01 agosto, 2018

Halifax, Porto, 6 dicembre 1917


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
6 dicembre 1917
STATO:
Canada
LUOGO:
Halifax, Porto
MORTI: 1.956
FERITI:
9.284

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 1917, il mondo è il guerra, in Europa la Russia è appena caduta in mano al comunismo e si sta ritirando dalla guerra mentre la Francia e l’Inghilterra guardano la Germania allestire un altro milione e mezzo di truppe sul fronte occidentale. L’Inghilterra, iniziando a temere che questa guerra potrebbe non finire poi così presto, sta mobilitando tutto il suo impero. Navi cariche di materiali e soldati attraversano gli oceani per portare rifornimenti all’ormai esausto esercito. Anche il Canada è in guerra e in quanto membro del  Commonwealth britannico la marina britannica ha fatto della città di Halifax la sua centrale operativa. Halifax è una roccaforte militare del Nord America, lo è sempre stata, il suo porto, con le insenature caratteristiche della Nuova Scozia, grazie al fatto di trovarsi sulle sponde dell'Oceano Atlantico, ha sempre avuto l'importante funzione di principale porto marittimo per il traffico militare da e per l'Europa. Questo ha fornito alle navi un rifugio sicuro e alle fortificazioni degli ottimi punti d’osservazione. In aggiunta al contingente militare, 2.500 coloni tra da agricoltori, pescatori, costruttori, e una manciata di artigiani esperti, vi si sono trasferiti per iniziare una nuova vita creando il villaggio che è diventato la città di Halifax, un centro nodale polivalente con 65 mila abitanti. Questa situazione ha portato nel tempo la città a godere di un vero e proprio "boom economico" con conseguente rapida crescita del tessuto urbano. In breve tempo, dallo scoppiare delle ostilità, il porto, strutturato per sopportare un limitato traffico navale, è diventato il maggior punto d'attracco per la flotta mercantile alleata, situazione che ha portato in pochi mesi ad un vero e proprio sovraffollamento navale nell'area portuale con conseguenti problemi di manovra per le unità alleate. Questo sovraffollamento è diventato ancora più critico da quando, a partire proprio da quell’anno, è stato organizzato in modo stabile il sistema di raggruppare le navi in convogli per poter contrastare più efficacemente l'attacco dei sommergibili tedeschi. A causa del porto che si presenta quotidianamente congestionato da un trafficato di navi militari mercantili, la città ha un intasamento costante con un continuo via vai da e verso il molo. Treni carichi di truppe e rifornimenti arrivano a tutte le ore del giorno mentre il porto è un continuo brulicare di navi in partenza per l’Europa: navi trasporto truppe, navi da carico con stivati armamenti e forniture per la guerra, cibo, munizioni, navi ospedale con personale e attrezzature mediche, e navi carburante. All’alba della mattina del 6 dicembre l’aria è limpida e come ogni giorno la struttura portuale è in piena attività, le navi stanno attraccando e partendo senza sosta. Tra queste, la SS Mont-Blanc si appresta ad oltrepassare lo stretto all’imboccatura del porto con lo scopo di unirsi ad un convoglio così da essere protetta contro gli U-Boot tedeschi. La Imo invece è in partenza con destinazione New York per il recupero di un carico atteso in Belgio e si appresta a percorrere la medesima rotta della Mont-Blanc ma in senso opposto. La Mont-Blanc è una nave trasporto esplosivi battente bandiera francese ed è di proprietà della Cie Generale Transatlantique. Lunga 98 metri, larga 14 e con una profondità di 5 metri, ha una stazza lorda di 3.121 tonnellate e una capacità di carico netto di 2.252 tonnellate. Il Capitano Aime Le Medec ha sotto la sua responsabilità un equipaggio di 41 marinai francesi e un gigantesco carico di esplosivo distribuito sul ponte e nella stiva. Le pareti, con un lavoro durato settimane, sono state rivestite per l’occasione con assi di legno tenuti in posizione da chiodi di rame con proprietà antiscintilla. Nei compartimenti che dividono la stiva trovano alloggio 2.366,5 tonnellate di Acido Picrico sia umido che secco. Scoperto dal chimico tedesco Johann Rudolph Glauber nel 1742, finito di sintetizzare correttamente nel 1841 e scoperto come esplosivo nel 1873 dal chimico anglo-tedesco Hermann Sprengel, questo composto organico, una volta arrivato a destinazione, sarà trasformato con l’aggiunta di Nitrobenzolo e vaselina in Lyddite, un potentissimo esplosivo da lancio per proiettili di artiglieria brevettato nel 1888 a Lydd, nella regione del Kent, in Gran Bretagna. Stoccati in stiva assieme all’Acido Picrico ci sono anche 250 tonnellate di Trinitrotoluene, preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand ed esplosivo leggermente meno potente, e 62,1 tonnellate di Nitrocellulosa, prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846. Sul ponte invece sono alloggiate 246 tonnellate di Benzene in botti e questo idrocarburo, scoperto nel 1825 dallo scienziato britannico Michael Faraday isolandolo dal petrolio, per la sua altissima infiammabilità è tenuto per precauzione separato dal resto del carico da pareti divisorie in legno. L’equipaggio sta viaggiando seguendo dei protocolli severi e rigorose restrizioni: il divieto tassativo di fumare e detenere a bordo liquori e ogni altro genere di liquido infiammabile sono solo alcuni di questi. La nave non ha la bandiera di identificazione del carico a vista, è stata ammainata, è contro il regolamento ma in questo modo il Capitano spera di dare anonimato al bastimento per non diventare un bersaglio degli U-Boot in continuo pattugliamento diventati ormai un flagello dell’oceano. La Imo invece è un cargo militare battente bandiera norvegese di proprietà della White Star Line. Molto più grande della Mont-Blanc, ha una stazza lorda di 5.043 tonnellate e una netta di 3.161 tonnellate. È lungo 131 metri, largo 14 metri, con una profondità di 10 metri e sotto il comando del Capitano Haakon ha a bordo un equipaggio di 39 uomini. È anche più lenta della precedente ed è difficile da manovrare a causa della conformazione della chiglia. Sono le ore 07:39 ad Halifax, il sole si alza su un cielo limpido sopra le colline orientali di Dartmouth tagliando il fumo dei fuochi del mattino e riscaldando la riva. In città le madri svegliano i figli per la prima colazione, li preparano per andare a scuola mente i mariti si accingono ad andare a lavoro. Il centro abitato poco a poco sta prendendo vita: gli uomini d'affari passeggiano di buon mattino per i negozi, gli uffici aprono e le fabbriche sono già operative, alla stazione ferroviaria di North Street i passeggeri attendono i treni del mattino e nelle guarnigioni militari i soldati sono appena stati assegnati alle loro funzioni. Nel porto invece, sul molo i marinai allestiscono le navi per la partenza, sull’acqua i piloti dei due bastimenti in movimento, la Mont-Blanc in entrata e l’Imo in uscita, si preparano per le delicate manovre all’interno del canale. Sulla Imo, poiché la nave è in forte ritardo a causa di alcune lungaggini nell’approvvigionamento del carbone, il piloto aumenta i giri dei motori per cercare di recuperare tempo superando abbondantemente la velocità obbligatoria all’interno del porto. Dalla parte opposta, la Mont-Blanc avanza tranquilla ma priva di scorta. Il pilota della Imo è William Hayes, è un veterano del porto e nonostante l’alta velocità con cui sta conducendo le manovre guida la nave con sicurezza sul lato sinistro del canale dove appena passata l’imboccatura incrocia un’altra nave, la SS Clara, che lo sta percorrendo sul lato sbagliato. Per evitare la collisione la Imo è costretta a spostarsi verso il centro finendo sulla traiettoria di una terza, la SS Stella Maris, che con un colpo di sirena la avvisa della sua presenza. La Imo, non avendo né il tempo né lo spazio per rientrare sul lato sinistro, a causa dell’alta velocità l’unica soluzione possibile per evitare una collisione è spostarsi ancora più verso destra invadendo quindi il lato destro del canale dove però la Mont-Blanc sta puntando le banchine d’attracco. Il Capitano della Mont-Blanc Aime Le Medec, che si trova improvvisamente davanti la Imo lanciata a tutta velocità, non può fare altro che segnalarle che si trova nel lato sbagliato del canale, venendo segnalato a sua volta dell’impossibilità della prima a spostarsi in tempo. Le Medec, ordinando di fermare i motori e contemporaneamente spingendo la nave verso il lato destro, sbianca vedendo la Imo cercare di deviare la sua traiettoria spostandosi invece nuovamente al centro. Sono le ore 08:45, la Imo colpisce la Mont-Blanc con abbastanza forza da rovesciare alcuni barili di Benzene stoccati sul ponte che si scoperchiano inondando col contenuto gli assi di prua. Quattro secondi dopo, mentre la Imo tenta di arretrare per staccarsi dalla Mont-Blanc, lo sfregamento dei due scafi di metallo genera una serie di scintille che incendiano i vapori dell’idrocarburo sul ponte. Il Benzene prede fuoco. I marinai accorrono immediatamente per tentare di domare le fiamme ma è un’impresa impossibile, sono sufficienti pochi minuti perché la nave venga avvolta dalle fiamme. L’incendio è così violento da essere incontrollabile, la temperatura cresce a tal punto che gli altri bidoni di carburante raggiungono il punto di ebollizione. Uno dopo l’altro si incendiano e vengono sparati in aria come dei missili. Il capitano della Mont-Blanc, vista la situazione, ordina di abbandonare la nave e lancia l’allarme verso il porto, ma è in francese e nessuno capisce realmente quello che sta per succedere. L’equipaggio, dopo aver calato in mare le scialuppe di salvataggio mentre il cargo si sta trasformando in una nave fantasma alla deriva, guarda l’incendio assume proporzioni enormi e divorare il bastimento dall’esterno. Sono arrivati anche i pompieri di Halifax che vedendo dalle banchine la colonna di fumo alzarsi sul porto, sono riusciti a raggiungere il canale per tentare di controllare il fuoco nonostante i ripetuti appelli del Capitano di allontanarsi il più velocemente possibile. La pressione e la temperatura sono cresciute esponenzialmente e mentre all’interno le fiamme che sono nel frattempo avanzate con una velocità impressionante hanno quasi raggiunto la stiva, all’esterno la nave ha iniziato a muoversi in direzione dell'area portuale e centrale della città. Trascinata dalla corrente, raggiunge in pochi minuti la terraferma, ai piedi di Richmond Street, nel centro del quartiere Richmond, la zona più trafficata all'estremità nord, andando a sbattere contro il molo numero 6. Le strutture portuali prendono fuoco, è l’inizio della fine. Altre squadre di soccorso arrivano per fermare l’avanzata delle fiamme ma senza successo, il fuoco continua ad aumentare. Le campane antincendio suonano senza sosta, lo spettacolo è visibile da tutta la città tanto che migliaia di persone, attirate da quello che sta accadendo, si riversano nei moli adiacenti per osservare l'evolversi della situazione. Dal porto si alza un’immensa colonna di fumo nero che attira minuto dopo minuto un numero di curiosi sempre maggiore. Nel frattempo i marinai francesi sono arrivati a terra, cercano in tutti i modi di disperdere la folla, non vengono compresi, sta per accadere l’irreparabile. Quelli a bordo delle altre navi lasciano le postazioni di lavoro per accalcarsi incuriositi alle ringhiere, in città operai e i negozianti escono per strada, le mogli lasciano le faccende per affacciarsi alla finestra coi bambini in braccio, gli studenti si alzano dai banchi di scuola, tutti vogliono assistere all’inaspettato spettacolo pirotecnico. Sono le ore 09:04, la temperatura dell'incendio raggiunge un livello tale da far raggiungere al carico quella critica di accensione. L’esplosivo a bordo esplode contemporaneamente scatenando quella che sarà ricordata come tra le più potenti esplosioni di tutti i tempi. La nave trasporto viene letteralmente polverizzata. La potenza dell’esplosione equivalente a 2.989 tonnellate di tritolo genera un’onda d'urto che viaggia ad una velocità di 1.500 metri al secondo con una temperatura di 5.000 gradi centigradi che vaporizza l’acqua attorno alla nave. L’onda di sovrappressione rade al suolo ogni struttura si trovi nel raggio di 1,6 chilometri. 2,5 chilometri quadrati di città, case, chiese, fabbriche, uffici, stazioni, vengono ridotte in macerie. Le lunghe catene di vagoni ferroviari sono sballottati come giocattoli, ribaltati, alcuni lanciati a decine di metri. 1.956 persone semplicemente scompaiono. La Imo, sparata come un proiettile sulle case travolge due quartieri. Le altre sono strappate dagli ormeggi, sollevate, rovesciate e ributtate in acqua. La terra trema e uno tsunami di 18 metri di altezza entra in città inghiottendo tre isolati abbattendo le strutture rimaste precariamente in piedi dopo il passaggio dell’onda d’urto. 1.500 edifici sono ridotti in briciole. I frammenti della Mont-Blanc piovono per chilometri: uno dei cannoni a 5,5 chilometri di distanza, un pezzo di ancora da 520 chilogrammi si infila nel terreno a 3.800 metri. Rivetti, viti, bulloni e pezzi di acciaio rovente piovono sul porto e sui quartieri immediatamente vicini. Il calore e la pressione spingono una palla di fuoco di gas caldi e detriti, fuliggine e schegge in alto nel cielo per 4.000 metri. Mentre i gas si raffreddano una nube cade sul porto come una doccia tossica che trasforma il giorno in notte. Quando la nube a fungo inizia a diradarsi, lentamente i sopravvissuti possono comprendere la reale drammaticità di ciò che è appena accaduto. L’area portuale di Halifax non esiste più, la zona intorno invece è devastata. Macerie e pezzi di corpi umani ricoprono il terreno, le strutture sono crollate o in fiamme, decine di navi sono danneggiate, affondate o su un lato. I membri dell’intero corpo dei Vigili del Fuoco sono stati sciolti, inghiottiti da un muro di metallo fuso e vapore. La maggior parte dei quartieri a nord di Halifax è stata spazzata via, solo le strutture di calcestruzzo armato hanno ancora una forma. Per 16 chilometri gli edifici sono parzialmente demoliti o resi inagibili, con pareti divelte, finestre esplose e danni da incendi divampati da stufe scoppiate o rovesciate. Il boato è stato avvertito a 360 chilometri. In 25.000 resteranno senza una casa. La città è nel caos ma essendo in guerra la popolazione era stata preventivamente addestrata a reagire in caso di un attacco tedesco. Le forniture del gas vengono bloccate per evitare ulteriori esplosioni, il personale delle marine inglesi, canadesi e americane inviano i loro chirurghi di bordo nelle scuole diventate in poche ore ospedali da campo improvvisati. Con le stazioni telegrafiche distrutte alcuni ingegneri ferroviari sono corsi alle successive per chiedere ulteriori soccorsi che, fortunatamente sono già in marcia. Ogni quartiere, ogni via, ogni abitazione, cantina e garage vengono passate al setaccio alla ricerca dei feriti: saranno 9.284. La devastazione è massima, un evento che resterà nella storia come uno dei più catastrofici, ma in mezzo a tanta distruzione ci sono tante storie di coraggio e abnegazione, nonché tanti uomini e donne che mantengono il sangue freddo applicando le procedure e salvando migliaia di vite, tanti eroi che quasi nessuno ricorderà. Tra loro ce n’è uno, il suo nome è Vincent Coleman, un 45enne telegrafista delle ferrovie canadesi che quella mattina si trova a lavoro nella stazione telegrafica della stazione ferroviaria. Sta assistendo alla scena, il fuoco è sempre più vicino. Sa cosa trasporta la Mont-Blanc, sa cosa sta per accadere, potrebbe scappare, mettersi al sicuro, salvarsi, ma non lo fa. Rientra nel suo ufficio distante solo qualche centinaio di metri dalla nave in fiamme per mandare un ultimo telegramma: “Hold up the train. Munitions ship on fire and making for Pier 6... Goodbye boys”.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente blog, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione.

Gli articoli pubblicati su questo blog sono il prodotto intellettuale dell'autore, frutto dello studio di perizie, testimonianze e rilievi video-fotografici reperiti dallo stesso in sede privata. L'intento di chi scrive è la divulgazione di eventi di interesse pubblico accompagnati da un'analisi tecnica degli stessi rinnegando qualsiasi giudizio personale, politico, religioso.