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01 febbraio, 2023

Jersey City, Porto, 30 luglio 1916


TIPOLOGIA: sabotaggio
CAUSE: carica occultata
DATA:
30 luglio 1916
STATO: New Jersey
LUOGO:
Jersey City, Porto
MORTI:
4
FERITI:
173

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

Sono passati due anni dall'inizio della Prima Guerra Mondiale e l'area metropolitana di New York è diventata il centro nevralgico dell'industria bellica americana. Il 75% delle munizioni e degli armamenti spediti dagli Stati Uniti d’America verso l’Europa escono da Black Tom, il più importante centro di stoccaggio, assemblaggio e spedizione in America per le munizioni e gli esplosivi inviate agli stati alleati sul fronte europeo, e probabilmente anche il punto di stallo dell'arsenale più ampio al di fuori della zona di guerra. Di proprietà della Lehigh Valley Railroad Company, dopo la bonifica e la creazione di un’isola artificiale di 10 ettari nel 1880, la compagnia aveva successivamente bonificato e colmato il vuoto annettendola alla terraferma di Jersey City, dove prima era collegata solo tramite una ferrovia e una strada sopraelevata. Il suo nome si dice venga da un pescatore nero che aveva vissuto sull'isola per molti anni. Inizialmente utilizzato come cantiere e deposito della National Dock and Storage Company il molo si trova di fronte alla Statua della Libertà, nel porto di New York nella sezione di Greenville. Negli immensi magazzini di Black Tom sostano quotidianamente i materiali “di guerra” fabbricati negli stati nord-orientali, dove rimangono per qualche giorno prima di essere imbarcati e inviati alle Potenze Alleate d'Inghilterra, Francia, Italia e Russia. Mentre questi sono impegnati nel conflitto contro le Potenze Centrali, la Germania e l'Austria-Ungheria, il Presidente Woodrow Wilson ha dichiarato la propria neutralità, ma i diritti americani alla "libertà dei mari" sono lesi dal controllo britannico delle strade marittime atlantiche. Quella che gli Stati Uniti d’America non vedono è una guerra parallela segreta che la Germania Imperiale sta combattendo proprio sul loro territorio atta ad impedire la ricezione britannica del munizionamento dagli Stati Uniti d’America. Educati, industriosi e ben vestiti, ai tedesco-americani è permesso di integrarsi nella società con pochi attriti iniziali rispetto ad altri gruppi etnici. Uno di questi nuovi arrivati in America è il Conte Johann Heinrich von Bernstorff, ambasciatore tedesco a Washington. Era arrivato nel 1908 con al seguito non un personale diplomatico ma con preparati ed addestrati operatori d’intelligence. Aveva portato con sè il Barone Franz Joseph Hermann Michael Maria von Papen, arrivato dal Messico dove aveva combattuto per il Generale Victoriano Huerta, il responsabile per le questioni navali in Nord America Karl Boy-Ed e dei suoi collaboratori Heinrich Friedrich Albert, funzionario, diplomatico, politico, uomo d'affari e avvocato, e Felix Sommerfeld e Horst von der Goltz, entrambi agenti del controspionaggio tedesco. Con un fondo nero di milioni di dollari von Bernstoff e le sue spie miravano ad assistere gli sforzi bellici tedeschi oltreoceano con ogni mezzo necessario, finanziando azioni di sabotaggio in tutto il paese, boicottando e facendo ostruzionismo. In questi anni Von Bernstorff non solo ha contribuito ad ottenere i passaporti per i cittadini tedeschi che volevano eludere il blocco alleato, ma ha finanziato il fallito attentato dinamitardo del Canale di Welland del 1914, quello riuscito allo stabilimento Roebling Wire and Cable a Trenton del 1915, l’affondamento di una nave mercantile americana per il trasporto del grano in Gran Bretagna nello stesso anno e l’attentato dinamitardo al ponte ferroviario di Saint Croix-Vanceboro nel 1916. Ha tra le sue migliori spie il Capitano Franz Dagobert Johannes von Rintelen, ufficiale dell’intelligence navale arrivato negli Stati Uniti nel 1915 presentandosi come uomo d'affari e fondando subito una società fittizia chiamata Bridgeport Projectile Company, attraverso la quale ha cercato di acquistare il maggiore quantitativo di esplosivo possibile per poi distruggerlo. Il suo obiettivo è sia quello di creare delle carenze sul mercato americano al fine di impedire che l’Europa acquisti munizioni, sia quello di sabotare le navi americane da trasporto. Assieme al chimico tedesco Walter Scheel, von Rintelen ha messo punto la versione definitiva di una bomba incendiaria tascabile ad orologeria: “la bomba matita”. Il prototipo era costituito da un cilindro cavo di piombo delle dimensioni di un grosso sigaro. Al centro del tubo era pressato e saldato un disco circolare di rame che lo divideva in due camere separate. Una di queste camere era riempita con Acido Picrico, composto organico scoperto dal chimico tedesco Johann Rudolph Glauber nel 1742, finito di sintetizzare correttamente nel 1841 e scoperto come esplosivo nel 1873 dal chimico anglo-tedesco Hermann Sprengel, mentre la seconda era riempita con acido solforico. Un robusto tappo di cera da una parte e un semplice tappo di piombo dall’altra rendevano entrambe le estremità ermetiche. Lo spessore del disco di rame era invece variabile a seconda della temporizzazione voluta. Per un disco spesso i due acidi impiegavano molto tempo ad unirsi, per uno sottile la mescolanza avveniva entro pochi giorni, trasformando a tutti gli effetti il disco di rame in una spoletta a tempo sicura ed affidabile. Il Capitano von Rintelen durante la progettazione della bomba matita aveva istruito due elementi d’elitè per le operazioni di sabotaggio: il 21enne Lothar Witzkem, ufficiale della marina tedesca, spia e sabotatore arrivato sotto falso nome a San Francisco dopo essere scappato da una prigione cilena, e il 34enne Kurt Jahnke, cittadino tedesco naturalizzato americano e agente dei servizi segreti. Von Rintelen aveva inoltre richiesto l’appoggio logistico della SS Friendrich Der Grosse, un transatlantico di una delle più importanti compagnie di navigazione tedesche, la Norddeutshcher Lloyd, ormeggiato nel porto di New York e trasformato provvisoriamente in laboratorio adibito alla fabbricazione del primo lotto del nuovo tipo di ordigni incendiari. Come banco di prova per testare l’efficacia del congegno era stata scelta la nave da trasporto italiana SS Phoebus. Il bastimento di 3.100 tonnellate aveva preso fuoco in mare costringendo la nave da battaglia classe King Geoge V, l’HMS Ajax, a rimorchiarlo nel porto di Liverpool. Con i nuovi ordigni incendiari tascabili, Lothar Witzkem e Kurt Jahnke si sono addestrati per infiltrarsi nel complesso Black Tom come guardie notturne in modo da guadagnarsi col tempo la fiducia dei colleghi e avere libero accesso a tutta l'area. Con l’ausilio di un contatto all’interno, dopo settimane di preparazione, il piano messo a punto in un appartamentino di New York al civico 123 della Quindicesima strada era pronto. Si sono serviti di un certo Michael Kristoff, un immigrato austriaco di 23 anni che lavora per la Tidewater Oil Company a Bayonne, non lontano dal molo di carico degli armamenti. Kristoff è un volto familiare e non avrebbe avuto problemi ad introdurre delle facce nuove senza destare sospetti. È un fanatico sociopatico ma è motivato nel voler fermare una guerra che va avanti ormai da troppo tempo, ed è proprio per queste caratteristiche che è stato studiato per settimane e scelto dai sabotatori tedeschi per il compimento della missione. La notte tra il 29 e il 30 luglio è una notte scura, è da poco passata la mezzanotte e Kristoff, accompagnato da Witzkem e Jahnke, sta percorrendo il molo. Sono silenziosi, sono armati, oggi tutto deve finire. Arrivati al centro dell’impianto, con il favore del buio i tre si dividono, posizionano alcuni ordigni incendiari sulla chiatta, altri sul convoglio in stallo sulle rotaie e gli ultimi nei magazzini. Le bombe sono attive, gli acidi all’interno stanno corrodendo da ore il disco di rame che li separa. Mentre i due sabotatori si allontanano con un barchino salpato dal molo della National Docks and Storage Company e il terzo si dilegua a piedi, il sabato sera si è ormai trasformato in domenica mattina. Sono da poco passate le due, è ancora buio e le otto guardie sono nel pieno del loro turno. È un’afosa nottata e milioni di zanzare non cessano di martoriarli. Per cercare un po’ di tranquillità hanno acceso da qualche ora dei piccoli focolari in modo da poterle tenere a bada col fumo. Attorno a loro, nel gigantesco Black Tom, lo stoccaggio è immenso. I depositi sono al limite della capienza, all’interno ci sono 12 Tonnellate di Balistite e 25 tonnellate di Cordite in botti. La Balistite era stata ottenuta per la prima volta dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1887 ed è costituita da un 10% di canfora, un 45% della Nitrocellulosa scoperta dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846 e da un 45% di Nitroglicerina, il prodotto sintetizzato dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa. La Cordite era stata ottenuta in Gran Bretagna immediatamente dopo, sostanzialmente una variazione della Balistite. Il chimico britannico Sir Frederick Abel assieme al fisico e chimico Sir James Dewar avevano brevettato nel 1889 una sua formula modificata composta da 58% di Nitroglicerina, 37% di Nitrocellulosa e 5% di vaselina. Accanto, impilate l’una sull’altra, ci sono 229 tonnellate di alto esplosivo in cariche di artiglieria di vario calibro per obici, cannoni per carri, artiglieria ferroviaria, artiglieria campale media, pesante e superpesante, tutte prive di spolette, i congegni di innesco ad urto, chimici e ad orologeria da avvitare sul naso delle granate prima dell’uso. Queste sono ordinate in file per calibro: le prime sono le granate da 155 millimetri con ogiva in ghisa acciaiosa dal peso di 43,1 chilogrammi e armate con una carica di 10,3 chilogrammi di esplosivo di due tipologie. La prima è l’Amatolo 60/40, una miscela esplosiva creata durante le prime fasi della guerra dalle forze armate britanniche e costituita da 60% in peso di Nitrato d'Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, e 40% in peso di Trinitrotoluene, il Tritolo, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand. La seconda è la Melinite, una variazione dell’Acido Picrico, variazione adottata dal governo francese del 1885 aggiungendo al composto la Nitrocellulosa. Immediatamente dopo ci sono le granate da 220 millimetri con ogiva in acciaio del peso di 188 chilogrammi e armate con una carica da 32 chilogrammi di Melinite. Ci sono anche le granate da 305 millimetri con ogiva in acciaio, alcune hanno un peso di 445 chilogrammi e sono armate con una carica di 114 chilogrammi di Trinitrotoluene, altre hanno un peso di 295 chilogrammi e sono armate con una carica da 85 chilogrammi di Nougat, una miscela composta da una percentuale del 70% di Tritolo e 39% di Schneiderite, prodotto francese di recente invenzione costituito da un 87,40% di Nitrato d’Ammonio e da un 12,60% di binitronaftalina, altre ancora hanno un peso di 340,5 chilogrammi e sono armate con 97 chilogrammi di Lyddite, una ulteriore variazione dell’Acido Picrico inventata nel 1888 a Lydd, nella regione del Kent, in Gran Bretagna, dove si erano aggiunte al composto vaselina e di dinitrobenzolo. In fondo, le più grandi di tutte, sono impilate le granate da 340 millimetri con ogiva in ghisa del peso di 760 chilogrammi e armate con una carica da 148 chilogrammi di Schneiderite. Fuori dai magazzini, fermi sulle rotaie, 87 vagoni merci sono in attesa delle operazioni di scarico. All’interno sono stipate 30 mila casse di Dinamite a base attiva del peso complessivo di 900 tonnellate. Questa, fortemente esplosiva, brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e composta dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, e miscelata con Nitrocellulosa ad alto contenuto di azoto, è solo una parte del carico. Gli ultimi vagoni sono dedicati al Trinitrotoluene in casse per un peso di 250 tonnellate per la versione secca e 438 per quella umida. A pochi metri c’è il molo, ormeggiata alla banchina c’è la Johnson Barge No 17, una chiatta in fase di immagazzinamento, la sua stiva, piena per il 20%, contiene 46 tonnellate di Trinitrotoluene e 417 casse di miccia detonante, la nuova miccia esplosiva messa a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914 con l’anima in Pentrite, uno degli esplosivi più potenti, preparata per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens. Questo è uno stoccaggio eccezionale anche per gli standard del Black Tom, 1.900 tonnellate tra cariche di munizionamento ed esplosivo sfuso sono decisamente troppe per i protocolli di sicurezza portuali. Sono le ore 01:00, mentre gli otto guardiani sono ancora rannicchiati attorno ai fuochi tenendo lontane le zanzare, i dischi di rame all’interno delle bombe matita sono consumati. Il primo si apre, gli acidi si incontrano, una fiamma silenziosa e intensa lunga 30 centimetri divampa da entrambe le estremità sciogliendo in pochi secondi l’involucro di piombo. L’ordigno, studiato e occultato in modo da creare in pochissimo tempo il peggiore degli incendi, ha innescato una reazione a catena che è impossibile fermare. Una delle guardie scorge del fumo provenire da uno dei vagoni ferroviari, si avvicina, magari è una delle tante lanterne accese, ma la lanterna è al suo posto, il fumo viene da dietro le casse. Uno sguardo di terrore lo impietrisce, corre a chiamare gli altri, ma non fa in tempo ad avvisarli, un secondo vagone inizia a fumare, poi un terzo, e un quarto. Le guardie non sanno cosa fare, si guardano, c’è dell’altro fumo che proviene dai magazzini, una dopo l’altra le bombe si sono attivate, anche la chiatta ha preso fuoco. Black Tom è perduto, in un disperato tentativo viene fatto suonare l’allarme antincendio collegato col Dipartimento dei Vigili del Fuoco di Jersey City ma le fiamme sono già alte, minuto dopo minuto gli incendi diventano sempre più grandi, l’intero stoccaggio è diventato una bomba ad orologeria. Sono le ore 01:20, i Vigili del Fuoco di Jersey City arrivano ma non c’è più niente da fare, l’unica possibilità è scappare e cercare di salvare più vite possibili accendendo le sirene per svegliare la popolazione. Anche i rimorchiatori, arrivati per agganciare le navi in modo da allontanarle dal molo, invertono la rotta. È finita. Sono le ore 02:08, il carico della Johnson Barge destinato a fornire munizioni alla Russia per sei mesi raggiunge il punto critico, la chiatta salta in aria spazzando via il molo e investendo in un decimo di secondo i magazzini e i convogli. Un terremoto di magnitudo 5,5 scuote la terra fino a Philadelphia. Il terreno si solleva, si apre, le banchine vengono vaporizzate, il deposito del Black Tom con i suoi veicoli di carico, ferrovie, magazzini, chiatte, rimorchiatori e pontili viene cancellato, le imbarcazioni vengono affondate. L’aria diventa rossa, incandescente. Le superfici friggono, fumano, nei cimiteri, lapidi e monumenti si rovesciano e le tombe si scoperchiano fuori dal terreno, i residenti di Jersey City vengono svegliati dal gigantesco boato seguito da un’onda d’urto che viaggiando a 7.300 metri al secondo si inoltra nell’entroterra per 150 chilometri. Chi dorme viene buttato giù dal letto, un bambino di 10 settimane muore sul colpo sbalzato dalla culla e scaraventato contro la parete della camera da letto. La parete esterna del municipio di Jersey City crolla, la torre dell’orologio del Jersey Journal a Journal Square si ferma, il Ponte di Brooklyn oscilla, le vetrate della chiesa di San Patrizio sono fatte a pezzi e la gonna, il braccio e la torcia della Statua della Libertà si aprono. Dall'altra parte del fiume, i telai delle finestre esplodono, le porte si scardinano, i pali dell’alta tensione si piegano, quelli delle linee telefoniche si strappano, le edicole in legno vengono appiattite. Il cielo è illuminato a giorno, fino a 90 chilometri di distanza saltano le finestre, le strade di Lower Manhattan, Times Square, Staten Island, Brooklyn, Philadelphia sono bombardate da una pioggia di vetro. Mentre in alto continua a sollevarsi una palla di fuoco seguita da un fungo di polvere, detriti e fumo, in basso i convogli ferroviari, 13 magazzini e sei moli sono un ricordo. Il cratere di 110 metri di lunghezza e 50 di larghezza, fulcro di quella spaventosa esplosione diventa in un minuto e mezzo un laghetto disseminato di rottami fumanti. In pochi minuti i residenti di Jersey City si riversano in strada in preda al terrore. C’è chi in ginocchio prega e chi fugge senza una meta. I mezzi di emergenza che pian piano arrivano sul posto non hanno la minima idea di quello che li aspetta. Altre esplosioni scandiscono le timide operazioni di soccorso, la città è nel panico e l’interruzione delle linee telefoniche ha creato un totale blackout informativo. I feriti sono a decine, in 173 vengono trasportati negli ospedali, l’intera zona è inghiottita dal fuoco. Gli immigrati in stallo ad Ellis Island sono evacuati, 553 persone che vivevano sulle case galleggianti rimangono senza una casa. Grazie all’ora tarda il numero dei decessi sarà basso, un bambino, due agenti di polizia e un comandante a bordo della sua chiatta a poche decine di metri dalla Johnson Barge. I sabotatori hanno vinto in silenzio l’equivalente di una battaglia importante inaugurando il primo grande attacco terroristico sul suolo degli Stati Uniti d’America da parte di un potere straniero.

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01 agosto, 2022

Saltpan Reach, Porto, 27 maggio 1915

 

TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
27 maggio 1915
STATO:
Inghilterra
LUOGO: Saltpan Reach
MORTI:
352
FERITI:
84

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 27 maggio 1915, è mattino e alla boa numero 28 del porto di Saltpan Reach, sull'estuario del fiume Medway tra Port Victoria e l’antica città fortificata di Sheerness adiacente al cantiere navale della Royal Navy di Chatham, è ormeggiata la HMS Princess Irene. Con le sue 5.394 tonnellate, la HMS, “Her Majesty's Ship, la Nave di Sua Maestà, è stata varata l’anno scorso. Nata per essere un vettore oceanico di lusso per 1.500 passeggeri, progettata e costruita dalla William Denny e Brothers Ltd di Dumbarton, in Scozia, per la Canadian Pacific Railway, è stata inaugurata il 20 ottobre per servire, assieme alla sua gemella Princess Margaret, il percorso Vancouver-Victoria-Seattle. Prima di salpare per il viaggio inaugurale è stata requisita dalla Marina Reale Britannica che ha rimosso il ponte principale e ne ha modificato la configurazione per convertirla in nave posamine. L’Europa è in guerra, una situazione che mese dopo mese si prospetta più difficile del previsto, il predominio anglo-francese sui mari preclude alla Germania ogni fonte di approvvigionamento esterno e il blocco navale imposto dalla Gran Bretagna nella Manica tiene in una stretta mortale il commercio tedesco. La ritorsione della Germania, affidata alla micidiale azione dei sottomarini, è la decisione di spezzare questo blocco attraverso una guerra sottomarina che contempla la possibilità di colpire anche i paesi neutrali. Dopo l’affondamento del transatlantico RSM Lusitania con la morte di 1.201 passeggeri lo scorso 7 maggio, l’Inghilterra, iniziando a temere che questa guerra potrebbe non finire poi così presto, sta mobilitando il suo impero. Disponendo della più importante flotta commerciale del mondo importa quasi tutto il petrolio, e cosa più importante per un’isola densamente popolata, la metà delle derrate alimentari. Dove gli obiettivi delle operazioni navali sono la protezione dei convogli destinati al fronte francese in cui navi cariche di materiali e soldati attraversano le acque costantemente pattugliate da cacciatorpediniere e sommergibili, la posa degli sbarramenti minati difensivi è fondamentale per il blocco navale, sia allo scopo di precludere alla flotta tedesca l'uscita nell'aperto Oceano Atlantico, sia il suo commercio marittimo con le potenze neutrali, sia per proteggere il flusso di uomini e mezzi verso la Francia attraverso la manica con una rete di mine che copre una vasta superficie del Mare del Nord, tra la foce del Tamigi e l'Olanda. Per la costruzione di questa rete, programmata nella posa 128 mila mine in tre anni, in ausilio alle unità navali militari sono impiegate anche le mercantili appositamente modificate scelte per l’elevata capacità di carico e la precisione nella navigazione, caratteristiche di cui solo queste imbarcazioni sono provviste. Con imbarcati 225 membri di equipaggio, la Princess Irene è un colosso di 120 metri di lunghezza e largo 16 che, alimentata da quattro turbine a vapore in grado di spingerla fino alla velocità di 41,7 chilometri orari, imbarca un carico di 500 “Navy Spherical Mine” Type H Mark V, molto diverse dai primi seicenteschi prototipi inglesi che avevano messo a dura prova le navi di Luigi XIII. I barili di legno pieni di esplosivo con un acciarino da moschetto come dispositivo di accensione e ancorati a grosse pietre sul fondo, avevano funzionato così bene che gli ufficiali della Marina Pontificia ne avevano copiato il design per riadattarlo alla difesa dei porti dalle scorrerie dei pirati barbareschi. Di 102 centimetri di diametro e pesanti 399 chilogrammi, le mine Mark V, loro straordinaria evoluzione sotto il profilo tecnologico e offensivo, sono in preparazione sui carrelli per le messa in servizio per un totale di 113.500 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale armati e pronti all’uso. Partite dalle località fluviali di Woolwich e Upnor e arrivate a Saltpan Reach su delle chiatte lungo i fiumi Tamigi e Medway, sono un modello sferico “a contatto” Hertz, cioè ad attivazione ad urtante con fiala di acido solforico. Gli urtanti, sei spilli in piombo montati sulla superficie della sfera, quattro sulla parte superiore e due su quella inferiore, quando entrano a contatto con un corpo esterno si piegano rompendo la fiala di vetro all’interno che rilascia l’acido. Colando per gravità attraverso un condotto, questo è convogliato forzatamente fino a una batteria al piombo sotto lo spillo che viene attivata generando una corrente sufficiente ad alimentare il sistema di innesco. Questo è costituito da un detonatore elettrico all’Azoturo di Piombo, un tubicino d’innesco in alluminio erede di quello inventato da Julius Smith nel 1876, riempito col preparato della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890 che innesca una carica esplosiva cilindrica primaria di Trinitrotoluene, un esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo. Il booster, infilato per tutta la lunghezza all’interno dell’alloggiamento della carica principale, più grossa, funge da spinta per 227 chilogrammi di Amatolo 60/40 chiusi in una camera metallica stagna, una potente miscela creata dalle forze armate britanniche all’inizio della guerra e costituita da una percentuale del 40% di Trinitrotoluene e 60% di Nitrato d'ammonio. Concepito principalmente come fertilizzante e chiamato col nome di “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma, il Nitrato d’Ammonio è stato preparato e descritto nel 1659 da Johann Rudolph Glauber, un chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, per poi essere scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. Grazie al sistema di fissaggio della mina sul carrello, la posa in mare diventa semplice e veloce tanto che la Princess Irene è in grado di posare uno sbarramento di 12 chilometri in 20 minuti procedendo con una velocità costante di 20 nodi, circa 40 chilometri orari. Il carrello, un cassone in ferro di grande peso che funge da zavorra, durante il trasporto regge su di sé la mina semplificando la movimentazione rendendola in tal modo più sicura. Al suo interno contiene l’avvolgimento di un trefolo d’acciaio in grado di sostenere la mina e tenerla ancorata al carrello che, una volta rilasciato, si posa sul fondale facendola fluttuare alla profondità stabilita calcolata grazie ad un sistema a pressostato. Chiamato così per via di quattro ruote di derivazione ferroviaria che scorrono su rotaie imbullonate sul ponte della nave, il carrello viene sganciato in mare e, dopo qualche secondo di galleggiamento, affonda srotolando il cavo fino a raggiungere la profondità programmata dove il pressostato attiva, sotto la pressione dell’acqua, un meccanismo che fa scattare un freno di blocco del rocchetto facendo affondare la zavorra, trattenendo la mina ad una profondità compresa tra 5 e 10 metri dalla superficie e sganciando una molla che infila meccanicamente il detonatore all’interno del booster armando la carica principale. La Princess Irene è dotata di tre serie di binari sui due lati del ponte principale e altre due serie su quello posteriore, per poter imbarcare il maggior numero di mine le file di binari sono imbullonate il più vicino possibile le une alle altre, così vicine che nella posa dei carrelli gli operatori devono prestare la massima attenzione che gli urtanti di ogni mina non collidano tra loro. Si è sempre discusso in merito al personale addetto al carico e allo scarico delle merci, e ancora di più per la manipolazione degli armamenti e oggi, a bordo con l’equipaggio ci sono anche 78 operai della Sheerness Dockyard divisi in due squadre. Mentre una si sta occupando di verificare i rinforzi delle intelaiature in ferro che sostengono il peso delle mine sul ponte non progettato per un carico simile, l’altra sta registrando le rotaie in vista della partenza programmata per il 29. George Kilpatrick, che avrebbe dovuto far parte della seconda squadra, ottenendo un cambio turno dell’ultimo minuto è appena andato via. Anche il 21enne John Jeffrey Sutton non è a bordo, ha chiesto al Capitano il permesso di scendere a terra per un appuntamento dal dentista. Si è arruolato a Portsmouth nel giugno di tre anni fa e ottenuta la certificazione di sottufficiale in solo un anno è stato imbarcato a marzo sul posamine come segnalatore della Royal Navy. A bordo invece operai e membri dell’equipaggio si stanno occupando del delicato montaggio dei carrelli e in pesante ritardo sulla tabella di marcia stanno cercando di recuperarlo accelerando le operazioni. L’ispezione di ogni mina prima di essere trascinata nella sua corsia dopo il trasbordo dalla chiatta al ponte del posamine, operazione fino a pochi minuti fa meticolosa e particolarmente lunga, viene ridotta ad una verifica superficiale, veloce, troppo, talmente veloce da non vedere che un violento scossone durante la fase di rilascio delle cinghie nel poggiare una mina sul ponte ha fatto saltare il fermo di sicurezza della molla spingendo il detonatore nell’alloggiamento del booster. La mina, armata, è spostata sui binari e incolonnata alle altre. Sono le ore 11:08, le operazioni stanno volgendo al termine, i carrelli sono ordinatamente poggiati gli uni agli altri in un incastro perfetto con gli urtanti di ogni sfera che quasi si sfiorano. La mina innescata, silente in mezzo alle altre 499, ha accusato per ore gli effetti dell’atterraggio fuori controllo. Le vibrazioni, troppo intense per un marchingegno di tale complessità, hanno danneggiato anche la fiala di un urtante, filatura nel vetro che ha consentito all’acido di colare per il condotto, goccia dopo goccia, depositandosi sulla superficie della batteria che improvvisamente si attiva. La corrente elettrica, schizzando fino al detonatore lo accende. La miscela incendiaria al suo interno avvia l’Azoturo di Piombo sensibile al calore che innesca il Tritolo del booster facendo detonare la carica principale. L’Amatolo scatena la sua potenza, con una velocità di detonazione di 5.000 metri al secondo i 227 chilogrammi esplodono facendo saltare le mine di poppa innescando una velocissima reazione a catena. Una colonna di fuoco si alza nel cielo seguita da una seconda che sovrasta la precedente sollevandosi per 90 metri e lanciando in acqua chi si trova sul ponte. Nessuno ha il tempo di fare quasi nulla, in una frazione di secondo una terza fiammata avvolge la nave, la Her Majesty's Ship Princess Irene salta in aria. La furia delle 113.500 tonnellate di Amatolo solleva le 5.394 del posamine staccandolo letteralmente dall’acqua spezzandolo in due. L’equipaggio è fatto a pezzi, parti di corpi in fiamme sono lanciati in mare e sulla terraferma sparpagliati assieme a lamiere e detriti. Sotto una palla di fuoco che continua a salire verso il cielo, a pelo d’acqua l’onda d’urto generata viaggia ad una velocità mostruosa. Investe immediatamente le chiatte, le spoglia, scoperchia le cabine e prosegue raggiungendo una nave da trasporto carbone ad 800 metri dove strappa i bulloni della gru dalle piastre scaraventandoci addosso una caldaia, sradicando la struttura dai sostegni e sventrando un marinaio con una scheggia di metallo del peso di 46 chilogrammi. Dopo avere portato distruzione in mare, l’onda di sovrappressione impatta a tutta velocità sulla costa. Il muro d’aria, accompagnato da una tempesta di frammenti colpisce il deposito di combustibili dell'Admiralty di Port Victoria perforando le cisterne della stazione di pompaggio che esplodono radendo al suolo parte dell’area industriale. Ad Isle of Grain, il punto più orientale della penisola di Hoo nel distretto di Medway nel Kent, non va di certo meglio, una pioggia di fuoco e ferro si riversa sulle case, sulle campagne, sulle persone. Nel giardino di casa, una mamma si vede decapitare davanti agli occhi la figlia di nove anni da un frammento di ferro di 35 chilogrammi mentre una sezione di 10.160 chilogrammi del posamine compare dal nulla conficcandosi in un terreno poco distante. In un raggio di 32 chilometri dal cielo piove metallo, parti delle caldaie e della chiglia bombardano la costa, a Sittingbourne un fumaiolo atterra in un parcheggio, a Bredhurst un pezzo della prua scoperchia un negozio, ad Hartlip alcune paratie sfregiano una palazzina e ad Rainham una porzione del ponte infilza una delle vie più trafficate. 84 persone vengono colpite, fortunatamente molte saranno in grado di raccontarlo. Nel Punto Zero invece è calato il silenzio. La Princess Irene si è disintegrata. Da un fungo nero alto 400 metri, come fogli di carta giù da un palazzo planano lamiere sull’acqua intrisa d’olio che brucia su una distesa di corpi straziati. In città John Jeffrey Sutton è ancora dal dentista quando la finestra si spalanca con un ruggito. Si alza dal lettino, si affaccia, la gente si è riversata in strada e indica qualcosa verso il mare. Sutton si precipita in strada, guarda la costa, un’immensa colonna di fumo copre il cielo proprio dove c’era la sua nave, disintegrata, sparita portando con sé 352 anime vittime di una disattenzione che probabilmente, anzi, quasi sicuramente si sarebbe potuta evitare.

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01 aprile, 2022

Aden, Cacciatorpediniere USS Cole, 12 ottobre 2000

 

TIPOLOGIA: attentato                   
CAUSE: barchino suicida      
DATA:
12 ottobre 2000
STATO: Yemen
LUOGO: Aden, Porto
MORTI:
17
FERITI:
39

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

Nella Marina degli Stati Uniti d’America i cacciatorpediniere sono navi da guerra che operano in supporto di gruppi di battaglia di portaerei, gruppi di azione di superficie, gruppi anfibi e gruppi rifornimento. La relativamente recente aggiunta della capacità di lancio di missili da crociera a lungo raggio, in grado di volare come un aeroplano, e la rimozione di combattenti di superficie più pesanti come le corazzate, ormai obsolete, ha fatto crescere il tonnellaggio dei cacciatorpediniere ed espanso grandemente il loro ruolo. Nel 2000 una sola classe di cacciatorpediniere è in uso nella marina USA: la Arleigh Burke. Con lo stesso tonnellaggio di un incrociatore leggero della Seconda Guerra mondiale e 303 uomini di equipaggio la USS Cole fa parte di questa flotta. È chiamato così in onore del sergente di marina Darrell S. Cole, un mitragliere ucciso in azione il 19 febbraio 1945 sull’isola di Iwo Jima durante la Guerra nel Pacifico tra le forze statunitensi, le truppe dell’esercito imperiale e della marina giapponese che si affrontavano nelle ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale. Costruita dalla Ingalls Shipbuilding di Norfolk, consegnata alla Marina Militare l'11 marzo 1996 e in servizio dall’8 giugno dello stesso anno con numero identificativo DDG-67 è uno dei 62 cacciatorpediniere missilistici guidati in dotazione. È pesante 8.900 tonnellate, lungo 154 metri, largo 21, corazzato con 70 tonnellate di Kevlar e paratie d'acciaio nei punti sensibili e con in dotazione rampe lanciamissili, tubi lanciasiluri, mitragliatrici e un cannone del calibro di 127 millimetri in grado di attaccare navi, aerei e bersagli terrestri con una cadenza di 20 colpi al minuto e una portata fino a 32 chilometri, la Cole in grado di svolgere il ruolo strategico di attacco terrestre, antiaereo, antisommergibile e anti-superficie, con un design che incorpora anche tecniche stealth come le superfici verticali angolate che rendono la nave più difficile da rilevare, in particolare dai missili antinave, oltre che dota una suite di guerra elettronica che fornisce rilevamento passivo e contromisure esca ed un sistema di filtraggio dell'aria negli ambienti nell’eventualità di attacchi nucleari, biologici e chimici. È il 12 ottobre e sotto la guida Comandante Kirk Lippold, al comando dal 25 giugno dell’anno scorso, salpata dalla Naval Station Nortfolk in Virginia ora la USS Cole si trova ormeggiata nel porto neutrale di Aden, nello Yemen meridionale, in rifornimento dopo una navigazione nel Golfo Persico. Questo giovedì si trova qui, all'estremità della penisola arabica, per unirsi alle navi da guerra statunitensi che stanno attuando un blocco navale all’Iraq. La nave da guerra, che ha completato l'ormeggio alle ore 9:30 e iniziato il rifornimento alle ore 10:30, in orario come da piano, non è una semplice nave, è un simbolo, il simbolo di una nazione odiata, detestata, un bersaglio che Abd al-Rahim al-Nashiri, capo di Al-Qaida nel Golfo Persico, ha scelto di eliminare. Al-Qaida, il movimento fondamentalista islamista sunnita paramilitare terroristico nato nel 1988 durante la Guerra in Afghanistan, è guidato dal miliardario saudita Osāma bin Lāden, 17esimo dei 57 figli dell’immobiliarista yemenita Mohammed bin Awad bin Lāden, che avvalso della guida ideologica di Ayman al-Zawāhirī, scrittore, poeta e medico de Il Cairo appartenente ad una famiglia di dotti religiosi e di magistrati, aveva deciso di utilizzare soldi e macchinari della propria impresa di costruzioni per aiutare la resistenza dei mujaheddin durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Nato in Arabia Saudita il 5 gennaio 1965 al-Nashiri è un saudita cittadino arabo. Dopo aver passato del tempo in Afghanistan dall'inizio degli anni '90 per partecipare agli attacchi contro i russi nella regione, si era spostato nel 1996 prima in Tagikistan poi in Afghanistan, a Jalalabad, dove aveva incontrato per la prima volta bin Lāden che aveva cercato di convincerlo ma senza successo ad unirsi ad Al-Qaida. L’idea di attaccare gli Stati Uniti d’America e di riconsiderare l’offerta era arrivata unendosi ai talebani, i membri dell’organizzazione politica e militare afghana a ideologia fondamentalista islamica, assistendoli nel contrabbando di missili anticarro in Arabia Saudita e riportando direttamente a bin Lāden che lo aveva preso sotto la sua ala protettrice fino ad approvare e finanziare la sua strategia: attaccare le navi americane con dei barchini esplosivi, un piano realizzabile solo grazie all’appoggio logistico del Governo della Repubblica del Sudan dal quale sarebbe arrivato l’esplosivo via terra transitando poi per le sue acque territoriali. Per preparare l’attacco utilizzando con questa particolare tecnica inventata nel 1935 dalla Regia Marina Italiana e perfezionata dall’Esercito Imperiale Giapponese durante le fasi finali della Seconda Guerra Mondiale, al-Nashiri non si era mosso da solo. Accanto a lui, la mente, il Comandante sul Campo come lo aveva definito bin Lāden, ci sono Jamal Ahmad Mohammad Ali Al Badawi, 40 anni, yemenita, e Fahd Mohammed Ahmed al-Quso, 26 anni, anche lui yemenita, il primo esperto nella costruzione di ordigni esplosivi, il secondo soldato addestrato negli anni ’90 nei campi di Al-Qaeda in Afghanistan. I due, i coordinatori locali di Al-Qaida, si erano occupati delle attrezzature nonché dell’affitto di un capannone abbastanza grande da contenere una barca e un camion con rimorchio acquistati per l’occasione. Assieme ad al-Nashiri compongono la cuspide dell’Aden-Abyan Islamic Army, un gruppo militante islamista con sede in Yemen. Implicata in diversi atti di terrorismo dalla fine degli anni '90 l’associazione si era formata a metà di quegli anni come una libera rete di guerriglia di poche dozzine di uomini, un mix di veterani della guerra sovietico-afghana e islamisti di vari paesi guidata da un certo Zayn al-Abidin al-Mihdhar. Senza un leader dopo che era stato giustiziato nel dicembre del 1999 per aver organizzato l’anno prima il rapimento di 16 turisti occidentali nello Yemen meridionale, Rahim al-Nashiri aveva trovato campo fertile per dare una nuova guida a questo gruppo di soldati con un denominatore comune: l’odio per l’occidente. E quest’odio, che non aveva atteso molto prima di essere scatenato in tutta la sua furia, lo avevano pianificato e indirizzato con la collaborazione di Al-Qaida, sinergia formatasi a seguito di un raid aereo americano al campo di addestramento di bin Lāden in Afghanistan, proprio contro gli Stati Uniti d’America nell’attacco combinato del 7 agosto 1998 alle ambasciate in Tanzania e in Kenya dove con due camion bomba avevano colpito Dar es Salaam e Nairobi spezzando 224 vite. I tecnici della Aden-Abyan per l’attacco con la barca esplosiva avevano studiato sia la tecnica italiana che quella giapponese. In quella italiana, dove il pilota era seduto all'estrema poppa su un piccolo sedile a sbalzo, il mezzo veniva abbandonato col timone bloccato e lanciato a tutta velocità da una distanza di 500 metri dal bersaglio con armata la carica esplosiva del peso di 300 chilogrammi. Questa, sistemata in un compartimento a prua veniva poi attivata urtando lo scafo dell’obiettivo per esplodere ad una certa profondità al fine di ottenere il maggior numero di danni possibile. La tecnica giapponese, molto simile, non prevedeva motoscafi “modificati” per l’occasione come la versione italiana, bensì veicoli progettati appositamente per un attacco suicida dato che nessun pilota avrebbe avuto mai il tempo di allontanarsi. Nei barchini di Classe Shinyo in dotazione sia alla Marina che all’Esercito la carica esplosiva consisteva in due bombe di profondità impostate con un timer di 6 secondi, o in una carica di esplosivo in prua del peso di 270 chilogrammi attivata elettricamente all’impatto oppure manualmente. Le informazioni in possesso dell’organizzazione dicevano che la Cole sarebbe rimasta in porto soltanto quattro ore pertanto i margini d’errore sarebbero dovuti essere minimi per non attirare l’attenzione dell’equipaggio se non nella fase di avvicinamento finale, quando sarebbe stato tardi. Una volta scelta la modalità d’attacco lo studio si era spostato sul tipo di carica e di esplosivo. Gli italiani erano soliti utilizzare sui barchini il Tritolital, un tipo di esplosivo progettato a metà della guerra e costituito dalla Tritolite unita alla polvere di alluminio. La Tritolite, realizzato all’inizio della Seconda Guerra Mondiale dai laboratori di ricerca americani è una miscela di due esplodenti primari: il Trinitrotoluene, preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt, e l’RDX. Formalmente chiamato ciclotrimetilenetrinitramina, l’RDX ha caratteristiche eccezionali, era stato scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898, codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD” Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, e "X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva. I giapponesi invece utilizzavano un esplosivo leggermente diverso, il Tipo 98, di loro invenzione, creato nei primi anni ’30 e costituito da 70% di Trinitroanisolo e 30% di HND, l’Esanitrodifenilammina, il primo preparato per la prima volta nel 1849 dal chimico francese Auguste Cahours, il secondo scoperto dal chimico francese Charles-Émile Kopp nel 1873 e raffinato dagli scienziati giapponesi all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Come in questi due casi, per demolire la fiancata di una nave della robustezza di un cacciatorpediniere al-Nashiri avrebbe avuto necessità di un esplosivo molto potente, possibilmente per utilizzo militare. La scelta era andata sul C-4, ad alta velocità di detonazione, incredibilmente stabile e modellabile su qualsiasi superficie, caratteristica questa fondamentale. Esplosivo speciale creato durante la Seconda Guerra Mondiale, evoluzione del C-3 con brevetto americano degli anni ’70, solitamente confezionato in cartucce il “plastico” C-4 è composto da una percentuale del 91% in peso di RDX, 5,3% di plastificante dietilesile, 2,1% di poliisobutilene e 1,6% di olio lubrificante del tipo SAE 10. Per quanto riguarda il tipo di carica, in una guerra asimmetrica di questo tipo per poter colpire efficacemente una nave particolarmente corazzata come un cacciatorpediniere i tecnici avrebbero avuto bisogno di una tipologia particolare, non convenzionale, con una forma ben precisa dell’esplosivo. Avevano studiato di avvicinare la nave lateralmente affiancandola e per questo avevano trasformato il lato di dritta della barca in una testata di tipo perforante con carica sagomata. Costituita da un vuoto rivolto verso l’esterno su cui si apre un cuneo rovesciato di rame e alluminio con angolo interno di 100 gradi, avevano modellato sulla superficie di quello esterno un quantitativo in peso di 250 chilogrammi di C-4 fino a riempire il vano sotto le sedute sul lato dell’imbarcazione. Il funzionamento di questa particolare carica si basa sull’effetto Munroe, un metodo utilizzato soprattutto nelle armi anticarro e nell’industria delle demolizioni: la parziale concentrazione dell'energia esplosiva causata da un vuoto incavato in una parte di esplosivo, la particolare reazione di cui si era accorto appunto Charles Edward Munroe mentre lavorava nel 1888 alla U.S. Naval Torpedo Station a Newport, negli Stati Uniti. Il principio era stato ripreso e messo in pratica 22 anni più tardi dal tedesco Egon Neumann scoprendo che una carica di Trinitrotoluene, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt, contenente un incavo di forma conica era in grado di lacerare una lastra di metallo che in condizioni normali sarebbe stata solo intaccata dalla stessa quantità di esplosivo. In pratica, una carica di esplosivo sagomata, anziché disperdere la propria potenza esplosiva in maniera omnidirezionale, a seconda della sua forma la concentra nella cavità praticata in precedenza sulla carica stessa. Praticando quindi una cavità conica o iperbolica in un cilindro di esplosivo fatto detonare all'opportuna distanza dal bersaglio, si concentra la forza dell'esplosione contro un punto di esso e causa quindi una temperatura e una sovrappressione tale da disintegrare tutto nella direzione scelta. Secondo questo principio, l’effetto del barchino esplosivo studiato dalla Aden-Abyan Islamic Army sulla nave da guerra sarebbe stato devastante: innalzamento della temperatura, investimento degli occupanti da parte di frammenti di metallo fuso ed esplosione di eventuali munizioni e carburanti. L’attivazione, manuale con funzionamento a rilascio di un pulsante di sicurezza integrato nel pannello di controllo del posto di guida in modo che se il martire fosse stato colpito da un proiettile sparato dalla nave americana l’allentamento della presa avrebbe fatto scattare gli inneschi, è collegato e alimentato dalla batteria della barca, sufficiente questa a generare corrente oltre che al veicolo, tramite un cablaggio nascosto sotto il piano di calpestio anche ad una coppia di detonatori elettrici collegati in serie. Sono le versioni moderne di quelli inventati nel 1876 da Julius Smith, due involucri cilindrici in alluminio contenenti ciascuno una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, uno degli esplosivi più sensibili potenti, un “super-esplosivo” preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, innescato a sua volta da uno primario, il sensibilissimo Azoturo di Piombo preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. Per una maggiore distribuzione dell’onda detonante di innesco all’interno della carica sagomata i detonatori erano stati fissati con nastro adesivo ad una treccia della stessa lunghezza della carica e annegata all’interno costituita da tre spezzoni di miccia detonante, un cordone messo a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914 con anima in Pentrite ed esternamente rivestito con resina termoplastica. Ripiego del primo tentativo fallito al cacciatorpediniere con numero di scafo DDG-68 USS The Sullivans del 3 gennaio 2000 dove la barca era affondata prima di ingaggiarlo a causa dell’eccessivo peso e cattiva distribuzione del carico, l’attacco alla Cole non è un elemento isolato bensì parte di un piano ben più ampio: Chiamato “2000 millennium attack plots” era nato come attacco terroristico multiplo pianificato nel contesto delle celebrazioni del millennio in cui quattro siti turistici in Giordania, l’Aeroporto Internazionale di Los Angels, il dirottamente del Volo 814 della Indian Airlines con tratta dal Nepal all’India erano stati scelti come obiettivi per ricordare al mondo quanto non fosse al sicuro. Fallito il tentativo di affondare il Sullivans la pianificazione di questo secondo tentativo era stata discussa, prima di essere approvata personalmente da bin Lāden durante un incontro con al-Nashiri in Afghanistan, il 5 gennaio durante un vertice di al Al-Qaida a Kuala Lumpur. In Malesia, nella camera d'albergo di Yazid Sufaat, ex capitano e uomo d’affari dell’esercito malese, diversi membri di alto livello avevano parlato per tre giorni pianificando finanziamenti, arruolamenti e futuri attacchi, compreso quello che il prossimo anno diventerà famoso come l’11 settembre. La partecipazione a questo meeting era composta da veterani arabi della guerra sovietico-afghana tra cui: Riduan Isamuddin, 36 anni, indonesiano, capo militare della Jemaah Islamiyah, un gruppo terroristico estremista militante del sud-est asiatico con sedi in Indonesia, Singapore, Malesia e Filippine; Ramzi bin al-Shibh, 28 anni, yemenita, fondatore della famigerata Hamburger Terrorzelle, un gruppo di islamisti radicali con sede ad Amburgo, in Germania; Walid Muhammad Salih bin Mubarak bin Attash, 22enne, yemenita, guardia del corpo di Osāma bin Lāden, selettore e addestratore dei dirottatori dei futuri attacchi dell’11 settembre 2001 agli Stati Uniti; Khalid Muhammad Abdallah al-Mihdhar, 25 anni, saudita e Nawaf Muhammed Salim al-Hazmi, 28 anni, saudita, entrambi combattenti coi mujaheddin bosniaci durante la guerra in Bosnia degli anni ’90, soldati scelti di bin Lāden nonché i dirottatori che uccideranno tutte le 64 persone a bordo insieme a 125 a terra prendendo nell’attacco coordinato dell’11 settembre 2001 il volo 77 dell’American Airlines lanciandolo sul Pentagono, l'edificio sede del quartier generale del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti d'America. Una volta deciso che per la successiva operazione al-Mihdhar sarebbe stato fisicamente sul posto per documentare gli eventi relazionandosi con Al-Qaida per tutte le fasi del piano, avevano previsto il suo trasferimento per il 10 giugno da San Diego, in California, nello Yemen fornendogli un alloggio che avrebbe condiviso con la moglie per tutta la durata dell’incarico da utilizzare come hub di comunicazione coi vertici dell’organizzazione. A fare da tramite per il denaro sarebbe stato invece bin Attash, il “direttore operativo”, che lo avrebbe dirottato in base alle esigenze, oltre che all’acquisto dei mezzi e la gestione degli affitti, anche ad altri due membri, Fahd Muhammad Al-Qasaa e Maamoun Ahmad Onswa, entrambi yemeniti ed entrambi ventenni, incaricati della movimentazione dell’esplosivo nel territorio nonché della corruzione di due agenti di polizia, Ali Muhammad Al-Muraqib e Murad Salih Al-Sorwri, per la fornitura di documenti falsi. Sono le ore 11:12 e tutto pare tranquillo sul ponte della Cole. All'interno, giù nella mensa molti dei membri dell'equipaggio stanno facendo la fila per il pranzo. Nessuno ha la minima idea di quello che sta per accadere, qualcuno chiacchiera col vicino, qualcun’altro è seduto al tavolo a consumare il pasto. Fuori, in movimento sull’acqua, a poche centinaia di metri di distanza la piccola imbarcazione a motore riparata e riconfigurata dopo il fallimento precedente si sta avvicinando lentamente. A bordo ci sono Ibrahim Al-Thour e Hassan Al-Khamri, yemeniti, giovanissimi che si guardano intorno sincerandosi di non essere seguiti e che l’imbarcazione non presenti gli stessi problemi avuti contro il Sullivans. Mescolandosi al gruppo di navi portuali che stanno aiutando la Cole per il rifornimento sono riusciti a passare inosservati. Aden è un porto trafficato e col numero di imbarcazioni da pesca e chiatte mercantili in movimento il barchino in fibra di vetro, non tanto diverso dagli altri, senza attirare l’attenzione di nessuno, né dei pescatori, né dei soldati sul ponte della Cole, procede in una virata a sinistra in direzione della nave da guerra puntando la fiancata sinistra. Non rallenta, anzi, il pilota non stacca la mano dalla manetta dell’acceleratore mentre il secondo è accanto a lui con la mano sull’interruttore. Entrambi sono in piedi, si guardano un attimo prima di volgere il loro sguardo verso la Cole. Le regole d’ingaggio del cacciatorpediniere, impedendo alle vedette di sparare sulla piccola imbarcazione durante l’avvicinamento senza prima il permesso di un ufficiale e comunque se non preventivamente attaccati, permette al barchino di arrivare a tutta velocità sotto gli occhi di tutti fin sotto la nave. Alle ore 11:15, quando per i marinai è troppo tardi per reagire, appena prima che il lato di dritta della barca colpisca il fianco della nave l’uomo con la mano sull’interruttore rilascia il pulsante. Il circuito elettrico viene chiuso, la corrente irrorata dalla batteria percorre in una frazione di secondo il cavo fino ai detonatori dove i ponticelli all’interno incendiano la miscela infiammabile. L’Azoturo di Piombo si innesca facendo partire la Pentrite che fa esplodere il trefolo di miccia detonante e quindi il C-4. La carica composta dal cuneo di metallo su cui sono spalmati i 250 chilogrammi di esplosivo detona con una velocità di 8.000 metri al secondo. La sua energia, venendo rilasciata direttamente dalla sua superficie così sagomata, anziché disperdere la propria potenza esplosiva in maniera omnidirezionale la concentra nella cavità. La maggiore efficienza energetica, causando un maggiore scarico di energia sul metallo con una pressione di oltre 1.000 tonnellate per centimetro quadrato trasforma il metallo del cuneo in un getto di plasma ad alta velocità che genera una temperatura e una sovrappressione tale da praticare una penetrazione nella piastra d'acciaio della fiancata della nave pari a 250 volte il diametro dell'ordigno. La Cole viene scossa da un’onda d’urto violentissima, l’esplosione è così potente che infilandosi sotto la cucina spinge il ponte verso l’alto aprendo uno squarcio nella corazzatura alto 12 metri, largo 18 e con una superficie di 150 metri quadrati. La nave sbanda di 4 gradi, la sala macchine e la sala officina dove tre tecnici stanno riposizionando l’attrezzatura dopo un lavoro di manutenzione, e la mensa gremita per il pranzo, sono attraversate da un’onda di sovrappressione devastante che scardina le porte, piega le paratie e trasforma gli oggetti e gli arredi in proiettili che martoriano e infilzano l’equipaggio scaraventato contro le pareti dall'onda d'urto che rimbalzando all’interno dei locali accentua l'effetto distruttivo colpendolo da più direzioni. Le ossa si frantumano, gli organi interni si spappolano. In 17 non sopravvivono, in 39 rimangono feriti, 11 in modo grave, 2 donne e 9 uomini. Dopo qualche secondo di silenzio dove un fumo nero e denso impedisce di vedere e di respirare, ecco che l’acqua inizia ad entrare inclinando la nave, fortunatamente non in modo fatale. La carica, esplodendo poco sotto il livello del mare, ha dissipato molta della sua energia posseduta non andando a compromettere oltremodo la chiglia, cosa che non sarebbe successa se si fosse trattato di una nave di tipo più vecchio poiché sarebbe stata condannata irrimediabilmente. Ci vorranno 96 ore perché l’equipaggio fermi l’allagamento scongiurando l’affondamento, mentre i feriti verranno smistati nei vari ospedali di Aden per poi essere trasportati prima presso il Landstuhl Regional Meridal Center dell'esercito degli Stati Uniti a Ramstein, in Germania, per poi essere trasferiti negli Stati Uniti. Da questo attacco, il più mortale contro una nave della marina statunitense dopo quello alla USS Stark del 17 maggio 1987 durante la guerra Iran-Iraq in cui un caccia Dassault Mirage F1 iracheno l’aveva colpita con due missili anti-nave uccidendo 37 membri di equipaggio, il presidente americano Bill Clinton ordinerà alle navi nel Golfo Persico di lasciare il porto e dirigersi verso il mare aperto. La Cole, ormai compromessa, verrà caricata sulla nave pontone norvegese Blue Marlin per essere riportata negli Stati Uniti.

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