01 dicembre, 2019

Courrieres, Miniera di carbone, 10 marzo 1906


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
10 marzo 1906
STATO:
Francia
LUOGO:
Courrieres, Miniera di carbone
MORTI: 1.115
FERITI:
594

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 10 marzo 1906, è un sabato, ci troviamo nella Francia di quel periodo che negli anni a venire sarà chiamato La Belle Epoque, un momento storico caratterizzato dal dominio dell'Europa e dall'assoluta ed eccessiva fiducia nel progresso tecnico. Da un punto di vista politico la situazione è eccezionale: Armand Fallières è stato eletto Presidente della Repubblica in sostituzione di Émile Loubet e la nazione è ancora traumatizzata dalla legge sulla separazione tra Chiesa e Stato. Il pallido Ferdinand Sarrien, nuovo Primo Ministro, a giorni formerà il suo Governo con Louis Barthou ai Lavori Pubblici e Clemenceau all'Interno. La stampa è potentissima, il Petit Parisien stampa più di 2 milioni di copie seguito da Le Temps e Le Petit Journal. Con 39 milioni di abitanti, di cui 20 milioni attivi e 5,7 milioni solo nell'industria, nella Francia di questo inizio 1906 appena uscita da due mesi di intensa campagna elettorale il clima sociale è particolarmente cattivo e gli scioperi numerosi. Nelle miniere, i lavoratori sono relativamente privilegiati perché meglio sindacalizzati: 8 ore lavorative, salari settimanali, alloggi forniti, fondi di soccorso, cooperative. Nonostante ciò il lavoro è duro, pericoloso e il tasso di mortalità altissimo. Frane, cedimenti, incendi, decimano gli operai, bambini e adulti, che giornalmente si addentrano nelle viscere della terra per estrarre il principale combustibile fossile: il carbone. A Courrières lo sfruttamento del sottosuolo è tecnicamente innovativo. L'azienda, che estrae dal giacimento di carbone del bacino minerario di Nord-Pas-de-Calais nel Pas-de-Calais, a 220 chilometri a nord di Parigi, è stata premiata più volte durante le grandi fiere nazionali e universali per la qualità delle sue attrezzature, innovazione delle linee, ventilatori, caldaie, sistema di approvvigionamento elettrico della parte inferiore, pompe, argani, macchine perforatrici, e per la sicurezza del suo personale, quest’ultimo almeno sulla carta, poiché anche se un decreto dell'8 febbraio dell’anno scorso ha reso obbligatorio l’utilizzo delle lampade di sicurezza, non viene quasi mai applicato. È stato il primo pozzo, quello scavato nel 1849 ad aver dato il nome alla Compagnia. Ora coi dodici pozzi attivi, 7.500 tonnellate giornaliere di materiale estratto e 2.737.500 tonnellate annue, il 7% della produzione nazionale di carbone, è diventata la terza compagnia nel Nord-Pas-de-Calais. Producendo il combustibile per le centrali elettriche, l'azienda, con alle dipendenze 9.258 lavoratori di cui 7.594 impiegati in sotterraneo, ottiene enormi profitti, 7,4 milioni di Franchi in sette anni, risorse finanziarie che permettono all’azienda di destinare una grossa fetta degli utili allo scavo di nuovi pozzi ottimizzando la produzione nei vecchi modernizzando le strutture già esistenti. La miniera è insolitamente complessa per il suo tempo: i diversi pozzi sono collegati tra loro da gallerie sotterranee su più livelli. Queste, raccordate a loro volta per questioni logistiche, ovvero facilitare il trasporto del materiale in superficie, e per motivi di sicurezza, ovvero facilitare l’accesso dei soccorsi in caso di incidente, formano una insidiosa e intricata rete viaria nel sottosuolo. Il Pozzo numero 3 serve per l'estrazione, per l'ingresso dell'aria, e a mezzo di uno scompartimento isolato con diaframma in legno, anche per il riflusso, con un ventilatore Guibal di 7 metri di diametro montato alla bocca che aspira 7 metri cubi d'aria al secondo. L'aria in entrata si divide in due circuiti principali: uno in direzione Nord, che dopo aver ventilato i cantieri nei livelli Giulia a -280 metri di profondità, Santa Barbara a -303 metri, e Giuseppina a -326 metri, fuoriesce dal Pozzo numero 2; l'altro circuito in direzione Sud, che passando per i livelli Giuseppina e Santa Barbara a -299 metri, fuoriesce dal Pozzo numero 4. Due derivazioni secondarie destinate a ventilare dei tratti raddrizzati dei livelli Santa Barbara e Giuseppina, ritornano, passando per la galleria a -280 metri, allo scompartimento di ventilazione del Pozzo numero 3. Il Pozzo numero 11 serve invece per l’estrazione e l'ingresso di altra aria che, formando 4 circuiti di ventilazione ai livelli -331 metri e -383 metri, ritorna in uscita al Pozzo numero 4. A quest'ultimo fa anche capo un riflusso d'aria proveniente dal Pozzo numero 5 passando per il livello a -260 metri. Al Pozzo numero 2 arriva invece l’aria dei circuiti provenienti dal Pozzo numero 3 assieme alle correnti di ventilazione alimentate dal Pozzo numero 10 e passanti per i livelli a -307 e a -354 metri. In questa mattina del 10 marzo 1.664 minatori sono a lavoro alle quote -330 e -340 metri, come ogni giorno. Iniziato appena prima dell’alba questo è il turno più numeroso. Gli operai sono ancora provati dall’incidente di quattro giorni fa dove un incendio scoppiato a causa del rovesciamento di alcune lampade a fiamma libera nel punto in cui gli armatori stavano lavorando ha incenerito le cataste delle vecchie armature in legno nel Pozzo numero 3, a Cècile, sul Lavaleresse a Méricourt, fra i livelli a -326 metri e -280 metri. Anche se si è provveduto subito con sbarramenti costituiti da terra, ferro e ciottoli, a chiudere l'entrata d'aria a questi cantieri, aria proveniente dal Pozzo numero 3, al livello -326 metri, domare le fiamme non è stato semplice. Creare sbarramenti anche nella galleria di riflusso d'aria al livello -280 ha fatto sì che si riuscisse finalmente a circoscrivere l’incendio solo qualche ora fa. I minatori sono stremati ma sono abituati a questi episodi, gli incendi sono abbastanza frequenti a queste profondità e ciò non ha destato grosse preoccupazioni né agli operai, né agli ingegneri, né ai dirigenti. La miniera non è considerata a rischio grisù, il terribile metano infiammabile ed esplosivo se messo a contatto con l’aria, le lampade a fiamma libera sono utilizzate come principale fonte di luce salvo che negli avanzamenti verso zone non ancora ispezionate in cui vengono adoperate in via precauzionale quelle di sicurezza a benzina. Per quanto riguarda l’esplosivo, per demolire la roccia viene utilizzata la Polvere Favier, un prodotto belga apparso nel 1887 e composto da una percentuale di 12% di Nitronaftalina, un preparato esplosivo del 1835, e una dell’88% di Nitrato d'Ammonio,fertilizzante preparato per la prima volta dal chimico e farmacista tedesco nel 1659 battezzandolo “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma, e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. L’utilizzo del Favier è molto pericoloso, soprattutto nell’estrazione del carbone, e dato il suo non facile maneggio pochi specialisti sono in grado di utilizzarlo. La Grisoutine invece, l’”esplosivo di sicurezza”, così chiamato perché estremamente veloce al fine di rendere minimo il tempo di esplosione e che lavora con una temperatura di fiamma al di sotto dei 1.500 gradi centigradi, è utilizzata solamente nelle zone non ancora preventivamente ispezionate. È un ottimo prodotto ma è molto costoso, forse troppo per farne un uso giornaliero ma si sa, la vita in miniera vale poco. C’è da dire che l’uso di questo esplosivo, costituito da 10% in peso della Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, scoperta dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, da 0.25% in peso di Cotone Collodio, composto dalla Nitrocellulosa con alta percentuale di azoto, e da 89.75% in peso di Nitrato d'Ammonio, avrebbe permesso di rientrare a casa dalle loro mogli a molti dei lavoratori della miniera. Sul fronte di scavo di una delle gallerie del Pozzo numero 2, al livello Giuseppina, 4 operai si trovano impegnati nella routine lavorativa: perforazione, caricamento dell’esplosivo, innescamento, brillamento e raccolta del marino, il risultato della frantumazione della roccia, che verrà poi trasportato all’esterno in superficie con vagoncini trainati da cavalli. 2 lavorano ai trapani ad aria compressa, un terzo carica in foro le prime cartucce cilindriche di Favier spingendole fino in fondo con un calcatoio in legno, un quarto, poco più indietro, prepara le smorze armate, le cartucce con annegato all’interno il sensibilissimo detonatore a fuoco, anch’esso brevetto di Nobel del 1867. Il cilindretto di stagno riempito col Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, verrà innescato da una miccia del tipo “a lenta combustione”. Il cordone di canapa catramata brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford consentirà alla fiamma un percorso di un metro ogni 120 secondi di tempo grazie alla sua anima di Polvere Nera, un esplosivo formato da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone che nel 1249 aveva modificato quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044. Le operazioni, svolte in silenzio, sono continue e meccaniche. Mentre le perforatrici battono sulla roccia viva sollevando una nuvola di polvere soffocante, l’operaio addetto al caricamento ha finito di caricare le mine “centrali”, quelle che provocheranno sulla parete uno spazio centrale libero per consentire a quelle successive di trovare un volume dove far cadere la roccia abbattuta. Sta per dedicarsi alle mine “di scarico”, che col loro lavoro abbatteranno gran parte della roccia. Dietro di lui, a terra, lo aspettano le ultime, quelle “di contorno”, che porteranno con la loro esplosione la sezione della galleria al profilo voluto. È un compito delicato, tutto deve essere fatto con precisione chirurgica. La progettazione della volata per l'avanzamento della galleria, presentando problemi diversi e più complessi rispetto all'abbattimento di un gradino a cielo aperto, ha bisogno di concentrazione continua da parte degli esplosivisti e pertanto ogni membro della squadra cerca di non perdere la lucidità neanche per un momento. Sulla parete, davanti al foto l’uomo si sta accingendo a pressare con la mano destra l’ultima cartuccia della fila, quella armata col detonatore, all’interno della mina profonda un metro e mezzo e con dentro un peso complessivo di 450 grammi di esplosivo. Nella mano sinistra ha invece il borraggio, il tappo di argilla incartocciato, un metodo introdotto nel 1687 dall’esplosivista Carl Zumbe nelle miniere di Clausthal, nella Bassa Sassonia, in Germania, che chiuderà la mina in modo da permettere all’esplosivo di sfogare la sua forza completamente e senza dispersioni di energia sulla roccia circostante. È in ritardo e deve chiudere anche le altre. La fretta di voler concludere, la stanchezza o forze l’eccessiva sicurezza, nel momento in cui spinge col calcatoio la cartuccia di Polvere Favier all’interno del foro per farla aderire alle altre, picchia troppa forza sul candelotto urtando la testa sporgente detonatore. La distrazione è fatale, il Fulminato di Mercurio nel cilindretto di stagno reagisce violentemente allo shock meccanico accendendo tutte le cartucce nel foro. La mina esplode innescando tutte le vicine non ancora intasate provocando un effetto cannone multiplo che si riversa sugli operai e sulle casse di esplosivo a terra. I tre operai sul fronte di scavo vengono investiti in pieno e fatti a pezzi senza nemmeno accorgersene. Il quarto, chino sul tavolo una manciata di metri più indietro, viene diviso in due e scaraventato per 19 metri. Le casse di esplosivo a terra, investite dalla prima onda d’urto detonano tutte assieme, la galleria trema, il tunnel viene devastato e dalle pareti dei cunicoli scossi si solleva una fitta nuvola di polvere di carbone che prende fuoco. L’aria si incendia, la rapida combustione in questo spazio confinato in cui la reazione chimica non ha il tempo di liberare tutta l'energia prodotta sotto forma di calore, ne produce una parte consistente sotto forma di energia di pressione generando a sua volta lo spostamento dell'aria circostante ad una velocità elevatissima. Sono le ore 06:45, i cunicoli esplodono, al Pozzo numero 3, appena sotto la superficie, mentre 125 uomini vengono ragguagliati sulle condizioni dell’incendio di quattro giorni fa, il pavimento sotto di loro si squarcia con uno sbuffo di terra che fa volare i caschi. Una forte spinta dal basso in progressivo aumento proveniente dal vano ascensori fa voltare tutti di colpo. 6 secondi dopo, una delle gabbie viene sparata in alto seguita da un tremendo boato. La struttura metallica, scardinata dalle guide e piegata su un lato è avvolta da una coltre di fumo rovente nero e denso. Le braccia bruciate e dilaniate degli operai morti schiacciati all’interno pendono dalle lamiere accartocciate del montacarichi. Tutto diventa buio. Nei 7 secondi successivi: la testa del pozzo si apre come un fiore, la gabbia ascendente si fracassa contro la parete e quella discendente si blocca in basso, il flusso di ventilazione si interrompe mentre il Pozzo numero 3 si chiude da quota -50 metri a causa delle guide, delle traverse, dei palchetti e dei rottami del tramezzo che crollano su loro stessi; il Pozzo numero 2, l’Auguste-Lavaurs a Billy-Montigny, è squassato da un muro di polvere seguito da una cannonata; al Pozzo numero 11 la gabbia viene lanciata fino alle molette e bloccata dai tacchetti di sicurezza, i minatori presenti all’interno sono arrostiti vivi. L’onda barica, che viaggia ad una velocità di oltre 1.000 chilometri orari, dopo aver abbattuto gli sbarramenti sul Lavaleresse a Méricourt percorre i 110 chilometri di gallerie del bacino carbonifero fra i paesi di Méricourt,  Sallaumines, Billy-Montigny e Nouvelles sous Lens in meno di due minuti, sfogando dal Pozzo numero 4 del Santa Barbara a Sallaumines e falciando 4 operai a lavoro per delle riparazioni nei pressi della bocca, straziando i corpi e proiettandoli per 12 metri assieme ai cavalli e ai rimorchi. Raggiunta la superficie, l’onda d’urto strappa i tetti dai sostegni delle strutture, apre il terreno, scardina le porte di ventilazione, trascina le benne, piega le armature e appiattisce le paratie in legno rendendo i pozzi inutilizzabili. È l’apocalisse. Se l’esterno è un disastro, l’interno è pure peggio. L’accesso è possibile soltanto dalle estremità del campo operativo poiché i sostegni metallici sono piegati in avanti bloccando le gallerie. La mostruosa esplosione, formata da una catena di esplosioni ravvicinate, ha corso per le gallerie comunicanti generando ad ogni deflagrazione un’onda barica che ha sollevato in sospensione altre polveri di carbone innescate a loro volta al contatto col fronte di fuoco. La forza spaventosa di questa tempesta di fuoco ha consumato in un attimo tutto l’ossigeno, soffocando, schiacciando e incenerendo 1.099 operai e 97 cavalli. La rete di gallerie, studiata appositamente per motivi logistici e di sicurezza, ha favorito l’estendersi dell’evento trasformando la miniera in una fornace. Le strutture sono distrutte, i sostegni danneggiati, le pareti sono pericolanti e a terra non restano che corpi senza vita, alcuni smembrati, altri orribilmente mutilati e irriconoscibili. Sotto pezzi di legnami ancora in fiamme gli attrezzi ancora impugnati da mani, ma senza traccia dei corpi. Nei borghi vicini il fragore delle esplosioni ha spalancato le finestre di tutte le abitazioni e il fumo nero, che ha invaso in una manciata di minuti l’intera aerea, sta attirando sul posto la popolazione locale. Le mogli degli operai si riversano in strada, in migliaia affollano le vie dei quartieri. I cancelli della miniera sono sbarrati e presidiati per contenere la folla. In poche ore verrà mobilitata la macchina dei soccorsi. Minatori belgi, pompieri da Parigi e soccorritori tedeschi dotati di autorespiratore verranno portati sul posto. 16 di loro moriranno nelle ricerche. Ambulanze, carri carichi di bombole di ossigeno, attrezzi da lavoro, medicine, materassi, pacchetti di ovatta, verranno portati alle imboccature dei pozzi e i cameroni degli edifici in superficie si trasformeranno in infermeria e in camera mortuaria. Il bilancio definitivo sarà di 429 morti al Pozzo numero 3, 507 al Pozzo numero 4 e 163 morti al Pozzo numero 2. Nelle ore successive, ustionati, intossicati e feriti, in 594 riusciranno a raggiungere la superficie. Gli ultimi 13, che verranno poi soprannominati “I Rescapés”, resteranno intrappolati per 20 giorni riuscendo a sopravvivere mangiando i cavalli morti.

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01 novembre, 2019

Messines, Alture delle Fiandre Occidentali, 7 giugno 1917


TIPOLOGIA: azione offensiva
CAUSE: mine sotterranee
DATA:
7 giugno 1917
STATO:
Belgio
LUOGO:
Messines, Alture delle Fiandre Occidentali
MORTI:
10.528
FERITI: 2.263

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È la notte del 6 giugno 1917, i soldati dell’esercito inglese si trovano nelle trincee del territorio belga di Messines, nelle fiandre occidentali. Tengono la testa bassa, tutti, perché in questo posto se la alzi sei morto in meno di 4 secondi, il tempo che dall’altra parte il tuo elmetto finisca nel mirino di una mitragliatrice o nell’ottica del fucile di un cecchino. Sono coperti di fango, stanchi, affamati, aspettano l’ordine, tra poche ore attaccheranno. Piove a dirotto, a poche decine di metri gli ufficiali controllano l’orologio, prima uno sguardo al quadrante, poi sugli strumenti, e di nuovo al quadrante, in un ciclo spasmodico infinito. La mano invece è sulla leva, gli esploditori sono controllati a vista, così come le centinaia di metri di cavi che si diramano sotto i loro piedi, sotto terra, in cunicoli cigolanti e pieni d’acqua. Il piano deve funzionare, ci hanno lavorato per mesi senza sosta e probabilmente questo metterà fine alla guerra, o almeno lo sperano tutti. Uno dei grossi problemi che si erano trovati ad affrontare durante la Prima Guerra Mondiale è il fatto che i tedeschi avessero occupato da subito il Belgio. Questo aveva messo a disposizione della Germania importantissimi porti da cui far partire incursioni navali verso i mercantili inglesi e tenere sotto scacco la Manica. Dopo aver accarezzato l’idea di uno sbarco nelle Fiandre, regioni bagnate dal Mare del Nord confinanti da una parte con l’Olanda e dall’altra con la Francia, con la collaborazione dell’Ammiraglio Reginald Bacon della Marina britannica e il Colonnello Aymler Hunter-Weston per la presa del comune belga di Middelkerke e successiva conquista delle postazioni tedesche costiere sino a raggiungere le zone più interne, il Generale britannico Herbert Charles Onslow Plumer aveva raccomandato al feldmaresciallo Sir Douglas Haig la cattura di Messines Ridge e parte dell'arco meridionale di Ypres Salient prima di procedere con l’occupazione dell'altopiano di Gheluvelt, più a nord. Questo La cattura di avrebbe garantito il controllo di quel terreno tatticamente importante sul fianco sud di Ypres Salient, accorciando il fronte e privando i tedeschi dei punti di osservazione sulle postazioni britanniche. Gli inglesi invece avrebbero guadagnato quelli del versante meridionale di Menin Ridge all'estremità ovest dell'altopiano di Gheluvelt, pronti per un’offensiva più ampia nel saliente di Ypres. L’attacco, pianificato per il 1916, era stato ritardato a causa delle disfatte di Verdun e della Somme, la prima una spaventosa battaglia che aveva coinvolto quasi i tre quarti delle armate francesi e che fino ad ora detiene il primato di campo di battaglia con la maggior densità di morti per metro quadro, la seconda una imponente serie di offensive lanciate dagli anglo-francesi sul fronte occidentale nel tentativo di sfondare le linee tedesche nel settore tagliato in due dal fiume Somme con un massiccio attacco di fanteria che avrebbe dovuto creare le condizioni favorevoli per una rapida avanzata della cavalleria. Mentre Verdun aveva costituito un punto di svolta cruciale della guerra in quanto aveva segnato il momento in cui il peso principale delle operazioni nel fronte occidentale era passato dalla Francia all’Impero Britannico sia facendo svanire le ancora concrete possibilità della Germania di vincere la guerra, sia influenzando in parte l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America, l’attacco sulla Somme voluto fortemente dalla Francia per alleggerire l'enorme e insostenibile pressione tedesca a Verdun aveva dimostrando soltanto caparbietà e impreparazione tattica e strategica con cui lo Stato Maggiore britannico aveva affrontato la prima grande offensiva delle forze alleate. Ma nel 1917, dopo che anche i massicci attacchi francesi lungo la strada Chemin des Dames, nel dipartimento francese dell’Aisne, atti ad assicurarsi un'ampia zona di circa 80 chilometri di trincee usate dai tedeschi per ripararsi dall'artiglieria nemica era arrivata ad un punto di arresto dopo che mitragliatrici e mortai tedeschi avevano aperto il fuoco vanificando gli assalti e terminando in un disastro, era stato dato ordine di riprendere l’offensiva nelle Fiandre e di conquistare l’altura di Messines. Mentre gli inglesi avevano preso il controllo della città i tedeschi avevano occupato il terreno della cresta di Messines-Wytschaete a sud, le creste più basse ad est e il terreno pianeggiante a nord, e il fatto che conoscessero molto bene l’importanza strategica dell’area aveva fatto sì che venisse rinforzata da subito con linee di trincee, sbarramenti di artiglieria, postazioni di mitragliatrici e tutto ciò che avevano reputato essere utile in una guerra di trincea che ormai va avanti da quasi tre anni. Poiché gli inglesi, sapendo bene che attaccare frontalmente il saliente di Wytschaete, prima linea difensiva tedesca e punto centrale dello schieramento, sarebbe stato un massacro, avevano messo a punto un piano di sfondamento: scavare una serie di tunnel sotto il saliente tedesco, ricavarne delle enormi camere, riempirle di esplosivo e farle saltare in modo da distruggere le linee fortificate in superficie. Avevano voluto utilizzare una tecnica d’assedio sperimentata nel Basso Medioevo per abbattere le mura perimetrali dei castelli, la stessa ripresa e perfezionata dal Tenente Colonnello Henry Pleasants, comandante del 48° Reggimento di Fanteria della Pennsylvania, il 30 luglio del 1894. Nella città di Petersburg, in Virginia, un luogo sotto assedio che vedeva schierata da una parte l’Armata Confederata della Virginia Settentrionale guidata dal Generale Robert Edward Lee, e dall'altra l’Armata della Virginia Nord-Orientale guidata dal Maggior Generale George Gordon Meade, creando a tutti gli effetti un’evoluzione delle mine utilizzate nel 1300, delle cariche esplosive erano state posizionate direttamente sotto il forte del Saliente di Elliott, esattamente sotto la prima linea, e fatte poi saltare in aria distruggendo le linee fortificate in superficie. A Messines, sebbene l’uso delle mine sotto le trincee avversarie fosse una strategia conosciuta e ampiamente applicata durante la guerra, ci sarebbero stati comunque due enormi problemi per la realizzazione del piano. Il primo problema: il terreno. Argilla, sabbia, limo e acqua, avrebbero reso difficile qualsiasi metodo di scavo, poiché, dalla prima battaglia di Ypres nel 1914, gran parte del drenaggio della zona era stato distrutto dal fuoco dell'artiglieria. Le condizioni sotto la superficie sarebbero state particolarmente complesse poiché le falde acquifere separate avrebbero reso difficile l'estrazione del materiale. Per questi motivi i Royal Engineers si erano fatti mandare dall’Inghilterra due geologi, Edgeworth David e il suo assistente, in modo da capire come poter affrontare uno scavo del genere in quel tipo di terreno. I geologi lo avevano analizzato individuando uno strato di argilla idoneo allo scavo ma troppo in profondità per un lavoro veloce. Coordinati dai Royal Engineers, le compagnie di Tunneling 171a, 175a e 250a britanniche, 1a e 3a canadesi e 1a australiana, avevano iniziato a scavare le prime gallerie nella prima metà del 1916. I tempi di realizzazione erano stati molto lunghi e durati oltre un anno, lavorando a profondità comprese tra 24 e 37 metri, ricavando passaggi, stanze, condotti e, calcolando il punto migliore dove allestire le camere di scoppio erano avanzati per oltre 5 chilometri sotto le linee tedesche. Il secondo enorme problema: i tedeschi si aspettavano una strategia di questo tipo. Per evitare che i loro tunnel venissero intercettati, gli inglesi avevano creato una seconda rete di tunnel più vicini alla superficie in modo da attirare su quelli l’attenzione dei genieri avversari e distoglierla invece dai tunnel reali, studiando perfino il comportamento delle onde sonore che si propagavano nelle sabbie mobili, nel gesso e nell'argilla. Le condizioni di lavoro erano state dure, le gallerie erano fredde, anguste e troppo spesso allagate. Le pompe elettriche avevano lavorato a ritmo continuo portando l'aria verso il basso e l'acqua verso l’altro, fuori dalla mina, mentre a lume di candela, sul fronte di scavo, avevano operato su turni di scavo squadre di tre persone: lo scavatore, sdraiato, aveva picchettato la terra davanti a lui; il riempitore, in ginocchio, aveva chiuso i sacchi con la terra di risulta; il trasportatore, immediatamente dietro, aveva rimosso il carico e, attraverso un carrello su rotaia, spinto i detriti fino alla superficie e ritornato sul fronte di scavo col legname per armare le centine di sostegno. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, le squadre avevano scavato e consolidato le pareti dei tunnel, ininterrottamente, in un surreale silenzio, stando attente ad ogni minimo rumore proveniente dalle pareti: voci, sibili, raschiature, erano tutti campanelli d’allarme che segnalavano la presenza di squadre nemiche nelle vicinanze. Alla fine di ogni galleria, avevano realizzato le camere di scoppio, ampi cameroni rinforzati sulle pareti in cui i genieri inglesi avevano trasportato gli enormi carichi di alto esplosivo. Era stato deciso di utilizzare l’Ammonal, un composto costituito per il 17% di alluminio, 15% di Trinitrotoluene, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt, 3% di carbone e 65% in peso di Nitrato d’Ammonio, un fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870. Molto potente, di largo impiego in campo civile ed estrattivo dato il suo basso costo e la sua buona resa, si presentava sotto forma di polvere untuosa di colore rosso bruno dal forte odore di mandorla. Visto le condizioni generali in cui sarebbe stato stoccato, l’esplosivo era stato confezionato in cilindri di carta paraffina e chiuso in lattine di metallo per prevenire problemi di infiltrazione e umidità. Una volta innescato, la polvere d’alluminio in esso contenuto, incendiatosi avrebbe sviluppato temperature intorno ai 3.000 gradi centigradi. I tunnel sarebbero diventati come il centro della terra. Questo esplosivo, di tipo secondario, a causa del suo elevato grado di stabilità avrebbe però avuto bisogno di un forte innesco. Gli ingegneri dopo alcuni test avevano optato per il detonatore elettrico all’Azoturo di Piombo inventato nel 1876 da Julius Smith. Questo cilindretto di alluminio riempito col preparato della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890 e innescato da una sostanza infiammabile accesa dal passaggio di elettricità, sarebbe servito per avviare una carica di Dinamite a base attiva, fortemente esplosiva, di rinforzo. Si tratta della Dinamite brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e composta per il 75% dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, prodotto esplosivo scoperto da Christian Friedrich Schönbein nel 1846, e da un 25% di segatura e nitrato di sodio, Dinamite evoluzione di quella a base inerte andando a sostituire con questo 25% quello originario di farina di roccia silicea sedimentaria di origine organica. Per quanto riguarda l’Ammonal, era stato utilizzato per la prima volta il 19 luglio 1915 nella località di Hooge da parte dei soldati inglesi, che per fare saltare in aria delle fortificazioni tedesche in cemento armato avevano scavato un tunnel sotto di esse imbottendolo con 1.600 chilogrammi dell'innovativo esplosivo. La complessiva energia cinetica ottenuta da questa carica, nell'ipotesi che si fosse trasformato in lavoro meccanico solo il 30% dell'energia termica, era stata tale da lanciare in aria, a 20 metri d'altezza, un incrociatore corazzato da 10.000 tonnellate di dislocamento, fronte di un’onda di detonazione con pressioni dell'ordine di 100 mila atmosfere e temperature di migliaia di gradi. Una volta data corrente ai detonatori i soldati erano stati investiti da una tempesta di vento e pietre con un'esplosione che aveva provocato la completa distruzione dei manufatti di difesa tedeschi e creato un enorme cratere largo 37 metri e profondo poco più di 6 tra lo stagno di Bellewaerde e Menin Road. Come nel caso di Hooge le casse di Ammonal erano state disposte le une sulle altre all’interno delle camere di scoppio cercando di non lasciare spazi vuoti tra esse in modo da creare continuità tra le varie pile. A causa dell’elevato livello di umidità dei tunnel e del grado di igroscopicità della sostanza esplosiva, i minatori erano stati attenti al maneggio delle casse e al loro corretto posizionamento per evitare di vanificare l’effetto “simpatia”, ovvero il trasferimento dell’onda esplosiva da una cassa all’altra. Questo piano di demolizione aveva previsto un totale di 20 mine, tutte posizionate lungo la linea tedesca: la mina “Trench 122 Left”, ad una profondità di 20 metri, caricata con 9.100 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 296 metri completato il 14 aprile 1916; la mina “Trench 127 Left”, ad una profondità di 25 metri, caricata con 16.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 302 metri completato il 20 aprile 1916; la mina “Trench 127 Right”, ad una profondità di 26 metri, caricata con 23.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 405 metri completato il 9 maggio 1916; la mina “Maedelstede Farm”, ad una profondità di 33 metri, caricata con 43.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 518 metri completato il 2 giugno 1916; la mina “St. Eloi”, ad una profondità di 42 metri, caricata con 43.400 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 408 metri completato l’11 giugno 1916; la mina “Trench 122 Right”, ad una profondità di 25 metri, caricata con 18.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 241 metri completato l’11 giugno 1916; la mina “Peckham”, ad una profondità di 23 metri, caricata con 39.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 349 metri completato il 19 giugno 1916; la mina “Hollandscheschur Farm 1”, ad una profondità di 20 metri, caricata con 15.500 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 251 metri completato il 20 giugno 1916; la mina “Spanbroekmolen”, ad una profondità di 29 metri, caricata con 41.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 521 metri completato il 26 giugno 1916; la mina “Kruistraat 1”, ad una profondità di 19 metri, caricata con 14.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 492 metri completato il 5 luglio 1916; la mina “Hollandscheschur Farm 2”, ad una profondità di 18 metri, caricata con 6.800 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 137 metri completato l’11 luglio 1916; la mina “Petit Bois 1”, ad una profondità di 19 metri, caricata con 14.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 616 metri completato il 30 luglio 1916; la mina “Hill 60”, ad una profondità di 30 metri, caricata con 24.300 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 354 metri completato il 1° agosto 1916; la mina “Petit Bois 2”, ad una profondità di 23 metri, caricata anche’essa con 14.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 631 metri completato il 16 agosto 1916; la mina “Hollandscheschur Farm 3”, ad una profondità di 18 metri, caricata con 7.900 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 244 metri completato il 20 agosto 1916; la mina “Kruistraat 2”, ad una profondità di 21 metri, caricata con 14.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 451 metri completato il 23 agosto 1916; la mina “Kruistraat 3”, ad una profondità di 17 metri, caricata con 14.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 658 metri completato il 23 agosto 1916; la mina “Caterpillar”, ad una profondità di 33 metri, caricata con 32.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 427 metri completato il 18 ottobre 1916; la mina “Kruistraat 4”, ad una profondità di 19 metri, caricata con 8.800 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 492 metri completato il 9 maggio 1917; la mina “Ontario Farm”, ad una profondità di 34 metri, caricata con 27.000 chilogrammi di Ammonal e accessibile tramite un tunnel lungo 392 metri completato il 6 giugno 1917. Una volta sigillate le pile, ad ogni base era stata posizionata la carica di Dinamite che avrebbe fatto da “booster”, ovvero da carica di spinta che avrebbe garantito il corretto innesco della carica principale. Controllato che tutto fosse a posto, i genieri, guardando per l’ultima volta i tunnel dove avevano vissuto e lavorato per oltre un anno e consci che tutto quel lavoro sarebbe stato spazzato via in un secondo, avevano sistemato i detonatori elettrici all’interno dei 450 chilogrammi totali delle cariche di avvio per ogni mina. Immediatamente dopo, gli specialisti avevano fissato i cablaggi dei cavi alle pareti perimetrali con dei rampini ed erano usciti dalle camere di scoppio intasandole con 120 metri di sacchi di argilla ciascuna. Questo metodo, versione esasperata di quello in foro utilizzato per la prima volta nel 1687 dall'esplosivista Carl Zumbe nelle miniere di Clausthal, nella Bassa Sassonia, in Germania, avrebbe creato un forte intasamento della mina. La compressione generata avrebbe esercitato nei confronti dei gas pro­dotti dall’esplosione una fortissima resistenza. Comprimendo il volume dei gas contenuti la camera avrebbe causato un aumento esponenziale del “fattore di pressione”, e in questo modo, l’onda esplosiva avrebbe subito una improvvisa accelerazione cinetica con un conseguente incremento degli effetti esaltando il potere dirompente della carica. Dopo essersi srotolati dietro durante l’uscita una lunga dorsale fino alle postazioni fortificate in superficie, tutte le mine erano state finalmente completate. Il 2 giugno 1917 era iniziata ufficialmente l’offensiva. L’artiglieria inglese aveva iniziato a battere le linee nemiche. 3.561.530 proiettili provenienti da 2.230 pezzi tra cannoni e obici stavano bombardando le trincee tedesche. La 4a divisione australiana, la 11ma e la 24ma erano state spostate a nord da Arras come riserve per quei corpi della Seconda Armata che si stavano preparando all’imminente attacco. 72 dei nuovi carri armati Mark IV, dei cingolati corazzati di 28 tonnellate, erano arrivati al fronte e nascosti a sud-ovest di Ypres mentre gli aerei britannici erano stati spostati a nord dal fronte di Arras salendo ad un totale di 300 velivoli operativi. Era anche stato costruito un gran numero di fortificazioni da mitragliatrice e tre compagnie di ingegneri e un battaglione pionieri erano stati preparati e tenuti di riserva al fine di seguire la fanteria in attacco, ricostruire le strade e lavorare sulle posizioni difensive man mano che si fosse guadagnato terreno durante l’avanzata. La notte del 6 giugno sta per arrivare al momento cruciale, all’interno delle trincee l’umore è altro. L’artiglieria sono giorni che non smette di bombardare le postazioni tedesche e certo quella tedesca non sta a guardare. Anche le granate lontane sembrano cadere a pochi metri, fango, terra, acqua, ribollono ad ogni esplosione. Nel cielo i caccia di entrambe le parti continuano ad affrontarsi cercando di abbattere i palloni antiaerei e comunicare le posizioni degli schieramenti. Il Day Zero è oggi, l’Ora Zero è tra poco, alle ore 03:10. L’orario non è stato scelto a caso, è il momento esatto in cui un uomo può essere scorto da ovest da una distanza di 100 metri. Finalmente smette di piovere, il cielo inizia a schiarirsi. Alle ore 01:00 gli aerei britannici sorvolano le linee tedesche per coprire il ruggito dei carri armati che si stanno dirigendo verso i punti di raccolta. Dietro le linee, nella sala riunioni fortificata, il Generale Sir Charles Harington davanti al piano di tiro segnato sulla mappa, esclama rivolgendosi agli ufficiali attorno al tavolo: "Signori, non so se oggi cambieremo la storia, ma di sicuro cambieremo la geografia". Nelle trincee tra le truppe inizia a montare l’eccitazione. Alcuni soldati strisciano sulla “No Man’s Land”, la zona neutra, per trovare eventuali aperture nel filo spinato tedesco e segnando i punti d’accesso con del nastro bianco. Molti hanno iniziato a scrivere l’ultima lettera a casa. Una fitta nebbia aleggia sul terreno. Ha ripreso a piovere, una pioggia leggera che non dà pace e che gli uomini raccolgono con gli elmetti così da dissetarsi. Triangoli ricavati dalle scatole di latta per biscotti sono attaccati sulle spalle di alcuni soldati in modo che gli aerei da ricognizione possano monitorarne l’avanzata. Quelli della prima linea sono accovacciati spalla a spalla, pronti ad attaccare. Alcuni pregano. L’Ora Zero è vicina, il bombardamento si è appena intensificato. La terra trema, gli spostamenti d’aria sono talmente forti che i soldati hanno difficoltà anche ad accendere la fiamma dello zolfanello per fumare una sigaretta. Sono le ore 02:00, il fuoco dell’artiglieria è al culmine. Sulle postazioni tedesche stanno piovendo 250.000 granate, 3.500 al minuto. Il fuoco di sbarramento è così intenso che se ne sente l'eco ad Hampstead Heath, a nord di Londra. Sono le ore 02:55, il fuoco si ferma. L’aria è intrisa di fumo e polvere. In uno stato di calma apparente e cupo silenzio, i genieri avvitano i capi delle dorsali alle batterie di controllo su cui sono collegati gli esploditori, controllano e riverificano i circuiti e si preparano a dare corrente. In prima linea i soldati montano le baionette sul fucile. Sotto le linee tedesche la bocca dell’inferno sta per essere spalancata. Nemmeno i soldati inglesi, che si guardano attorno domandandosi il perchè di tanta calma, sono a conoscenza di ciò che realmente sta per scatenarsi. Scatta l’Ora Zero, le lancette degli orologi degli ufficiali segnano le ore 03:10. Il generale Plumer dà l’ordine: la leva scende, il primo circuito viene chiuso. In una frazione di secondo la corrente elettrica percorre il cavo per le centinaia di metri all’interno dei tunnel, supera la barriera di chiusura e arriva alle camere di scoppio. Il ponticello all’interno degli artifizi esplosivi primari brevettati da Julius Smith diventa incandescente accendendo la miscela incendiaria che innesca l’Azoturo di Piombo. I detonatori si attivarono facendo partire la Dinamite che innesca la reazione a catena con l’Ammonal. Le mine detonano una dopo l’altra con una velocità di detonazione di 4.400 metri al secondo. L’alto esplosivo scatena l’inimmaginabile. La terra si gonfia, la campagna viene squassata da un rombo lungo venti secondi che si espande per centinaia di chilometri arrivando al Dipartimento di Geologia dell'Università di Lille, dove l'onda d'urto, propagatasi nel terreno, manda in tilt i sismografi. La detonazione dell’enorme carico di esplosivo stipato nelle venti mine sotto Messines Ridge scuote il terreno che si solleva per decine di metri, aprendosi. Le 434 mila tonnellate di esplosivo producono 3.500 miliardi di litri di gas ad altissima pressione che eruttano dal terreno con una gigantesca fiammata illuminando l’oscurità. Una colonna di fuoco trasforma la notte in giorno. Gli inglesi vengono scaraventati a terra dall’onda d’urto. Alcuni urlano, altri chiudono gli occhi e si coprono la testa. Centinaia di migliaia di tonnellate di terra, gesso e roccia volano in aria per poi ricadere pesantemente a terra in una nuvola grigia di detriti. 10.528 mila soldati tedeschi tra Ypres e Ploegsteert scompaiono, sparati in aria per centinaia di metri prima di essere inghiottiti dal fango rovente, altri 2.263, i più fortunati, sono investiti da una pioggia di pietra che squarcia, smembra, mutila. L'esplosione congiunta, tra le più grandi e letali non nucleari di tutti i tempi, superando le mine della Somme di 11 mesi prima, è il botto più potente della storia dell’uomo fino a questo momento. È avvertito fino a Londra e Dublino dove viene scambiato per un tuono. È difficile quantificare la follia distruttiva degli uomini, qui può essere misurata. Dove prima c’erano le camere di scoppio, le centine, le stanze e i cunicoli in cui i genieri avevano lavorato per mesi, ora ci sono dei giganteschi crateri: una voragine di 59 metri di diametro per la mina “Trench 122 Left”, 55 metri per la mina “Trench 127 Left”, 64 metri per la mina “Trench 127 Right”, 66 metri per la mina “Maedelstede Farm”, 53 metri per la mina “St. Eloi”, 69 metri per la mina “Trench 122 Right”, 73 metri per la mina “Peckham”, 56 metri per la mina “Hollandscheschur Farm 1”, 76 metri per la mina “Spanbroekmolen”, 71 metri per la mina “Kruistraat 1” e la mina “Kruistraat 4” fuse in un'unica voragine, 32 metri per la mina “Hollandscheschur Farm 2”, 53 metri per la mina “Petit Bois 1”, 58 metri per la mina “Hill 60”, 66 metri per la mina “Petit Bois 2”, 43 metri per la mina “Hollandscheschur Farm 3”, 66 metri per la mina “Kruistraat 2”, 72 metri la mina “Kruistraat 3”, 79 metri per la mina “Caterpillar”, 61 metri per la mina “Ontario Farm”. Lo scenario è lunare, dove prima c’erano le trincee, le fortificazioni, le postazioni d’artiglieria, i dormitori, le mense, i depositi, ora non resta che terra martoriata, sollevata, rivoltata dove arti, parti umane, elmetti, ossa, intestini, fanno capolino tra le zolle. L’acqua è diventata rossa, sembra che l’inferno si sia aperto sotto i soldati e li abbia masticati e risputati. Il tempo si è fermato. Quelle che sono state per anni le loro case si sono trasformate in pochi secondi in gigantesche fosse comuni. Qualche centinaio di metri indietro, nelle linee inglesi, i comandanti attendono che i detriti finiscano di piovere e la polvere si abbassi completamente. Davanti a loro il saliente non c’è più. La 3a divisione Bavarese è stata quasi interamente annientata. Dalle trincee arriva il suono delle cornamuse, gli uomini della prima ondata montano sui parapetti, nel tumulto, nel buio. L'artiglieria sposta il tiro verso le linee più lontane, secondo le tabelle prestabilite, dove le truppe tedesche sono ancora intontite. Gli obici e i cannoni iniziano il bombardamento, i fischietti dei comandanti suonano all'unisono. Le nove divisioni di fanteria della Seconda Armata britannica, le tre di riserva e i 72 carri di appoggio lasciano le fortificazioni. 80 mila soldati cominciano lentamente ad avanzare lungo il pendio, sulla terra di nessuno, camminando tra i cadaveri che affiorano dal terreno. La battaglia di Messines è iniziata.

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