo minimo di 12 minuti per la fuga. Questo tipo di miccia, studiata per la percorrenza della fiamma di un metro ogni 120 secondi, è la diretta discendente della corda di canapa catramata brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford. È costituita da un cordone di cotone impermeabile con un’anima di Polvere Nera, un esplosivo costituito da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044. L’ordigno progettato da Mohammed A. Salameh ora si trova nel vano di carico del furgone giallo, un Ford Econoline della Compagnia Ryder noleggiato da Mohammed A. Salameh presso la ditta DIB Leasing di Jersey City, con una capienza del vano di carico di 8,4 metri cubi. Alla guida c’è il 23enne giordano Eyad Ismoil, studente di ingegneria alla  Wichita State University del Kansas contattato un anno fa da Yūsuf e con cui si è trasferito a New York per pianificare l’attacco. Yūsuf dal sedile passeggero gli dice dove andare, Lower Manhattan è a pochi isolati. Dietro di loro, la bomba ha un peso complessivo di 590 chilogrammi e una potenza distruttiva enorme, in grado di decretare l’instabilità statica della Torre Nord provocandone il rovesciamento sulla Torre Sud uccidendo gli occupanti di entrambi gli edifici, di quelli vicini e dei passanti in strada. Tutto questo dopo che il fumo, incanalatosi nella Torre Nord attraverso i condotti dell’aerazione, soffocherà i presenti trattenendoli ai piani costringendoli a cercare ossigeno dalle finestre anziché precipitarsi giù per le scale in un tentativo disperato di fuga. Le perdite in vite umane sono stimate in circa 250.000 unità, un numero altissimo come monito al forte e continuo sostegno americano ad Israele nella Palestina. Questo attentato, seppure studiato per avere esiti disastrosi, è solo l’incipit di un piano ben più ampio, il Progetto Bojinka, una articolata scacchiera di eventi pianificati assieme allo zio Khalid Shaykh Muhammad e all’organizzazione terroristica Abu Sayyaf, un gruppo paramilitare separatista islamico con base alle isole a sud delle Filippine. Il progetto prevede di fare esplodere contemporaneamente sull'Oceano Pacifico 11 aerei di linea della United Airlines, della Delta Airlines e della Northwest Airlines, tre delle maggiori compagnie aeree americane, con una stima di decessi intorno alle 4.000 unità, di eliminare con delle autobomba il Presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton e il Papa Giovanni Paolo II durante la visita nelle Filippine, e colpire il quartier generale della CIA a Langley, in Virginia, con un piccolo aeroplano imbottito di esplosivo. Sono le ore 12:00 e con la bomba armata nel vano di carico il furgone entra nel garage pubblico sotto il World Trade Center. Yūsuf e Ismoil si fermano al sottolivello B-2 accanto a una macchina il cui proprietario, un uomo d’affari in partenza per un viaggio di lavoro, ha appena chiuso il portabagagli e sta per salire a bordo. All’interno del Ford Econoline le micce sono già accese, l’ordigno è attivo, mancano 8 minuti. Nell’auto accanto, l’uomo è distratto da due figure che si allontanano a passo svelto chiudendosi dietro il portellone posteriore del furgone. C’è qualcosa che non va, dallo specchietto retrovisore nota una leggera nuvola di fumo biancastro fuoriuscire proprio da quel portellone. Incuriosito, spegne il motore, apre lo sportello ma un odore acre di bruciato invade l’abitacolo. Mentre nota con la coda dell’occhio il fumo diventato di colore più intenso, ha appena il tempo di mettere un piede a terra per scendere che pochi metri più indietro, nel cassone dell’Econoline la fiamma della prima miccia arriva al detonatore. L’Azoturo di Piombo innesca la Pentrite che trasferisce l’onda esplosiva alla miccia detonante, la carica primaria di Gelatina-Polvere Infume-Nitrato d’Ammonio permette alla principale di Nitrato di Urea e idrogeno di scatenare la sua furia. Alle ore 12:17 la gigantesca bomba dà il via all’apocalisse. Con una velocità di detonazione di 4.800 metri al secondo nel garage sotterraneo viene generata una pressione di 69 mila chilogrammi per centimetro quadrato. L’aria si incendia, il vetri si liquefanno, le torri tremano. La detonazione produce un’onda d’urto di 16 mila chilometri orari a 6 mila gradi che spazza via il livello B-2 vaporizzando l’uomo all’interno della sua auto, sciogliendo altre 5 persone, accartocciando ogni veicolo e struttura e aprendo un cratere largo 30 metri andando a concentrare la sua forza sull’asse verticale sventrando i quattro solai di calcestruzzo armato dei quattro sottopiani trasformandoli in 4 mila tonnellate di macerie. L’impianto idrico viene distrutto, quello elettrico non esiste più, l’intera Manhattan viene riportata all’età della pietra. Nelle torri una colonna di fumo raggiunge il 93simo piano incanalandosi attraverso il blocco non pressurizzato di scale e ascensori, centinaia sono le persone intrappolate qui dentro. Le strutture stanno ancora oscillando, non crollano, hanno vibrato violentemente ma hanno retto l’impatto dell’esplosione. Per un errore di valutazione il furgone è stato parcheggiato troppo distante dai pilastri in calcestruzzo. Del Ford Econoline non resta praticamente niente, l’unico pezzo sopravvissuto è una porzione del motore conficcato in un muro a 60 metri. All’esterno è il caos, gli allarmi suonano, le ambulanze corrono da una parte all’altra e il piano di evacuazione del complesso è reso difficile dal fumo nero e denso e dalle fiamme che minuto dopo minuto invadono gli ambienti. Mentre gli uomini del New York Fire Department e del New York Police Department sono impegnati a far uscire nel più breve tempo possibile 50 mila persone e 1.042 feriti, c’è chi pensa a un incidente, forse un trasformatore. Ma un trasformatore non provoca questi danni, un trasformatore non avrebbe mai danneggiato anche il Marriott Hotel e gli edifici adiacenti. Tutti guardano il simbolo del potere finanziario ferito, fumante, ma nessuno osa immaginare che qualcun altro a 11 mila chilometri gli ha appena dichiarato guerra, una guerra silenziosa fatta di progetti elaborati, di inganni e di martiri, e questo è solo il preludio di quello che succederà tra qualche anno, l’11 settembre 2001 dove l’America sarà nuovamente attaccata al cuore, ai suoi simboli, ma stavolta raggiungendo lo scopo.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente blog, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione.

Gli articoli pubblicati su questo blog sono il prodotto intellettuale dell'autore, frutto dello studio di perizie, testimonianze e rilievi video-fotografici reperiti dallo stesso in sede privata. L'intento di chi scrive è la divulgazione di eventi di interesse pubblico accompagnati da un'analisi tecnica degli stessi rinnegando qualsiasi giudizio personale, politico, religioso.










































01 dicembre, 2018

Johannesburg, Stazione ferroviaria, 19 febbraio 1896


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
19 febbraio 1896
STATO:
Sudafrica
LUOGO:
Johannesburg, stazione ferroviaria
MORTI: 78
FERITI:
236

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

Nel 1896 Johannesburg è una giovane città mineraria. Mentre gli uomini sono chiusi tutto il giorno all’interno di cave e miniere, le donne restano a casa a badare ai figli e occuparsi delle faccende domestiche. È il 19 febbraio 1896 e un treno merci con un 8 container carichi di Dinamite e detonatori chiusi in 2.300 casse di legno del peso di 28 chilogrammi ciascuna per un complessivo di 64.400 chilogrammi, si trova in stallo da 4 giorni su un binario morto nella stazione ferroviaria del sobborgo di Braamfontein. Nel primo vagone sono stipati i detonatori, i tubetti di stagno destinati ad essere utilizzati con la miccia a lenta combustione, un cordone di canapa catramata con un’anima di polvere nera brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford. Inventati dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867, i detonatori hanno al loro interno il fulminato di mercurio, un esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard. Negli altri 7 container è invece stipata la Dinamite, esplosivo a base inerte confezionato in cartucce potentissimo e rivoluzionario, sono infatti gli anni in cui il brevetto di Nobel è ancora giovane e in via di perfezionamento. Si tratta del primo trattamento della Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, scoperta a sua volta da Christian Friedrich Schönbein nel 1846, poi miscelata con sostanze assorbenti e infiammabili a base di farina di roccia silicea sedimentaria di origine organica e una leggera quantità di carbonato di sodio al fine di ottenere un composto granulare stabile. Le casse di esplosivo contenute nei container sono destinate alle miniere della zona ma i depositi, quelli che in gergo vengono chiamati “riservette”, sono ancora al limite massimo di carico. È per questo motivo che il treno è ancora lì, e la scelta di lasciare provvisoriamente il convoglio fermo sul raccordo per alcuni giorni sotto il sole di febbraio, il sole più caldo a Johannesburg, fino a quando non verrà creato nelle riservette lo spazio sufficiente per l’immagazzinamento del carico, verrà pagata a caro prezzo. Sono le ore 15:00, mentre attorno alla stazione la vita nei distretti densamente popolati di Brickfields, Forsdburg e nella "Malay location" sta proseguendo senza sosta nel suo disordinato corso, nei pressi del binario morto gli operari sono alle prese con le iniziali e delicate fasi dello scarico. Ignorando completamente i protocolli di sicurezza in tema di merci pericolose, nessuno si è preoccupato dell’eccessivo calore diretto, della ventilazione dei vagoni, del controllo degli imballaggi e dell’integrità del materiale che sottoposto per 96 ore a temperature ben al di sopra del limite consentito, si sta deteriorando con una velocità impressionante. Il Fulminato di Mercurio all’interno dei detonatori è diventato instabile, così la Nitroglicerina all’interno dei candelotti di Dinamite che separandosi dalla farina fossile è trasudata dagli involucri diventando pericolosamente sensibile. Il treno è diventato il contenitore di una bomba ad orologeria da 65 tonnellate. Poco lontano dalla stazione, nel Fordsburg, la signora Van Der Merwe è in piedi sulla soglia di casa intenta ad allattare il figlio più piccolo mentre l’altro è dietro di lei, con una mano le tira la gonna e con l’altra le stringe il polso, piange, vuole uscire a giocare. Alla porta accanto la vicina sta cucendo a macchina all'ombra del porticato sulla via dove l’incessante chiacchierare delle massaie fa da cornice alla vita cittadina. Nella Government Square, in una delle aule del tribunale il Giudice si è appena seduto, i presenti sono in silenzio, l’imputato ha la bibbia in mano sorrettagli da un funzionario. Alla Marist Brothers School una classe sta facendo lezione nella nuova palestra, alcuni studenti stanno utilizzano gli attrezzi per la ginnastica mentre altri giocano con la palla. Due chilometri più lontano, un operaio sta scavando delle buche per i nuovi alberi da piantare nel viale, il piccolo Jacky Hammond lo imita, anche lui affonda la pala del prato nel giardino di casa nel sobborgo di Doornfontein. Da grande vuole fare il minatore, diventare grande e forte come suo padre e poter badare alla famiglia. Nel frattempo, sulle rotaie della stazione ferroviaria un deviatore portato sul posto per agganciare i vagoni merci e rimorchiarli in una zona sicura, si sta muovendo lungo la linea, ma è troppo veloce e il contenuto delle carrozze non può sopportare sobbalzi improvvisi. Sono le ore 15:16, il macchinista affronta con troppa leggerezza l’ingresso al binario, un momento di distrazione e la motrice di smistamento non rallenta in tempo. Il carrello esce dalla rotaia e il primo vagone viene urtato violentemente, lo scossone che l’intero convoglio subisce tanto basta ad innescare l’interno del container di ferro che detona con una velocità di 7.400 metri al secondo. Tutti i vagoni saltano in aria, una sfera di 462 milioni di litri di gas ad una temperatura di 4.200 gradi centigradi inghiotte il sobborgo industriale. L'esplosione è così forte che viene sentita a Klerksdorp, a 242 chilometri di distanza. Sotto quello che lo scrittore Hedley Chilvers descrive come "una grande nuvola nera e oro che si alza come un gigantesco fungo nel blu", risucchiando verso l’alto terra, roccia e milioni di pezzi di legno e metallo, Braamfontein viene raso al suolo. La stazione viene cancellata, i binari di ferro sono spinti in aria e rigirati, i depositi sono appiattiti assieme alle strutture del personale. Le locomotive sono sbalzate a 30 metri da terra, alcune rovesciate, altre fatte a pezzi, le caldaie volano per centinaia di metri mentre le ruote sono sparate ad altezza uomo alla velocità di 600 chilometri orari. Dopo aver distrutto il nodo ferroviario, l’onda di sovrappressione si abbatte sul centro abitato. 1.500 case spariscono, ogni finestra, ogni vetrina del centro di Johannesburg finisce in pezzi. Il calore è immenso, tutto brucia e ridotto in macerie. Gli animali vengono fusi con le persone, donne, bambini, anziani, sono sfigurati dal fuoco, accartocciati, rivoltati, inceneriti e disintegrati con decine di cavalli e asini dal passaggio dell’onda distruttiva che continua a propagarsi per 10 chilometri. Nel tribunale il pavimento trema, uno degli enormi lampadari di vetro si stacca dal soffitto schiantandosi sulla panca dell’imputato mentre il ruggito dell'esplosione irrompe nell’aula frantumando le finestre e scuotendo l'edificio. Alla Marist Brothers School la palestra semplicemente sparisce. Poco distante, l’operaio intento a scavare la trincea per la nuova via alberata mette fuori la testa per capire cosa stia succedendo, l’asse di uno dei vagoni arriva sulla via a 500 chilometri orari portandogli via la testa. Nel sobborgo di Doornfontein, anche il piccolo Jacky Hammond è nella sua buca, vuole trovare l’oro prima di suo padre, mentre infila la vanga in profondità la terra trema. Guardando con stupore il buco allargarsi sotto i piedi, terrorizzato per essere arrivato all’Inferno si arrampica sulla parete per correre da sua madre. L’onda d’urto raggiunge la casa. Il terreno si apre, gli alberi si piegano, la proprietà viene schiacciata. Nel Fordsburg la signora Van Der Merwe viene sorpresa sull’uscio di casa, il suo corpo è scaraventato contro la scala mentre la casa viene scoperchiata. Dopo il tuono cala il silenzio, ancora sveglia e frastornata guarda le sua gambe spezzate in avanti. Il braccio sinistro non c’è più, il destro completamente aperto ancora sorregge quello che resta di un bambino attaccato al seno. Il suo ultimo momento di lucidità prima di morire è uno sguardo disperato in ricerca del secondo figlio, sparito, trascinato in quel vortice rovente che ha le portato via tutto. Accanto, la ruota ammaccata della macchina da cucire che si muove ancora è tutto ciò che rimane dell’appartamento della vicina. Fuori qualcuno cammina tra per la strade con aria confusa, spaesata, pensa al bombardamento dei gasdotti da parte dei boeri, la devastazione è massima, il sobborgo di Braamfontein è quasi del tutto cancellato. Il passaggio dell’onda di sovrappressione è segnato da una coltre di polvere alta 10 metri. Dove pochi minuti prima c’erano case, negozi, magazzini, ora ci sono fogli sparsi di lamiera ondulata, vetri frantumati, pile di legname e cumuli di macerie, intere coperture sollevate e lasciate cadere disordinatamente a centinaia di metri dalle case che prima coprivano. 236 figure coperte di polvere vagano tra le macerie, solo i morti giacciono immobili e silenziosi. La Braamfontein Station non c’è più, un cratere di 60 metri di lunghezza, 39 metri di larghezza e 8 metri di profondità ha preso il suo posto, grande abbastanza per inghiottire una grossa nave. I binari sono contorti verso l'alto, di treni, camion, carri, muli, operai, non c'è traccia. A perdita d’occhio ci sono solo resti sparsi di case in rovina, di mezzi di trasporto, di arnesi da carico, di parti di corpi che prima erano qualcosa o qualcuno. A 4 chilometri di distanza invece la gente è morta senza un graffio, uccisa dallo spappolamento degli organi interni dovuto all’onda d’urto che viaggiava a 1.000 metri al secondo. Un gruppo di bambini giace a terra in un cerchio, investiti mentre facevano un gioco da tavolo, poco distante una donna è seduta su un gradino, il suo corpo è appoggiato al muro, ha la bocca aperta, le mancano gli occhi. Timidamente, qualcuno comincia ad avvicinarsi alla base del fungo nero e rosso che continua a salire per centinaia di metri sopra la stazione, o quello che ne resta. Pochi minuti e uno dopo l’altro si trovano a sprofondare nella terra fino alle caviglie, come se tutto il terreno entro 150 metri da quel buco fumante sia stato rivoltato da un aratro rapido e invisibile. Poi, in piedi sul bordo della fossa, rimangono impietriti davanti all’orrore: frammenti spezzati di legno e ferro, roccia e macchinari sono impastati in modo inestricabile con pezzi di carne mutilati, piegati e carbonizzati in uno stato in cui è quasi impossibile riconoscere il bianco dal nero, l'umano dall’animale. C’è una cosa che molti non dimenticheranno, ed è la testa di un uomo in bilico su una cassa di metallo, si può vedere la luce del giorno attraverso le narici, il cranio e il cervello sono scomparsi. Due ragazzi la prendono e con delicatezza la posano per terra per coprirla con una maglietta. Attorno non esiste quasi più niente che abbia un tetto, solo il Wanderers Club è sopravvissuto e verrà trasformato in infermeria, la pista di pattinaggio invece in camera mortuaria. 78 corpi verranno raccolti ma quattro pianali di arti lasceranno il dubbio sul numero esatto dei morti, vittime della più grande esplosione accidentale della storia del Sud Africa.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente blog, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione.

Gli articoli pubblicati su questo blog sono il prodotto intellettuale dell'autore, frutto dello studio di perizie, testimonianze e rilievi video-fotografici reperiti dallo stesso in sede privata. L'intento di chi scrive è la divulgazione di eventi di interesse pubblico accompagnati da un'analisi tecnica degli stessi rinnegando qualsiasi giudizio personale, politico, religioso.