TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: autobomba
DATA: 30 giugno 1963
STATO: Italia
LUOGO: Palermo, Borgata Ciaculli
MORTI: 7
FERITI: 2
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
Siamo nel pieno degli anni ’60, la Prima Guerra di Mafia sta infuriando
in Sicilia, una truffa su di una partita di eroina ha dato inizio ad una
carneficina che sta dividendo e decimando le cosche dell’organizzazione
criminale Cosa Nostra. Associazione criminale di tipo mafioso Cosa Nostra è
nata in Sicilia nel 19° secolo e si è sviluppata esponenzialmente dopo la fine
della Seconda guerra mondiale. Strutturata gerarchicamente, nota in tutto il
mondo per gli attentati, gli omicidi esemplari e la violenza diretta contro lo
Stato italiano con l’eliminazione di uomini politici, poliziotti e magistrati,
mantiene il controllo su numerose attività economiche e politiche regionali ed
extraregionali per mezzo di reti di fiancheggiatori e dell’inserimento di
propri capitali nel settore dei pubblici appalti, della sanità e del turismo,
penetrando perfino nei settori della grande distribuzione alimentare, dei
mercati ortofrutticoli, nelle attività edili e in quelle di tipo
economico-finanziario. L’Organizzazione è divisa in “Famiglie”, ciascuna con un
capo, il “rappresentante”, eletto da tutti gli “uomini d’onore” e assistito da
un vice-capo e uno o più consiglieri. Tre Famiglie, ognuna organizzata in
"'decine" composte da dieci uomini d'onore, i "soldati",
coordinati da un "capodecina", costituiscono un
"mandamento", la zona di influenza, gestito dal “capo mandamento”
anch'esso eletto e che fa parte della "Commissione Provinciale", il
massimo organismo dirigente di Cosa Nostra nella provincia, organismo che
prende le decisioni più importanti, risolve i contrasti tra le famiglie,
espelle gli uomini inaffidabili, controlla tutti gli omicidi, inferiore in
quanto a potere soltanto a quella "Regionale". Corruzione e
riciclaggio sono il volano che ha permesso a Cosa Nostra di radicarsi, anno
dopo anno, sempre di più nel territorio accrescendo il proprio potere in
maniera spropositata. Michele Cavataio, capo della Cosca dell'Acquasanta
si è reso responsabile dell'uccisione di Calcedonio Di Pisa, capo
della Cosca della Noce, sapendo che l'assassinio sarebbe stato
attribuito al boss Angelo La Barbera e che il risultato sarebbe
stato un conflitto tra questi e Salvatore Greco, capo
della Cosca di Ciaculli. Cavataio, alleato
ai boss Pietro Torretta e Antonino Matranga per incrementare la sua
potenza di fuoco, sta approfittando della situazione di conflitto per sbarazzarsi
dei suoi avversari. I capi mafia si inviano messaggi al piombo e al tritolo, i
boss muoiono come mosche e con loro i “civili”, gli innocenti, troppo spesso
nel posto sbagliato nel momento sbagliato. È il pomeriggio del 30 giugno 1963,
Palermo è ancora scossa dalla notte. Nella vicina Villabate, Giuseppe Tesauro,
dal panificio in cui lavorava e mentre aspettava che il forno raggiungesse la
giusta temperatura, a circa 50 metri nei pressi di Corso Vittorio Emanuele,
aveva visto del fumo fuoriuscire da un’automobile parcheggiata davanti ad un
garage chiamato “Gatto verde”. Tesauro aveva quindi avvertito Pietro
Cannizzaro, il custode del garage, avvisandolo della situazione. I due si erano
avvicinati all’automobile per cercare di spegnere il fuoco, ma quando
Cannizzaro aveva provato ad aprire l’automobile questa era saltata in aria
uccidendoli e facendo crollare il primo piano dello stabile. L’autobomba era
stata appositamente abbandonata davanti all’autorimessa del boss mafioso
Giovanni Di Peri al fine di colpirlo tramite il metodo, quello
dell’utilizzo di autobombe appunto, che sta contrassegnando la feroce faida
palermitana tra il clan Greco e quello dei fratelli La Barbera. I militari
dell’Arma dei Carabinieri si sono dovuti attrezzare per operare in urgenza in
questo territorio ormai di guerriglia urbana così, quando nel tardo pomeriggio
viene segnalata da una telefonata anonima un’altra auto sospetta lasciata
abbandonata con una gomma a terra e le portiere aperte all'interno del fondo
Sirena, nella borgata di Ciaculli, una frazione rurale alle porte di Palermo,
nessuno si sogna nemmeno di avvicinarsi prima dell’intervento dei Carabinieri.
Sul posto giungono due agenti di una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri,
unitamente ad un sottufficiale di Polizia in forza alla Squadra Mobile della
Questura di Palermo. E l’auto è lì, esattamente dove aveva detto la voce al
telefono, è l’ennesima Alfa Romeo Giulietta, l’ennesima con la targa
contraffatta. Al suo interno, sul sedile posteriore, c’è una piccola bombola di
gas liquido con una miccia parzialmente combusta. Gli agenti la guardano con
attenzione, la miccia in quello stato può significare solo due cose, o che si è
spenta prima di arrivare all’innesco dell’involucro per un difetto, o per una
sua errata accensione poiché, essendo del tipo “a lenta combustione”, quindi
con anima di polvere nera, evoluzione del cordone di canapa catramata
brevettato il 6 settembre 1836 da William Bickford, basta poco che si deteriori
e diventi inservibile o addirittura pericolosa. L’azione criminale potrebbe
avere una relazione con l’attentato dinamitardo della notte, pertanto gli
agenti dispongono il piantonamento del mezzo e chiedono immediatamente
l’intervento degli specialisti dell'Esercito. In meno di un’ora la squadra del
Genio arriva sul posto. Gli specialisti scendono dal mezzo, si avvicinano alla
Giulietta, le girano attorno, valutano il rischio e decidono di tagliare la
miccia tra la parte in cui si è interrotta la combustione e l’imboccatura della
bombola, il condotto in cui la miccia si incanala fin dentro l’involucro
metallico. Miccia tagliata, cessato allarme, gli operatori tirano un sospiro di
sollievo. Subito liberano la bombola da suo supporto, ne verificano il
contenuto facendo però una scoperta che li lascia basiti: è vuota, nessun
esplosivo, nessuna sostanza infiammabile, nulla di nulla, la miccia non arriva
a niente. “È solo un atto intimidatorio, per oggi non si muore” è la frase che
uno dei carabinieri sussurra al collega, mentre gli specialisti dell’Esercito
fanno rotolare l’involucro lungo la mulattiera sconnessa. Oramai le auto con
dentro una bomba o un cadavere sono all’ordine del giorno, ma resta il fatto
che la bombola vuota non tranquillizza la squadra che, per vederci più chiaro,
decide di controllare con più attenzione il veicolo alla ricerca di qualche
indizio o traccia dei misteriosi “preparatori” dello strano ordigno e di una
spiegazione alla singolare scoperta. È il tenente Mario Malausa, comandante
della stazione di Campofelice di Roccella, che dà l’ordine di aprire il vano
portabagagli dell'auto. Sono le ore 18:45, uno degli artificieri si avvicina al
lato posteriore della Giulietta per far scattare il gancio di apertura del
cofano. Spinge con forza la leva. Chi è rimasto davanti al cancello che immette
nel fondo di villa Serena viene assordato dal boato dell’esplosione. Per un
errore di valutazione, aprendo il bagagliaio, il tecnico aveva sganciato una
molla collegata al sistema di apertura del cofano e messa in tensione. Questa
aveva azionato un meccanismo che aveva liberato un accenditore a strappo e
innescato un detonatore a fuoco, la versione moderna dell’antico tubetto di
stagno inventato da Alfred Nobel nel 1867 riempito con Fulminato di Mercurio,
esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel
XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard.
Il meccanismo a strappo, con una frizione per trazione, aveva acceso l’Azoturo
di Piombo al suo interno. Il preparato vincente della Curtis's and Harvey Ltd
Explosives Factory del 1890 aveva innescato la secondaria di Pentrite, un
esplosivo potentissimo preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico
tedesco Bernhard Tollens. Questa reazione a catena del detonatore durata una
frazione di secondo, aveva scatenato la vera bomba dentro il vano portabagagli:
40 chilogrammi di esplosivo gelatinato per uso estrattivo, una Dinamite a base
attiva, fortemente esplosiva, brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred
Nobel nel 1867 e composta dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e
medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, prodotto
scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, e
miscelata con Nitrocellulosa ad alto contenuto di azoto. La Giulietta è
completamente distrutta, il cofano del portabagagli era diventato una lama
volante di ghigliottina andatasi a conficcare per metà nel terreno una trentina
di metri più avanti, alla velocità del suono. La telefonata, la Giulietta,
erano una trappola, la bombola del gas un’esca. Sui resti dell’auto si alza un
fungo nerastro pieno di metallo e brandelli umani che ricadono a terra e sugli
alberi del vicino agrumeto. Del tenente Mario Malausa, del maresciallo maggiore
di Pubblica Sicurezza Silvio Corrao, del maresciallo maggiore d’Artiglieria
Pasquale Nuccio, del maresciallo capo dei Carabinieri Calogero Vaccaro, del
carabiniere Eugenio Altomare e del fante Giorgio Ciacci non restano che pochi
resti carbonizzati, travolti da un’onda d’urto di 4.000 gradi centigradi. Il
carabiniere Marino Fardelli è a terra, si muove appena, è gravemente ferito,
morirà durante il trasporto in ospedale. L’onda d’urto aveva raggiunto anche il
brigadiere Giuseppe Muzzupappa e il carabiniere Salvatore Gatto, scaraventati
in aria e investiti da una pioggia di schegge. Riusciranno miracolosamente a
sopravvivere. Soltanto tre cadaveri, seppure orribilmente maciullati, sono
ancora in qualche misura riconoscibili. Degli altri quattro non restano che
tracce minute, pezzi di braccia, di gambe, di tronconi, sparsi per un raggio di
duecento metri tra gli aranceti e la sterpaglia, testimonianza orribile della
furia criminale di un’organizzazione che ancora per “i più” non esiste.
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