01 agosto, 2019

Sagrado, Località Peteano, 31 maggio 1972


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: autobomba
DATA:
31 maggio 1972
STATO: Italia
LUOGO: Sagrado, Località Peteano
MORTI:
3
FERITI:
2

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

Gorizia nei primi anni Settanta è una cittadina povera, con più caserme che fabbriche, con tante osterie e priva di svaghi. Nei primi anni Settanta questo piccolo angolo del Nord Est non è particolarmente politicizzato e tenendo conto del clima dell’epoca e della posizione geografica della città la vita, ben lontana dal benessere, scorre tranquilla sul confine. I due settori industriali portanti, quello metalmeccanico e quello tessile, sono in crisi. I disoccupati stentano a trovare impiego altrove, sono anni di insicurezza e di cassa integrazione. La sostanziale separazione delle fabbriche e dei quartieri dei lavoratori dal centro cittadino e la mancanza di una coscienza e di una cultura operaie hanno portato ad un’emarginazione del ceto operaio. Quello medio invece, storicamente nazionalista, è omogeneamente democristiano. A Gorizia la criminalità è di piccolo calibro, e a fare notizia sono per lo più furti maldestri o piccole vendette tra rivali. In Italia questo è un periodo delicato: il 7 maggio si sono svolte le elezioni politiche anticipate, le prime della storia repubblicana, per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano. Le consultazioni hanno portato ad una riconferma della Democrazia Cristiana come primo partito e riconsegnato al centro-sinistra la maggioranza assoluta dei votanti e del Parlamento assegnando la guida del paese ad un nuovo esecutivo presieduto da Giulio Andreotti. Il 17 maggio è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco Luigi Calabresi, Commissario di Polizia e addetto alla squadra politica della Questura di Milano, crivellato davanti alla sua abitazione per mano di un commando composto da due uomini, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, appartenenti alla formazione extraparlamentare Lotta Continua, di orientamento comunista, rivoluzionario e operaista. Calabresi è stato giustiziato per essere il responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, morto nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969 precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era trattenuto per accertamenti in seguito all’esplosione della bomba alla Banca Nazionale Dell’Agricoltura di Piazza Fontana che aveva ucciso 17 persone e ne aveva ferite 88. Il dibattito politico è ancora turbolento e accompagnato da temuti tentativi di colpo di Stato. Diversi sono gli attentati terroristici e le tremende stragi di matrice fascista, in concomitanza alle tensioni legate ai gruppi della sinistra extraparlamentare che hanno intrapreso la lotta armata. Vi è comunque un clima di tensione generale e preoccupazione all'interno dei partiti politici e del governo, un primo passo verso quella che sarà in seguito definita “teoria degli opposti estremismi”. È il 1972, il 31 maggio, una Fiat Cinquecento bianca è stata abbandonata sulla strada che porta da Sagrado a Savogna e costeggia il fiume Isonzo. È una strada tranquilla, ombreggiata, meta di coppiette e pescatori in riva al fiume per la pesca alle anguille. Tanti invece hanno deciso di guardare la partita alla tv, quella sera sul primo canale c’è la finale di Coppa Campioni: si concluderà con la vittoria dell’Ajax sull’Inter per due a zero con due reti di Crujff. Sono le ore 22.35, piove come può accadere agli inizi d'estate, un temporale con scrosci potenti, al Pronto Intervento dell’Arma dei Carabinieri di Gradisca d’Isonzo arriva una telefonata. È un po’ in italiano e un po’ in dialetto e proviene da un telefono a gettoni: “Senta, vorrei dirle che la xe una machina che la ga due busi sul parabreza. La xe una cinquecento bianca, vizin la ferovia, sula strada per Savogna”. A ricevere la telefonata e a registrarla è il centralinista di turno Domenico La Malfa. È un allarme che non può essere ignorato. I Carabinieri di Gradisca, centro mandamentale dell’Isontino e competente per quella zona, mobilitano immediatamente una gazzella con a bordo l’appuntato Salvatore Mango e il carabiniere Franco Dongiovanni. In dieci minuti la macchina arriva sul posto, la Fiat Cinquecento targata GO 45902 è lì, ferma e incustodita in una zona disabitata, in un viottolo in terra battuta subito dopo una curva, al chilometro 5. Ci sono anche i fori sul parabrezza, ma sembrano sparati dall’interno. C’è qualcosa che non va. Mango decide di chiamare il suo ufficiale, il tenente Angelo Tagliari, che parte anche lui accompagnato dal brigadiere Antonio Ferraro e dal carabiniere Donato Poveromo. Arrivano sul posto alle ore 23:05. Sceso dalla volante, Tagliari inizia ad ispezionare l’esterno della vettura. A parte i fori sul parabrezza sembra tutto a posto, nessuna ammaccatura, nessun filo, niente fumo. Prende la decisione di aprire lo sportello. Entra, inizia a perquisirne l’interno, anche qui è tutto pulito. In quel momento una terza volante partita da Gorizia arriva in supporto. Sono le ore 23:25. Il tenente Tagliari a questo punto decide di controllare anche il portabagagli. Spalanca lo sportello fino a fine corsa, si china, allunga il braccio sotto il volante per cercare la leva che apre il cofano. In tre sono davanti alla macchina, aspettano che la leva scatti per sollevare il portellone. Il tenente afferra la leva, è un po’ dura ma non ci fa caso, la tira con forza. Poco più in basso, in riva al fiume c’è un pescatore, ha gli occhi puntati sulla canna, mentre la vede muoversi la terra sotto la sedia trema, l’acqua ribolle. Un boato assordante lo butta sulla sabbia mentre viene quasi sfiorato da una ruota piovuta dal cielo. Antonio Ferraro, 31 anni, siciliano, sposato da poco e in attesa del primo figlio, Franco Dongiovanni, 23 anni di Lecce e Donato Poveromo, 33 anni, lucano e con una moglie incinta, sono investiti in pieno dall’esplosione e fatti a pezzi. I loro resti piovono a 50 metri, su di un prato. L’ufficiale invece, protetto dalla portiera aperta che gli ha fatto da scudo, è a terra maciullato ma in condizioni gravissime. Zazzaro è a 15 metri, anche lui è a terra, su di un lato, si tiene il braccio, si muove appena. La Cinquecento, dilaniata e divisa in due tronconi, è sbalzata all'indietro di 5 metri. La leva, scattando, aveva sganciato una molla collegata al sistema di apertura del cofano e messa precedentemente in tensione. Questa aveva azionato un meccanismo che aveva innescato una carica di esplosivo stipato nel vano portabagagli. La Fiat Cinquecento era stata rubata 5 giorni prima in via del Brolo ad un certo Marcello Brescia. A farlo era stato Ordine Nuovo, una falange extraparlamentare di estrema destra guidata dal politico Clemente Graziani. Nata nel dicembre del 1969 poco prima della strage di Piazza Fontana a Milano, è composta da alcuni militanti dell’associazione politico-culturale di estrema destra Centro Studi Ordine Nuovo fondata nel 1956 dal politico esponente del Movimento Sociale Italiano Pino Rauti. Questa organizzazione, una vera e propria struttura armata articolata in cellule, da quella di Venezia-Mestre a quella di Padova, forma una rete eversiva protetta dagli apparati statali e utilizzata in chiave anticomunista. Ogni qualvolta che una cellula si muove agisce in maniera del tutto indisturbata attivando con lei armeria e polveriera. E Vincenzo Vinciguerra, Carlo Cicuttini e Ivano Boccaccio, membri aderenti alla Cellula di Udine del gruppo eversivo neofascista, l’avevano nascosta in un garage di periferia e alleggerita della ruota di scorta. Al suo posto era stata posizionata una carica di esplosivo composta da 8 candelotti di gelatina per uso estrattivo, una Dinamite a base attiva, fortemente esplosiva, brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e composta dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, e miscelata con Nitrocellulosa ad alto contenuto di azoto. La carica era stata collegata ad un detonatore “a fuoco”, una versione moderna dell’antico tubetto di stagno inventato da Alfred Nobel nel 1867. Il meccanismo aveva sganciato una molla che aveva a sua volta azionato un accenditore del tipo “a strappo” che con una frizione per trazione aveva acceso due cariche, una primaria e una secondaria all’interno del detonatore. La primaria, di Azoturo di Piombo, il preparato vincente della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890, aveva innescato la secondaria di Pentrite, un esplosivo potentissimo preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens. Questa reazione a catena durata una frazione di secondo aveva scatenato la Dinamite. I candelotti erano stati rubati due anni prima da una baracchetta incustodita di una ditta di Aviano che stava effettuando lavori di sbancamento nella zona di Piancavallo, nella provincia di Pordenone. Questi erano stati collegati ad un accenditore “a strappo” e a un detonatore “a fuoco”. Assieme a Carlo Maria Maggi, laureato in medicina ed esercitante la professione presso l'ospedale geriatrico Giustinian di Venezia e come medico di base nell'isola della Giudecca, avevano calcolato che con questo tipo di esplosivo, detonando ad una velocità che avrebbe sfiorato gli 8 mila metri al secondo e un calore di quasi 4 mila gradi centigradi, avrebbe ucciso chi si fosse trovato nelle immediate vicinanze. Per renderla “appetibile” ai militari, Cicuttini, che fu anche segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano del suo paese, San Giovanni Al Natisone, aveva sparato due colpi sul parabrezza con la sua pistola semi automatica calibro 22. Poi, la telefonata da un bar, il “Nazionale” di Monfalcone. La trappola non aveva elettricità né dispositivi a tempo, era stata messa lì proprio perché fosse aperta, una tattica eversiva atipica, poiché l’organizzazione, una vera e propria struttura armata articolata in più cellule protetta dagli apparati statali e utilizzata in chiave anticomunista, si era attivata assieme alla sua “Santa Barbara” per colpire direttamente i militari, e quindi lo Stato, con la finalità di interrompere il rapporto di cobelligeranza che si era instaurato tra i gruppi di estrema destra e parte degli apparati statali nell'ottica di una soluzione golpistico-reazionaria, diventando parte integrante di quella strategia della tensione che mediante un disegno eversivo tendeva alla destabilizzazione o al disfacimento degli equilibri precostituiti.

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