TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA: 6 dicembre 1917
STATO: Canada
LUOGO: Halifax, Porto
MORTI: 1.956
FERITI: 9.284
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
È il 1917, il mondo è il guerra, in Europa la Russia è appena caduta in
mano al comunismo e si sta ritirando dalla guerra mentre la Francia e l’Inghilterra
guardano la Germania allestire un altro milione e mezzo di truppe sul fronte
occidentale. L’Inghilterra, iniziando a temere che questa guerra potrebbe non
finire poi così presto, sta mobilitando tutto il suo impero. Navi cariche di
materiali e soldati attraversano gli oceani per portare rifornimenti all’ormai
esausto esercito. Anche il Canada è in guerra e in quanto membro
del Commonwealth britannico la marina britannica ha fatto della
città di Halifax la sua centrale operativa. Halifax è una roccaforte militare
del Nord America, lo è sempre stata, il suo porto, con le insenature
caratteristiche della Nuova Scozia, grazie al fatto di trovarsi sulle sponde
dell'Oceano Atlantico, ha sempre avuto l'importante funzione di principale
porto marittimo per il traffico militare da e per l'Europa. Questo ha fornito
alle navi un rifugio sicuro e alle fortificazioni degli ottimi punti
d’osservazione. In aggiunta al contingente militare, 2.500 coloni tra da
agricoltori, pescatori, costruttori, e una manciata di artigiani esperti, vi si
sono trasferiti per iniziare una nuova vita creando il villaggio che è
diventato la città di Halifax, un centro nodale polivalente con 65 mila
abitanti. Questa situazione ha portato nel tempo la città a godere di un vero e
proprio "boom economico" con conseguente rapida crescita del
tessuto urbano. In breve tempo, dallo scoppiare delle ostilità, il porto, strutturato
per sopportare un limitato traffico navale, è diventato il maggior punto
d'attracco per la flotta mercantile alleata, situazione che ha portato in pochi
mesi ad un vero e proprio sovraffollamento navale nell'area portuale con
conseguenti problemi di manovra per le unità alleate. Questo sovraffollamento è
diventato ancora più critico da quando, a partire proprio da quell’anno, è
stato organizzato in modo stabile il sistema di raggruppare le navi in convogli per
poter contrastare più efficacemente l'attacco dei sommergibili tedeschi. A
causa del porto che si presenta quotidianamente congestionato da un trafficato
di navi militari mercantili, la città ha un intasamento costante con un
continuo via vai da e verso il molo. Treni carichi di truppe e rifornimenti
arrivano a tutte le ore del giorno mentre il porto è un continuo brulicare di navi
in partenza per l’Europa: navi trasporto truppe, navi da carico con stivati armamenti
e forniture per la guerra, cibo, munizioni, navi ospedale con personale e
attrezzature mediche, e navi carburante. All’alba della mattina del 6 dicembre
l’aria è limpida e come ogni giorno la struttura portuale è in piena attività,
le navi stanno attraccando e partendo senza sosta. Tra queste, la SS Mont-Blanc
si appresta ad oltrepassare lo stretto all’imboccatura del porto con lo scopo
di unirsi ad un convoglio così da essere protetta contro gli U-Boot tedeschi.
La Imo invece è in partenza con destinazione New York per il recupero di un
carico atteso in Belgio e si appresta a percorrere la medesima rotta della
Mont-Blanc ma in senso opposto. La Mont-Blanc è una nave trasporto esplosivi battente
bandiera francese ed è di proprietà della Cie Generale Transatlantique. Lunga
98 metri, larga 14 e con una profondità di 5 metri, ha una stazza lorda di 3.121
tonnellate e una capacità di carico netto di 2.252 tonnellate. Il Capitano Aime
Le Medec ha sotto la sua responsabilità un equipaggio di 41 marinai francesi e
un gigantesco carico di esplosivo distribuito sul ponte e nella stiva. Le
pareti, con un lavoro durato settimane, sono state rivestite per l’occasione
con assi di legno tenuti in posizione da chiodi di rame con proprietà antiscintilla.
Nei compartimenti che dividono la stiva trovano alloggio 2.366,5 tonnellate di
Acido Picrico sia umido che secco. Scoperto dal chimico tedesco Johann Rudolph
Glauber nel 1742, finito di sintetizzare
correttamente nel 1841 e scoperto come esplosivo nel 1873 dal chimico
anglo-tedesco Hermann Sprengel, questo composto organico, una volta arrivato a
destinazione, sarà trasformato con l’aggiunta di Nitrobenzolo e vaselina in
Lyddite, un potentissimo esplosivo da lancio per proiettili di artiglieria
brevettato nel 1888 a Lydd, nella regione del Kent, in Gran Bretagna. Stoccati in
stiva assieme all’Acido Picrico ci sono anche 250 tonnellate di Trinitrotoluene,
preparato la prima volta nel 1863 dal
chimico tedesco Julius Wilbrand ed esplosivo leggermente meno potente, e 62,1
tonnellate di Nitrocellulosa, prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian
Friedrich Schönbein nel 1846. Sul ponte invece sono alloggiate 246 tonnellate
di Benzene in botti e questo idrocarburo, scoperto nel 1825 dallo
scienziato britannico Michael Faraday isolandolo dal petrolio, per la
sua altissima infiammabilità è tenuto per precauzione separato dal resto del
carico da pareti divisorie in legno. L’equipaggio sta viaggiando seguendo dei
protocolli severi e rigorose restrizioni: il divieto tassativo di fumare e detenere
a bordo liquori e ogni altro genere di liquido infiammabile sono solo alcuni di
questi. La nave non ha la bandiera di identificazione del carico a vista, è
stata ammainata, è contro il regolamento ma in questo modo il Capitano spera di
dare anonimato al bastimento per non diventare un bersaglio degli U-Boot in continuo
pattugliamento diventati ormai un flagello dell’oceano. La Imo invece è un
cargo militare battente bandiera norvegese di proprietà della White Star Line.
Molto più grande della Mont-Blanc, ha una stazza lorda di 5.043 tonnellate e
una netta di 3.161 tonnellate. È lungo 131 metri, largo 14 metri, con una
profondità di 10 metri e sotto il comando del Capitano Haakon ha a bordo un
equipaggio di 39 uomini. È anche più lenta della precedente ed è difficile da
manovrare a causa della conformazione della chiglia. Sono le ore 07:39 ad
Halifax, il sole si alza su un cielo limpido sopra le colline orientali di
Dartmouth tagliando il fumo dei fuochi del mattino e riscaldando la riva. In
città le madri svegliano i figli per la prima colazione, li preparano per
andare a scuola mente i mariti si accingono ad andare a lavoro. Il centro
abitato poco a poco sta prendendo vita: gli uomini d'affari passeggiano di buon
mattino per i negozi, gli uffici aprono e le fabbriche sono già operative, alla
stazione ferroviaria di North Street i passeggeri attendono i treni del mattino
e nelle guarnigioni militari i soldati sono appena stati assegnati alle loro
funzioni. Nel porto invece, sul molo i marinai allestiscono le navi per la partenza,
sull’acqua i piloti dei due bastimenti in movimento, la Mont-Blanc in entrata e
l’Imo in uscita, si preparano per le delicate manovre all’interno del canale.
Sulla Imo, poiché la nave è in forte ritardo a causa di alcune lungaggini nell’approvvigionamento
del carbone, il piloto aumenta i giri dei motori per cercare di recuperare tempo
superando abbondantemente la velocità obbligatoria all’interno del porto. Dalla
parte opposta, la Mont-Blanc avanza tranquilla ma priva di scorta. Il pilota
della Imo è William Hayes, è un veterano del porto e nonostante l’alta velocità
con cui sta conducendo le manovre guida la nave con sicurezza sul lato sinistro
del canale dove appena passata l’imboccatura incrocia un’altra nave, la SS
Clara, che lo sta percorrendo sul lato sbagliato. Per evitare la
collisione la Imo è costretta a spostarsi verso il centro finendo sulla
traiettoria di una terza, la SS Stella Maris, che con un colpo di sirena la
avvisa della sua presenza. La Imo, non avendo né il tempo né lo spazio per
rientrare sul lato sinistro, a causa dell’alta velocità l’unica soluzione
possibile per evitare una collisione è spostarsi ancora più verso destra
invadendo quindi il lato destro del canale dove però la Mont-Blanc sta puntando
le banchine d’attracco. Il Capitano della Mont-Blanc Aime Le Medec, che si
trova improvvisamente davanti la Imo lanciata a tutta velocità, non può fare
altro che segnalarle che si trova nel lato sbagliato del canale, venendo
segnalato a sua volta dell’impossibilità della prima a spostarsi in tempo. Le
Medec, ordinando di fermare i motori e contemporaneamente spingendo la nave
verso il lato destro, sbianca vedendo la Imo cercare di deviare la sua
traiettoria spostandosi invece nuovamente al centro. Sono le ore 08:45, la Imo
colpisce la Mont-Blanc con abbastanza forza da rovesciare alcuni barili di Benzene
stoccati sul ponte che si scoperchiano inondando col contenuto gli assi di prua.
Quattro secondi dopo, mentre la Imo tenta di arretrare per staccarsi
dalla Mont-Blanc, lo sfregamento dei due scafi di metallo genera una serie
di scintille che incendiano i vapori dell’idrocarburo sul ponte. Il Benzene
prede fuoco. I marinai accorrono immediatamente per tentare di domare le fiamme
ma è un’impresa impossibile, sono sufficienti pochi minuti perché la nave venga
avvolta dalle fiamme. L’incendio è così violento da essere incontrollabile, la
temperatura cresce a tal punto che gli altri bidoni di carburante raggiungono
il punto di ebollizione. Uno dopo l’altro si incendiano e vengono sparati in aria
come dei missili. Il capitano della Mont-Blanc, vista la situazione, ordina di
abbandonare la nave e lancia l’allarme verso il porto, ma è in francese e
nessuno capisce realmente quello che sta per succedere. L’equipaggio, dopo aver
calato in mare le scialuppe di salvataggio mentre il cargo si sta trasformando
in una nave fantasma alla deriva, guarda l’incendio assume proporzioni enormi e
divorare il bastimento dall’esterno. Sono arrivati anche i pompieri di Halifax
che vedendo dalle banchine la colonna di fumo alzarsi sul porto, sono riusciti
a raggiungere il canale per tentare di controllare il fuoco nonostante i
ripetuti appelli del Capitano di allontanarsi il più velocemente possibile. La
pressione e la temperatura sono cresciute esponenzialmente e mentre all’interno
le fiamme che sono nel frattempo avanzate con una velocità impressionante hanno
quasi raggiunto la stiva, all’esterno la nave ha iniziato a muoversi in
direzione dell'area portuale e centrale della città. Trascinata dalla corrente,
raggiunge in pochi minuti la terraferma, ai piedi di Richmond Street, nel
centro del quartiere Richmond, la zona più trafficata all'estremità nord,
andando a sbattere contro il molo numero 6. Le strutture portuali prendono
fuoco, è l’inizio della fine. Altre squadre di soccorso arrivano per fermare
l’avanzata delle fiamme ma senza successo, il fuoco continua ad aumentare. Le campane
antincendio suonano senza sosta, lo spettacolo è visibile da tutta la città
tanto che migliaia di persone, attirate da quello che sta accadendo, si riversano
nei moli adiacenti per osservare l'evolversi della situazione. Dal porto si
alza un’immensa colonna di fumo nero che attira minuto dopo minuto un numero di
curiosi sempre maggiore. Nel frattempo i marinai francesi sono arrivati a
terra, cercano in tutti i modi di disperdere la folla, non vengono compresi,
sta per accadere l’irreparabile. Quelli a bordo delle altre navi lasciano le postazioni
di lavoro per accalcarsi incuriositi alle ringhiere, in città operai e i
negozianti escono per strada, le mogli lasciano le faccende per affacciarsi
alla finestra coi bambini in braccio, gli studenti si alzano dai banchi di
scuola, tutti vogliono assistere all’inaspettato spettacolo pirotecnico. Sono
le ore 09:04, la temperatura dell'incendio raggiunge un livello tale da far
raggiungere al carico quella critica di accensione. L’esplosivo a bordo esplode
contemporaneamente scatenando quella che sarà ricordata come tra le più potenti
esplosioni di tutti i tempi. La nave trasporto viene letteralmente polverizzata.
La potenza dell’esplosione equivalente a 2.989 tonnellate di tritolo genera
un’onda d'urto che viaggia ad una velocità di 1.500 metri al secondo con una
temperatura di 5.000 gradi centigradi che vaporizza l’acqua attorno alla nave.
L’onda di sovrappressione rade al suolo ogni struttura si trovi nel raggio di
1,6 chilometri. 2,5 chilometri quadrati di città, case, chiese, fabbriche,
uffici, stazioni, vengono ridotte in macerie. Le lunghe catene di vagoni
ferroviari sono sballottati come giocattoli, ribaltati, alcuni lanciati a
decine di metri. 1.956 persone semplicemente scompaiono. La Imo, sparata come
un proiettile sulle case travolge due quartieri. Le altre sono strappate dagli
ormeggi, sollevate, rovesciate e ributtate in acqua. La terra trema e uno
tsunami di 18 metri di altezza entra in città inghiottendo tre isolati
abbattendo le strutture rimaste precariamente in piedi dopo il passaggio
dell’onda d’urto. 1.500 edifici sono ridotti in briciole. I frammenti della
Mont-Blanc piovono per chilometri: uno dei cannoni a 5,5 chilometri di
distanza, un pezzo di ancora da 520 chilogrammi si infila nel terreno a 3.800
metri. Rivetti, viti, bulloni e pezzi di acciaio rovente piovono sul porto e
sui quartieri immediatamente vicini. Il calore e la pressione spingono una
palla di fuoco di gas caldi e detriti, fuliggine e schegge in alto nel cielo
per 4.000 metri. Mentre i gas si raffreddano una nube cade sul porto come una
doccia tossica che trasforma il giorno in notte. Quando la nube a fungo inizia
a diradarsi, lentamente i sopravvissuti possono comprendere la reale
drammaticità di ciò che è appena accaduto. L’area portuale di Halifax non
esiste più, la zona intorno invece è devastata. Macerie e pezzi di corpi umani ricoprono
il terreno, le strutture sono crollate o in fiamme, decine di navi sono
danneggiate, affondate o su un lato. I membri dell’intero corpo dei Vigili del
Fuoco sono stati sciolti, inghiottiti da un muro di metallo fuso e vapore. La
maggior parte dei quartieri a nord di Halifax è stata spazzata via, solo le
strutture di calcestruzzo armato hanno ancora una forma. Per 16 chilometri gli
edifici sono parzialmente demoliti o resi inagibili, con pareti divelte,
finestre esplose e danni da incendi divampati da stufe scoppiate o rovesciate. Il
boato è stato avvertito a 360 chilometri. In 25.000 resteranno senza una casa. La
città è nel caos ma essendo in guerra la popolazione era stata preventivamente addestrata
a reagire in caso di un attacco tedesco. Le forniture del gas vengono bloccate
per evitare ulteriori esplosioni, il personale delle marine inglesi, canadesi e
americane inviano i loro chirurghi di bordo nelle scuole diventate in poche ore
ospedali da campo improvvisati. Con le stazioni telegrafiche distrutte alcuni
ingegneri ferroviari sono corsi alle successive per chiedere ulteriori soccorsi
che, fortunatamente sono già in marcia. Ogni quartiere, ogni via, ogni abitazione,
cantina e garage vengono passate al setaccio alla ricerca dei feriti: saranno 9.284.
La devastazione è massima, un evento che resterà nella storia come uno dei più catastrofici,
ma in mezzo a tanta distruzione ci sono tante storie di coraggio e abnegazione,
nonché tanti uomini e donne che mantengono il sangue freddo applicando le
procedure e salvando migliaia di vite, tanti eroi che quasi nessuno ricorderà. Tra
loro ce n’è uno, il suo nome è Vincent Coleman, un 45enne telegrafista
delle ferrovie canadesi che quella mattina si trova a lavoro nella stazione
telegrafica della stazione ferroviaria. Sta assistendo alla scena, il fuoco è sempre
più vicino. Sa cosa trasporta la Mont-Blanc, sa cosa sta per accadere, potrebbe
scappare, mettersi al sicuro, salvarsi, ma non lo fa. Rientra nel suo ufficio distante
solo qualche centinaio di metri dalla nave in fiamme per mandare un ultimo
telegramma: “Hold up the train. Munitions ship on fire and making for Pier 6...
Goodbye boys”.
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