TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: autobomba
DATA: 31 maggio 1972
STATO: Italia
LUOGO: Sagrado, Località Peteano
MORTI: 3
FERITI: 2
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
Gorizia nei primi anni Settanta è una cittadina povera, con più caserme
che fabbriche, con tante osterie e priva di svaghi. Nei primi anni Settanta
questo piccolo angolo del Nord Est non è particolarmente politicizzato e tenendo
conto del clima dell’epoca e della posizione geografica della città la vita,
ben lontana dal benessere, scorre tranquilla sul confine. I due settori
industriali portanti, quello metalmeccanico e quello tessile, sono in crisi. I
disoccupati stentano a trovare impiego altrove, sono anni di insicurezza e di
cassa integrazione. La sostanziale separazione delle fabbriche e dei quartieri
dei lavoratori dal centro cittadino e la mancanza di una coscienza e di una
cultura operaie hanno portato ad un’emarginazione del ceto operaio. Quello
medio invece, storicamente nazionalista, è omogeneamente democristiano. A
Gorizia la criminalità è di piccolo calibro, e a fare notizia sono per lo più
furti maldestri o piccole vendette tra rivali. In Italia questo è un periodo
delicato: il 7 maggio si sono svolte le elezioni politiche anticipate, le
prime della storia repubblicana, per il rinnovo dei due rami del Parlamento
Italiano. Le consultazioni hanno portato ad una riconferma
della Democrazia Cristiana come primo partito e riconsegnato al
centro-sinistra la maggioranza assoluta dei votanti e del Parlamento assegnando
la guida del paese ad un nuovo esecutivo presieduto da Giulio Andreotti. Il
17 maggio è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco Luigi Calabresi, Commissario
di Polizia e addetto alla squadra politica della Questura di Milano, crivellato
davanti alla sua abitazione per mano di un commando composto da due uomini,
Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, appartenenti alla formazione
extraparlamentare Lotta Continua, di orientamento
comunista, rivoluzionario e operaista. Calabresi è stato
giustiziato per essere il responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe
Pinelli, morto nella notte tra il 15 e il 16
dicembre 1969 precipitando da una finestra della questura di
Milano, dove era trattenuto per accertamenti in seguito all’esplosione della
bomba alla Banca Nazionale Dell’Agricoltura di Piazza Fontana che aveva ucciso
17 persone e ne aveva ferite 88. Il dibattito politico è ancora turbolento e accompagnato
da temuti tentativi di colpo di Stato. Diversi sono gli attentati
terroristici e le tremende stragi di matrice fascista, in concomitanza alle
tensioni legate ai gruppi della sinistra extraparlamentare che hanno intrapreso
la lotta armata. Vi è comunque un clima di tensione generale e
preoccupazione all'interno dei partiti politici e del governo, un primo passo
verso quella che sarà in seguito definita “teoria degli opposti estremismi”. È
il 1972, il 31 maggio, una Fiat Cinquecento bianca è stata abbandonata sulla
strada che porta da Sagrado a Savogna e costeggia il fiume Isonzo. È una strada
tranquilla, ombreggiata, meta di coppiette e pescatori in riva al fiume per la
pesca alle anguille. Tanti invece hanno deciso di guardare la partita alla tv, quella
sera sul primo canale c’è la finale di Coppa Campioni: si concluderà con la
vittoria dell’Ajax sull’Inter per due a zero con due reti di Crujff. Sono le
ore 22.35, piove come può accadere agli inizi d'estate, un temporale con
scrosci potenti, al Pronto Intervento dell’Arma dei Carabinieri di Gradisca
d’Isonzo arriva una telefonata. È un po’ in italiano e un po’ in dialetto e
proviene da un telefono a gettoni: “Senta, vorrei dirle che la xe una machina che
la ga due busi sul parabreza. La xe una cinquecento bianca, vizin la ferovia,
sula strada per Savogna”. A ricevere la telefonata e a registrarla è il
centralinista di turno Domenico La Malfa. È un allarme che non può essere
ignorato. I Carabinieri di Gradisca, centro mandamentale dell’Isontino e
competente per quella zona, mobilitano immediatamente una gazzella con a bordo l’appuntato
Salvatore Mango e il carabiniere Franco Dongiovanni. In dieci minuti la
macchina arriva sul posto, la Fiat Cinquecento targata GO 45902 è lì, ferma e
incustodita in una zona disabitata, in un viottolo in terra battuta subito dopo
una curva, al chilometro 5. Ci sono anche i fori sul parabrezza, ma sembrano
sparati dall’interno. C’è qualcosa che non va. Mango decide di chiamare il suo
ufficiale, il tenente Angelo Tagliari, che parte anche lui accompagnato dal
brigadiere Antonio Ferraro e dal carabiniere Donato Poveromo. Arrivano sul
posto alle ore 23:05. Sceso dalla volante, Tagliari inizia ad ispezionare
l’esterno della vettura. A parte i fori sul parabrezza sembra tutto a posto, nessuna
ammaccatura, nessun filo, niente fumo. Prende la decisione di aprire lo sportello.
Entra, inizia a perquisirne l’interno, anche qui è tutto pulito. In quel
momento una terza volante partita da Gorizia arriva in supporto. Sono le ore
23:25. Il tenente Tagliari a questo punto decide di controllare anche il portabagagli.
Spalanca lo sportello fino a fine corsa, si china, allunga il braccio sotto il
volante per cercare la leva che apre il cofano. In tre sono davanti alla
macchina, aspettano che la leva scatti per sollevare il portellone. Il tenente
afferra la leva, è un po’ dura ma non ci fa caso, la tira con forza. Poco più
in basso, in riva al fiume c’è un pescatore, ha gli occhi puntati sulla canna,
mentre la vede muoversi la terra sotto la sedia trema, l’acqua ribolle. Un
boato assordante lo butta sulla sabbia mentre viene quasi sfiorato da una ruota
piovuta dal cielo. Antonio Ferraro, 31 anni, siciliano, sposato da poco e in
attesa del primo figlio, Franco Dongiovanni, 23 anni di Lecce e Donato
Poveromo, 33 anni, lucano e con una moglie incinta, sono investiti in pieno
dall’esplosione e fatti a pezzi. I loro resti piovono a 50 metri, su di un
prato. L’ufficiale invece, protetto dalla portiera aperta che gli ha fatto da
scudo, è a terra maciullato ma in condizioni gravissime. Zazzaro è a 15 metri,
anche lui è a terra, su di un lato, si tiene il braccio, si muove appena. La
Cinquecento, dilaniata e divisa in due tronconi, è sbalzata all'indietro di 5
metri. La leva, scattando, aveva sganciato una molla collegata al sistema di
apertura del cofano e messa precedentemente in tensione. Questa aveva azionato
un meccanismo che aveva innescato una carica di esplosivo stipato nel vano
portabagagli. La Fiat Cinquecento era stata rubata 5 giorni prima in via del
Brolo ad un certo Marcello Brescia. A farlo era stato Ordine Nuovo, una falange
extraparlamentare di estrema destra guidata dal politico Clemente Graziani. Nata
nel dicembre del 1969 poco prima della strage di Piazza
Fontana a Milano, è composta da alcuni militanti dell’associazione
politico-culturale di estrema destra Centro Studi Ordine Nuovo fondata nel 1956 dal politico esponente del
Movimento Sociale Italiano Pino Rauti. Questa organizzazione, una vera e
propria struttura armata articolata in cellule, da quella di Venezia-Mestre a
quella di Padova, forma una rete eversiva protetta dagli apparati statali e utilizzata
in chiave anticomunista. Ogni qualvolta che una cellula si muove agisce in
maniera del tutto indisturbata attivando con lei armeria e polveriera. E Vincenzo
Vinciguerra, Carlo Cicuttini e Ivano Boccaccio, membri aderenti alla Cellula di
Udine del gruppo eversivo neofascista, l’avevano nascosta in un garage di
periferia e alleggerita della ruota di scorta. Al suo posto era stata
posizionata una carica di esplosivo composta da 8 candelotti di gelatina per
uso estrattivo, una Dinamite a base attiva, fortemente esplosiva, brevettata
dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e composta dalla
Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel
1847 dalla Nitrocellulosa, prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian
Friedrich Schönbein nel 1846, e miscelata con Nitrocellulosa ad alto contenuto
di azoto. La carica era stata collegata ad un detonatore “a fuoco”, una
versione moderna dell’antico tubetto di stagno inventato da Alfred Nobel nel
1867. Il meccanismo aveva sganciato una molla che aveva a sua volta azionato un
accenditore del tipo “a strappo” che con una frizione per trazione aveva acceso
due cariche, una primaria e una secondaria all’interno del detonatore. La
primaria, di Azoturo di Piombo, il preparato vincente della Curtis's and Harvey
Ltd Explosives Factory del 1890, aveva innescato la secondaria di Pentrite, un
esplosivo potentissimo preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico
tedesco Bernhard Tollens. Questa reazione a catena durata una frazione di
secondo aveva scatenato la Dinamite. I candelotti erano stati rubati due anni
prima da una baracchetta incustodita di una ditta di Aviano che stava
effettuando lavori di sbancamento nella zona di Piancavallo, nella provincia di
Pordenone. Questi erano stati collegati ad un accenditore “a strappo” e a un
detonatore “a fuoco”. Assieme a Carlo Maria Maggi, laureato in medicina ed
esercitante la professione presso l'ospedale geriatrico Giustinian di Venezia e
come medico di base nell'isola della Giudecca, avevano calcolato che con
questo tipo di esplosivo, detonando ad una velocità che avrebbe sfiorato gli 8
mila metri al secondo e un calore di quasi 4 mila gradi centigradi, avrebbe
ucciso chi si fosse trovato nelle immediate vicinanze. Per renderla “appetibile”
ai militari, Cicuttini, che fu anche segretario della sezione
del Movimento Sociale Italiano del suo paese, San Giovanni Al
Natisone, aveva sparato due colpi sul parabrezza con la sua pistola semi
automatica calibro 22. Poi, la telefonata da un bar, il “Nazionale” di
Monfalcone. La trappola non aveva elettricità né dispositivi a tempo, era stata
messa lì proprio perché fosse aperta, una tattica eversiva atipica, poiché
l’organizzazione, una vera e propria struttura armata articolata in più cellule
protetta dagli apparati statali e utilizzata in chiave anticomunista, si era
attivata assieme alla sua “Santa Barbara” per colpire direttamente i militari,
e quindi lo Stato, con la finalità di interrompere il rapporto di cobelligeranza
che si era instaurato tra i gruppi di estrema destra e parte degli apparati
statali nell'ottica di una soluzione golpistico-reazionaria, diventando parte
integrante di quella strategia della tensione che mediante un disegno eversivo
tendeva alla destabilizzazione o al disfacimento degli equilibri precostituiti.
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