TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: carica occultata
DATA: 23 dicembre 1984
STATO: Italia
LUOGO: Grande Galleria
dell'Appennino, Rapido 904
MORTI: 17
FERITI: 267
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
È il 23 dicembre 1984, è una domenica come tante, si guarda la
televisione in famiglia, in città si fanno gli ultimi acquisti natalizi, una
coltre di serenità copre scandali e disonori di un paese in subbuglio. Al nord,
gli “anni di piombo” sono finiti, è l’epoca della “Milano da bere”. Al sud, mentre
nel napoletano è esplosa l’ennesima guerra di Camorra culminata il 26 agosto nella
strage di Torre Annunziata, in Sicilia l’organizzazione criminale Cosa Nostra ha
deciso di alzare il tiro nei confronti degli uomini delle istituzioni. I
Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gettando le basi del Maxiprocesso di
Palermo, il più grande processo penale mai svolto in Italia che ha preso corpo
dalle rivelazioni di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, hanno fatto tremare
la mafia siciliana per le centinaia di pagine degli interrogatori del
“Boss dei due mondi” e del “Coriolano della
Floresta” e per il lavoro che il pool antimafia di Antonino Caponnetto,
Falcone e Borsellino sta portando avanti. I due infatti sono i primi mafiosi a
cominciare a collaborare con la giustizia, tanto che le rivelazioni stanno
permettendo, per la prima volta, una dettagliata ricostruzione giudiziaria dell'organizzazione
e della struttura della criminalità siciliana che nel frattempo si è legata ad
altre organizzazioni criminali accrescendo esponenzialmente il suo potere ed espandendo
i propri affari ben oltre l’isola. Associazione criminale di tipo mafioso Cosa
Nostra è nata in Sicilia nel 19° secolo e si è sviluppata esponenzialmente dopo
la fine della Seconda guerra mondiale. Strutturata gerarchicamente, nota in
tutto il mondo per gli attentati, gli omicidi esemplari e la violenza diretta
contro lo Stato italiano con l’eliminazione di uomini politici, poliziotti e
magistrati, mantiene il controllo su numerose attività economiche e politiche
regionali ed extraregionali per mezzo di reti di fiancheggiatori e
dell’inserimento di propri capitali nel settore dei pubblici appalti, della
sanità e del turismo, penetrando perfino nei settori della grande distribuzione
alimentare, dei mercati ortofrutticoli, nelle attività edili e in quelle di
tipo economico-finanziario. L’Organizzazione è divisa in “Famiglie”, ciascuna
con un capo, il “rappresentante”, eletto da tutti gli “uomini d’onore” e assistito
da un vice-capo e uno o più consiglieri. Tre Famiglie, ognuna organizzata in
"'decine" composte da dieci uomini d'onore, i "soldati",
coordinati da un "capodecina", costituiscono un
"mandamento", la zona di influenza, gestito dal “capo mandamento”
anch'esso eletto e che fa parte della "Commissione Provinciale", il
massimo organismo dirigente di Cosa Nostra nella provincia, organismo che
prende le decisioni più importanti, risolve i contrasti tra le famiglie,
espelle gli uomini inaffidabili, controlla tutti gli omicidi, inferiore in
quanto a potere soltanto a quella "Regionale". Corruzione e
riciclaggio sono il volano che ha permesso a Cosa Nostra di radicarsi, anno dopo
anno, sempre di più nel territorio accrescendo il proprio potere in maniera
spropositata. In questa fredda domenica prenatalizia c’è un treno che sta
percorrendo la penisola da sud a nord, è il Rapido 904, partito dalla Stazione
Centrale di Napoli e diretto a Milano. Non è un treno come gli altri, è un
simbolo, un bersaglio carico di passeggeri, 614, famiglie intere che in occasione
delle vacanze natalizie si stanno muovendo per tutta l'Italia. Questi, spostandosi
dal Mezzogiorno per raggiungere la Lombardia, sono in viaggio accomodati negli
scompartimenti del convoglio di 15 carrozze che sta percorrendo lo stesso
tratto dove dieci anni prima, il 4 agosto del 1974, un altro treno, l’Italicus,
era stato fatto esplodere appena fuori l’ingresso del Portale Nord in località
San Benedetto Val Di Sambro della Grande Galleria dell'Appennino. Il tunnel
ferroviario lungo 18 chilometri, uno dei più lunghi al mondo, si trova sulla linea
ferroviaria “Direttissima” Bologna-Firenze che collega l'Emilia-Romagna con la
Toscana. In Sicilia, qualche mese prima, la Commissione interprovinciale,
l’organo direttivo che riunisce più vertici di Cosa Nostra, aveva dato
l’ordine di distogliere l'attenzione mediatica e degli apparati istituzionali
dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata al fine di
rilanciare l'immagine del terrorismo come l'unico, reale nemico contro il quale
occorre accentrare ogni impegno di lotta dello Stato. Il gesto non si è
lasciato attendere. Nel tratto Roma-Firenze il Rapido 904 aveva avuto come
passeggero un giovane di 18 anni, napoletano, tarchiato, si chiamava Carmine
Leonardi, espressione cupa, quasi malinconica, con un viso a tratti smarrito che
dimostrava ancora meno l'età che aveva. Piccolo di statura, tanto da essere
soprannominato "’o Nano", era stato allevato da Giuseppe Misso, ’o
Nasone, detto “il boss del Rione Sanità” e da Alfonso “Nino” Galeota, il
cassiere e l’amministratore del clan Misso, sodalizio camorristico operante sul
territorio della città di Napoli. Il giovane, arruolato nell'esercito fantasma
della Camorra che alla Sanità ha sempre trovato fertile terreno, era cresciuto
nel rigore delle regole dell’organizzazione: discrezione, fedeltà, coraggio e volontà
spietata quando chiamato all'azione, qualità quest’ultima che gli aveva fatto
conquistare nel tempo la fiducia dei boss. Leonardi è uno dei pochi della banda
Misso che conosce gli spostamenti del capo latitante, lo raggiunge di tanto in
tanto per portargli informazioni, riceve ordini e gli consegna gli abiti lavati
di fresco nell'appartamento romano di via Corradini 61 dove il boss vive da
latitante in compagnia di un'amica brasiliana. Ma il viaggio di oggi non sarebbe
stato il solito "salto" nella Capitale. Raggiunto da Galeota a Napoli
nel negozio di articoli sportivi "Eurosport" di proprietà di Misso
dove lavora come commesso, gli era stato ordinato di prendere il Rapido delle
ore 12:55 per Roma dove una volta alla Stazione Termini avrebbe incontrato lo
stesso Misso. Dopo essere stato accompagnato alla Stazione Centrale in moto dal
26enne Lucio Luongo, uno degli operativi più spietati del clan, aveva preso
posto in una delle poltrone del Rapido 904 unendosi ai tanti passeggeri che
affollano treni e stazioni ferroviarie in questa antivigilia di Natale. Come da
programma, senza fare domande in stazione aveva preso in consegna due valige,
bagagli che con l’arrivo del "Napoli-Milano" alla stazione di Santa
Maria Novella di Firenze alle ore 18:23, aveva trasportato nella quintultima
carrozza del convoglio, la numero 9 di Seconda Classe, sistemandoli sulla griglia
portabagagli del corridoio tra l’11esimo e il 12esimo scompartimento, a pochi
centimetri da una famiglia di quattro persone: Nicola De Simone, 40 anni e
Angela Calvanese, 33 anni, sua moglie, in viaggio coi due figli, Anna di 9 anni,
stretta alla sua inseparabile bambola, e Giovanni di 4, entrambi addormentati nonostante
i continui sobbalzi dei carrelli sui binari. Cosa Nostra però non aveva
lavorato da sola, era stata coinvolta, in una rete fittissima di collegamenti, anche
l’Italia della Camorra e dei gruppi neofascisti, delinquenza organizzata e
nuclei eversivi uniti per colpire al cuore lo Stato. Giuseppe Misso era l’uomo
a cui a cui la Mafia di Giuseppe Calò, il cassiere di Cosa Nostra, capo della
famiglia di Porta Nuova a Palermo e referente nella Capitale, aveva chiesto di
organizzare una “strage di Natale”. Per questo, nelle due valige lasciate sulla
griglia portabagagli non ci sono vestiti, non ci sono souvenir, non c’è qualche
prodotto tipico che dal sud qualcuno sta portando nelle regioni del nord, c’è dell’esplosivo,
potente, ad alta velocità, terribile, una somma di Semtex-H, in pani, e Brixia
B5, in cartucce. Il Semtex-H, di tipo plastico, di colore tra l’arancio e il
giallo e confezionato in pani color mattone del peso di 2,5 chilogrammi è una
delle varianti dell’esplosivo Semtex. Il suo nome sta per SEMTìn, un sobborgo
di Pardubice nella attuale Repubblica Ceca, dove il composto era stato prodotto
per la prima volta in grandi quantità dalla East Bohemian Chemical Works
Synthesia nel 1964, ed EXplosive. Progetto del chimico cecoslovacco Stanislav
Brebera era stato sintetizzato negli anni ’50. Questa variante H, prodotta su
larga scala dal 1967, destinata all’esportazione, soprattutto per la bonifica
di mine terrestri in Vietnam, era stata studiata per impieghi civili e per
l’attività estrattiva. Il Semtex-H, molto simile al plastico militare C-4 ma
con un diverso colore, è impermeabile e utilizzabile in un campo di temperature
più vasto. Esportato in tutto il mondo in grandi quantità fino al 1981 e in quantità
ridotte solo nei paesi membri del Patto di Varsavia fino al 1989 con la
sospensione delle esportazioni legali, attualmente le grosse organizzazioni
terroristiche e criminali ne controllano il traffico e la detenzione. Questo
tipo di esplosivo è il prodotto dell’unione di due elementi esplosivi primari:
40.9% in peso di Pentrite, uno degli esplosivi più sensibili potenti, un
“super-esplosivo” preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco
Bernhard Tollens; 41,2% in peso di RDX, formalmente
Ciclotrimetilenetrinitramina, di caratteristiche eccezionali scoperto e
brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e
codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition
eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD”
Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi
prodotti per la ricerca militare, e "X", la classificazione, nata
come lettera provvisoria ma rimasta definitiva; il legante gomma Stirene-Butadiene
per il 9% in peso, il plastificante n-ottilftalato al 7,9% in peso, lo 0,5% di antiossidante N-fenil-2-naftilammina
e lo 0,5% di colorante ne assicurano il riconoscimento e la malleabilità. Il
Brixia B5, di tipo Gelatina, confezionato in candelotti avvolti in carta oleata
color avana delle dimensioni di 250 millimetri di lunghezza per un diametro di
20 e contenente un peso di 135 grammi netti di sostanza esplodente, è invece un
prodotto italiano. Il nome viene dal luogo di provenienza, Brescia, in latino,
fabbricato prima del 1985 nello stabilimento di Ghedi della SEI, la Società
Esplosivi Industriali, prima che la produzione venisse spostata presso lo
stabilimento di Domusnovas, in Sardegna. Questa Gelatina è una Dinamite, un
tipo a base esplosiva ed è composta per il 92% dalla Nitroglicerina
sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla
Nitrocellulosa, il prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich
Schönbein nel 1846, e per l’8% da Nitrocellulosa. La Gelatina non è altro che
un’evoluzione della Dinamite a base attiva composta da 75% di Nitroglicerina,
25% di segatura e nitrato di sodio, a sua volta evoluzione della prima assoluta
brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867, quella a base
inerte, dove la Nitroglicerina, costituente il 75% della cartuccia, era
miscelata con un 25% di farina di roccia silicea sedimentaria di origine
organica. La carica di Semtex, esplosivo plastico ad alto potenziale tanto caro
all’IRA irlandese e ai terroristi islamici e libici, e quella di Brixia B5
tanto richiesta in Italia per utilizzo estrattivo, erano state messe assieme
per creare una carica unica del peso complessivo di 14 chilogrammi. La
pianificazione era cominciata in autunno, pezzi da novanta della Camorra e di Cosa
Nostra da anni legati a doppio filo da un decennio agli ambienti della destra neofascista
napoletana, si erano coalizzati. Misso aveva partecipato a più di una riunione
con gli uomini del referente di Roma, incontri tenuti in via delle Carrozze 76,
nell’abitazione dell'antiquario Virginio Fiorini, ma soltanto l'8 dicembre il
boss aveva svelato il piano ai più fidati del clan. Intorno al tavolo, con
Alfonso Galeota si erano seduti i manovali della banda, Giulio Pirozzi, Mario
Savarese e Antonio Criscuolo. Mario Cardone, Carlo Martello e Massimo
Abbatangelo, parlamentare della Repubblica e membro del partito Movimento
Sociale Italiano, si erano incontrati con gli altri nel negozio Eurosport in
una seconda riunione dove avevano definito i dettagli e dove l’esponente
dell’MSI aveva portato esplosivo e inneschi. Lucio Luongo, preso in consegna il
materiale, lo aveva fatto caricare nel cassone di un pullmino Fiat 238 e aveva
ordinato a Guido Pirozzi di occuparsi del trasferimento nella Capitale dove
successivamente sarebbe stata assemblata la bomba. Le operazioni di costruzione
erano avvenute in un edificio rustico di Poggio San Lorenzo di Rieti, sotto la
supervisione di Guido Cercola, romano, luogotenente e uomo di cerniera tra la
Mala Romana e Cosa Nostra. Panetti e cartucce erano stati armati da una serie
di detonatori elettrici, eredi del primo di questo tipo inventato nel 1876 da
Julius Smith, costituiti da un cilindro di alluminio contenente una piccola
quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, uno degli esplosivi più potenti,
preparata per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens,
innescato a sua volta da uno primario, l’Azoturo di Piombo, preparato dalla
Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. Complicato ed ingegnoso era
il sistema di trasmettitori a corto raggio messo a punto da un elettrotecnico tedesco,
Friedrich Schaudinn, che lo aveva progettato e venduto al factotum di Pippo
Calò, Cercola, assieme ad altri 5 identici per la cifra di 18 milioni di Lire. 49
anni, criminale di grosso calibro, trafficante d’armi ed esplosivista
mercenario al servizio di agenzie occulte, Schaudinn era chiamato non di rado a
svolgere i lavori sporchi anche di matrice terroristica. I detonatori,
collegati in serie ad una batteria e un interruttore, erano la parte finale di
una catena costituita da una prima ricevente fissata alla carica posta nel
bagaglio, da una seconda ricetrasmittente intermedia piazzata all’interno della
Galleria Appenninica, e da una terza ricetrasmittente esterna, un telecomando
procurato da Franco D’Agostino, affittuario e sodale di Cercola, consentendo
tramite un ponte radio di mettere in comunicazione la bomba nel treno in
movimento con il commando in attesa all’esterno. Sono passate da pochi secondi le
ore 19:00 e il Rapido 904, dopo aver imboccato l’ingresso dal Portale Sud in
località Vernio sta percorrendo la galleria nel ventre dell’Appennino alla velocità
costante di 150 chilometri orari. Sotto la piccola pensilina della stazione
ferroviaria di Vernio-Montepiano-Cantagallo qualcuno che ha in mano il telecomando
e il dito sul pulsante guarda l’orologio, scandisce i secondi, aspetta che il
convoglio raggiunga il centro della galleria. Ore 19:06, è il momento, il
pulsante della trasmittente viene premuto. L’impulso rimbalza sulla ricevente
all’interno del tunnel inviandolo alla ricevente sulla Carrozza numero 9 di
Seconda Classe. Il dispositivo chiude il circuito, la batteria spara la
corrente elettrica lungo i fili fino ai detonatori, la resistenza degli
artifizi primari si arroventa incendiando una miscela infiammabile che innesca
l’Azoturo di Piombo e subito la Pentrite. Il Semtex-H e il Brixia B5 detonano con
una velocità di 8.100 metri al secondo, le due valigie a contatto esplodono contemporaneamente,
il boato è gigantesco, la galleria trema. Il treno è attraversato da un’onda
d’urto violentissima, il centro del convoglio viene dilaniato, gli effetti
della detonazione della carica combinata moltiplicati dalla posizione del treno
all’interno del tunnel provocano un violento spostamento d’aria che frantuma i
finestrini e scardina le porte della carrozza. Il vagone si gonfia, le lamiere
si strappano, il tetto si piega all’indietro e i fianchi si aprono. La famiglia
De Simone viene dilaniata, i due bambini ancora addormentati non se ne
accorgono nemmeno, i loro pezzi assieme a quelli dei passeggeri seduti nei
pressi della griglia portabagagli, tra l’11esimo e il 12esimo scompartimento, schizzano
fuori dalla carrozza. Il metallo della griglia, dei sedili, delle pareti, si
spezza diventando frecce che infilzano, che squarciano, che uccidono. L'onda
d'urto, unitamente ad un muro di fuoco, costrette a sfogare verso i lati della
galleria accartocciano e sciolgono qualunque cosa trovino sul loro percorso.
Alcuni passeggeri vengono schiacciati contro le pareti dei vagoni, altri contro
il soffitto ancora imbullonato al telaio, altri ancora sono sbalzati sulle
rotaie finendo sotto le ruote del convoglio in movimento. È un massacro. Viene
attivato il freno di emergenza, finalmente il treno si blocca ad 8 chilometri dal
Portale Sud e 10 chilometri dal Portale Nord. La galleria è al buio, la linea
elettrica è interrotta e i vagoni sono avvolti da un irreale silenzio che dura
pochi secondi. Scoppia il panico, i pianti e le urla dei feriti rimbombano nel
vuoto, a bordo è un inferno di fuoco, sangue e una matassa di lamiere contorte
e roventi. Il controllore Gian Claudio Bianconcini, al suo ultimo viaggio in
servizio, chiama i soccorsi da un telefono di servizio della galleria, perde
sangue, è ferito alla nuca, le schegge non hanno risparmiato nessuno.
Dall’altro capo del telefono qualcuno risponde, Bianconcini lo supplica di fare
in fretta, un fumo nero che ha saturato l’ambiente e il gelo dell’inverno
appenninico stanno peggiorando la già difficile situazione. I feriti sono 267,
i morti invece sono 17, non resta molto dei loro corpi, i pezzi sono sparsi sul
selciato, per la sezione centrale del treno ridotta a un mucchio di metallo
senza forma e sulle pareti del tunnel. I soccorsi impiegheranno un’ora e mezza
ad arrivare, utilizzando una locomotiva diesel che renderà l’aria ancora più
irrespirabile. L’ospedale di San Benedetto e il Maggiore di Bologna, messi in
emergenza, metteranno in moto quella che sarà la prima sperimentazione del
sistema centralizzato di gestione emergenze costituito a Bologna dopo
l’attentato alla stazione ferroviaria del 1980. Nei giorni seguenti lo sgomento
andrà di pari passo con l’inquietudine, il paese sembrerà essere inghiottito,
ancora una volta, da quello stragismo che aveva fatto centinaia di morti tra il
1969 e il 1984.
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