01 marzo, 2020

Grande Galleria dell'Appennino, Rapido 904, 23 dicembre 1984


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: carica occultata
DATA:
23 dicembre 1984
STATO: Italia
LUOGO: Grande Galleria dell'Appennino, Rapido 904
MORTI:
17
FERITI:
267

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 23 dicembre 1984, è una domenica come tante, si guarda la televisione in famiglia, in città si fanno gli ultimi acquisti natalizi, una coltre di serenità copre scandali e disonori di un paese in subbuglio. Al nord, gli “anni di piombo” sono finiti, è l’epoca della “Milano da bere”. Al sud, mentre nel napoletano è esplosa l’ennesima guerra di Camorra culminata il 26 agosto nella strage di Torre Annunziata, in Sicilia l’organizzazione criminale Cosa Nostra ha deciso di alzare il tiro nei confronti degli uomini delle istituzioni. I Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gettando le basi del Maxiprocesso di Palermo, il più grande processo penale mai svolto in Italia che ha preso corpo dalle rivelazioni di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, hanno fatto tremare la mafia siciliana per le centinaia di pagine degli interrogatori del “Boss dei due mondi” e del “Coriolano della Floresta” e per il lavoro che il pool antimafia di Antonino Caponnetto, Falcone e Borsellino sta portando avanti. I due infatti sono i primi mafiosi a cominciare a collaborare con la giustizia, tanto che le rivelazioni stanno permettendo, per la prima volta, una dettagliata ricostruzione giudiziaria dell'organizzazione e della struttura della criminalità siciliana che nel frattempo si è legata ad altre organizzazioni criminali accrescendo esponenzialmente il suo potere ed espandendo i propri affari ben oltre l’isola. Associazione criminale di tipo mafioso Cosa Nostra è nata in Sicilia nel 19° secolo e si è sviluppata esponenzialmente dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Strutturata gerarchicamente, nota in tutto il mondo per gli attentati, gli omicidi esemplari e la violenza diretta contro lo Stato italiano con l’eliminazione di uomini politici, poliziotti e magistrati, mantiene il controllo su numerose attività economiche e politiche regionali ed extraregionali per mezzo di reti di fiancheggiatori e dell’inserimento di propri capitali nel settore dei pubblici appalti, della sanità e del turismo, penetrando perfino nei settori della grande distribuzione alimentare, dei mercati ortofrutticoli, nelle attività edili e in quelle di tipo economico-finanziario. L’Organizzazione è divisa in “Famiglie”, ciascuna con un capo, il “rappresentante”, eletto da tutti gli “uomini d’onore” e assistito da un vice-capo e uno o più consiglieri. Tre Famiglie, ognuna organizzata in "'decine" composte da dieci uomini d'onore, i "soldati", coordinati da un "capodecina", costituiscono un "mandamento", la zona di influenza, gestito dal “capo mandamento” anch'esso eletto e che fa parte della "Commissione Provinciale", il massimo organismo dirigente di Cosa Nostra nella provincia, organismo che prende le decisioni più importanti, risolve i contrasti tra le famiglie, espelle gli uomini inaffidabili, controlla tutti gli omicidi, inferiore in quanto a potere soltanto a quella "Regionale". Corruzione e riciclaggio sono il volano che ha permesso a Cosa Nostra di radicarsi, anno dopo anno, sempre di più nel territorio accrescendo il proprio potere in maniera spropositata. In questa fredda domenica prenatalizia c’è un treno che sta percorrendo la penisola da sud a nord, è il Rapido 904, partito dalla Stazione Centrale di Napoli e diretto a Milano. Non è un treno come gli altri, è un simbolo, un bersaglio carico di passeggeri, 614, famiglie intere che in occasione delle vacanze natalizie si stanno muovendo per tutta l'Italia. Questi, spostandosi dal Mezzogiorno per raggiungere la Lombardia, sono in viaggio accomodati negli scompartimenti del convoglio di 15 carrozze che sta percorrendo lo stesso tratto dove dieci anni prima, il 4 agosto del 1974, un altro treno, l’Italicus, era stato fatto esplodere appena fuori l’ingresso del Portale Nord in località San Benedetto Val Di Sambro della Grande Galleria dell'Appennino. Il tunnel ferroviario lungo 18 chilometri, uno dei più lunghi al mondo, si trova sulla linea ferroviaria “Direttissima” Bologna-Firenze che collega l'Emilia-Romagna con la Toscana. In Sicilia, qualche mese prima, la Commissione interprovinciale, l’organo direttivo che riunisce più vertici di Cosa Nostra, aveva dato l’ordine di distogliere l'attenzione mediatica e degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata al fine di rilanciare l'immagine del terrorismo come l'unico, reale nemico contro il quale occorre accentrare ogni impegno di lotta dello Stato. Il gesto non si è lasciato attendere. Nel tratto Roma-Firenze il Rapido 904 aveva avuto come passeggero un giovane di 18 anni, napoletano, tarchiato, si chiamava Carmine Leonardi, espressione cupa, quasi malinconica, con un viso a tratti smarrito che dimostrava ancora meno l'età che aveva. Piccolo di statura, tanto da essere soprannominato "’o Nano", era stato allevato da Giuseppe Misso, ’o Nasone, detto “il boss del Rione Sanità” e da Alfonso “Nino” Galeota, il cassiere e l’amministratore del clan Misso, sodalizio camorristico operante sul territorio della città di Napoli. Il giovane, arruolato nell'esercito fantasma della Camorra che alla Sanità ha sempre trovato fertile terreno, era cresciuto nel rigore delle regole dell’organizzazione: discrezione, fedeltà, coraggio e volontà spietata quando chiamato all'azione, qualità quest’ultima che gli aveva fatto conquistare nel tempo la fiducia dei boss. Leonardi è uno dei pochi della banda Misso che conosce gli spostamenti del capo latitante, lo raggiunge di tanto in tanto per portargli informazioni, riceve ordini e gli consegna gli abiti lavati di fresco nell'appartamento romano di via Corradini 61 dove il boss vive da latitante in compagnia di un'amica brasiliana. Ma il viaggio di oggi non sarebbe stato il solito "salto" nella Capitale. Raggiunto da Galeota a Napoli nel negozio di articoli sportivi "Eurosport" di proprietà di Misso dove lavora come commesso, gli era stato ordinato di prendere il Rapido delle ore 12:55 per Roma dove una volta alla Stazione Termini avrebbe incontrato lo stesso Misso. Dopo essere stato accompagnato alla Stazione Centrale in moto dal 26enne Lucio Luongo, uno degli operativi più spietati del clan, aveva preso posto in una delle poltrone del Rapido 904 unendosi ai tanti passeggeri che affollano treni e stazioni ferroviarie in questa antivigilia di Natale. Come da programma, senza fare domande in stazione aveva preso in consegna due valige, bagagli che con l’arrivo del "Napoli-Milano" alla stazione di Santa Maria Novella di Firenze alle ore 18:23, aveva trasportato nella quintultima carrozza del convoglio, la numero 9 di Seconda Classe, sistemandoli sulla griglia portabagagli del corridoio tra l’11esimo e il 12esimo scompartimento, a pochi centimetri da una famiglia di quattro persone: Nicola De Simone, 40 anni e Angela Calvanese, 33 anni, sua moglie, in viaggio coi due figli, Anna di 9 anni, stretta alla sua inseparabile bambola, e Giovanni di 4, entrambi addormentati nonostante i continui sobbalzi dei carrelli sui binari. Cosa Nostra però non aveva lavorato da sola, era stata coinvolta, in una rete fittissima di collegamenti, anche l’Italia della Camorra e dei gruppi neofascisti, delinquenza organizzata e nuclei eversivi uniti per colpire al cuore lo Stato. Giuseppe Misso era l’uomo a cui a cui la Mafia di Giuseppe Calò, il cassiere di Cosa Nostra, capo della famiglia di Porta Nuova a Palermo e referente nella Capitale, aveva chiesto di organizzare una “strage di Natale”. Per questo, nelle due valige lasciate sulla griglia portabagagli non ci sono vestiti, non ci sono souvenir, non c’è qualche prodotto tipico che dal sud qualcuno sta portando nelle regioni del nord, c’è dell’esplosivo, potente, ad alta velocità, terribile, una somma di Semtex-H, in pani, e Brixia B5, in cartucce. Il Semtex-H, di tipo plastico, di colore tra l’arancio e il giallo e confezionato in pani color mattone del peso di 2,5 chilogrammi è una delle varianti dell’esplosivo Semtex. Il suo nome sta per SEMTìn, un sobborgo di Pardubice nella attuale Repubblica Ceca, dove il composto era stato prodotto per la prima volta in grandi quantità dalla East Bohemian Chemical Works Synthesia nel 1964, ed EXplosive. Progetto del chimico cecoslovacco Stanislav Brebera era stato sintetizzato negli anni ’50. Questa variante H, prodotta su larga scala dal 1967, destinata all’esportazione, soprattutto per la bonifica di mine terrestri in Vietnam, era stata studiata per impieghi civili e per l’attività estrattiva. Il Semtex-H, molto simile al plastico militare C-4 ma con un diverso colore, è impermeabile e utilizzabile in un campo di temperature più vasto. Esportato in tutto il mondo in grandi quantità fino al 1981 e in quantità ridotte solo nei paesi membri del Patto di Varsavia fino al 1989 con la sospensione delle esportazioni legali, attualmente le grosse organizzazioni terroristiche e criminali ne controllano il traffico e la detenzione. Questo tipo di esplosivo è il prodotto dell’unione di due elementi esplosivi primari: 40.9% in peso di Pentrite, uno degli esplosivi più sensibili potenti, un “super-esplosivo” preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens; 41,2% in peso di RDX, formalmente Ciclotrimetilenetrinitramina, di caratteristiche eccezionali scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD” Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, e "X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva; il legante gomma Stirene-Butadiene per il 9% in peso, il plastificante n-ottilftalato al 7,9% in peso, lo 0,5% di antiossidante N-fenil-2-naftilammina e lo 0,5% di colorante ne assicurano il riconoscimento e la malleabilità. Il Brixia B5, di tipo Gelatina, confezionato in candelotti avvolti in carta oleata color avana delle dimensioni di 250 millimetri di lunghezza per un diametro di 20 e contenente un peso di 135 grammi netti di sostanza esplodente, è invece un prodotto italiano. Il nome viene dal luogo di provenienza, Brescia, in latino, fabbricato prima del 1985 nello stabilimento di Ghedi della SEI, la Società Esplosivi Industriali, prima che la produzione venisse spostata presso lo stabilimento di Domusnovas, in Sardegna. Questa Gelatina è una Dinamite, un tipo a base esplosiva ed è composta per il 92% dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, il prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, e per l’8% da Nitrocellulosa. La Gelatina non è altro che un’evoluzione della Dinamite a base attiva composta da 75% di Nitroglicerina, 25% di segatura e nitrato di sodio, a sua volta evoluzione della prima assoluta brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867, quella a base inerte, dove la Nitroglicerina, costituente il 75% della cartuccia, era miscelata con un 25% di farina di roccia silicea sedimentaria di origine organica. La carica di Semtex, esplosivo plastico ad alto potenziale tanto caro all’IRA irlandese e ai terroristi islamici e libici, e quella di Brixia B5 tanto richiesta in Italia per utilizzo estrattivo, erano state messe assieme per creare una carica unica del peso complessivo di 14 chilogrammi. La pianificazione era cominciata in autunno, pezzi da novanta della Camorra e di Cosa Nostra da anni legati a doppio filo da un decennio agli ambienti della destra neofascista napoletana, si erano coalizzati. Misso aveva partecipato a più di una riunione con gli uomini del referente di Roma, incontri tenuti in via delle Carrozze 76, nell’abitazione dell'antiquario Virginio Fiorini, ma soltanto l'8 dicembre il boss aveva svelato il piano ai più fidati del clan. Intorno al tavolo, con Alfonso Galeota si erano seduti i manovali della banda, Giulio Pirozzi, Mario Savarese e Antonio Criscuolo. Mario Cardone, Carlo Martello e Massimo Abbatangelo, parlamentare della Repubblica e membro del partito Movimento Sociale Italiano, si erano incontrati con gli altri nel negozio Eurosport in una seconda riunione dove avevano definito i dettagli e dove l’esponente dell’MSI aveva portato esplosivo e inneschi. Lucio Luongo, preso in consegna il materiale, lo aveva fatto caricare nel cassone di un pullmino Fiat 238 e aveva ordinato a Guido Pirozzi di occuparsi del trasferimento nella Capitale dove successivamente sarebbe stata assemblata la bomba. Le operazioni di costruzione erano avvenute in un edificio rustico di Poggio San Lorenzo di Rieti, sotto la supervisione di Guido Cercola, romano, luogotenente e uomo di cerniera tra la Mala Romana e Cosa Nostra. Panetti e cartucce erano stati armati da una serie di detonatori elettrici, eredi del primo di questo tipo inventato nel 1876 da Julius Smith, costituiti da un cilindro di alluminio contenente una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, uno degli esplosivi più potenti, preparata per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, innescato a sua volta da uno primario, l’Azoturo di Piombo, preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. Complicato ed ingegnoso era il sistema di trasmettitori a corto raggio messo a punto da un elettrotecnico tedesco, Friedrich Schaudinn, che lo aveva progettato e venduto al factotum di Pippo Calò, Cercola, assieme ad altri 5 identici per la cifra di 18 milioni di Lire. 49 anni, criminale di grosso calibro, trafficante d’armi ed esplosivista mercenario al servizio di agenzie occulte, Schaudinn era chiamato non di rado a svolgere i lavori sporchi anche di matrice terroristica. I detonatori, collegati in serie ad una batteria e un interruttore, erano la parte finale di una catena costituita da una prima ricevente fissata alla carica posta nel bagaglio, da una seconda ricetrasmittente intermedia piazzata all’interno della Galleria Appenninica, e da una terza ricetrasmittente esterna, un telecomando procurato da Franco D’Agostino, affittuario e sodale di Cercola, consentendo tramite un ponte radio di mettere in comunicazione la bomba nel treno in movimento con il commando in attesa all’esterno. Sono passate da pochi secondi le ore 19:00 e il Rapido 904, dopo aver imboccato l’ingresso dal Portale Sud in località Vernio sta percorrendo la galleria nel ventre dell’Appennino alla velocità costante di 150 chilometri orari. Sotto la piccola pensilina della stazione ferroviaria di Vernio-Montepiano-Cantagallo qualcuno che ha in mano il telecomando e il dito sul pulsante guarda l’orologio, scandisce i secondi, aspetta che il convoglio raggiunga il centro della galleria. Ore 19:06, è il momento, il pulsante della trasmittente viene premuto. L’impulso rimbalza sulla ricevente all’interno del tunnel inviandolo alla ricevente sulla Carrozza numero 9 di Seconda Classe. Il dispositivo chiude il circuito, la batteria spara la corrente elettrica lungo i fili fino ai detonatori, la resistenza degli artifizi primari si arroventa incendiando una miscela infiammabile che innesca l’Azoturo di Piombo e subito la Pentrite. Il Semtex-H e il Brixia B5 detonano con una velocità di 8.100 metri al secondo, le due valigie a contatto esplodono contemporaneamente, il boato è gigantesco, la galleria trema. Il treno è attraversato da un’onda d’urto violentissima, il centro del convoglio viene dilaniato, gli effetti della detonazione della carica combinata moltiplicati dalla posizione del treno all’interno del tunnel provocano un violento spostamento d’aria che frantuma i finestrini e scardina le porte della carrozza. Il vagone si gonfia, le lamiere si strappano, il tetto si piega all’indietro e i fianchi si aprono. La famiglia De Simone viene dilaniata, i due bambini ancora addormentati non se ne accorgono nemmeno, i loro pezzi assieme a quelli dei passeggeri seduti nei pressi della griglia portabagagli, tra l’11esimo e il 12esimo scompartimento, schizzano fuori dalla carrozza. Il metallo della griglia, dei sedili, delle pareti, si spezza diventando frecce che infilzano, che squarciano, che uccidono. L'onda d'urto, unitamente ad un muro di fuoco, costrette a sfogare verso i lati della galleria accartocciano e sciolgono qualunque cosa trovino sul loro percorso. Alcuni passeggeri vengono schiacciati contro le pareti dei vagoni, altri contro il soffitto ancora imbullonato al telaio, altri ancora sono sbalzati sulle rotaie finendo sotto le ruote del convoglio in movimento. È un massacro. Viene attivato il freno di emergenza, finalmente il treno si blocca ad 8 chilometri dal Portale Sud e 10 chilometri dal Portale Nord. La galleria è al buio, la linea elettrica è interrotta e i vagoni sono avvolti da un irreale silenzio che dura pochi secondi. Scoppia il panico, i pianti e le urla dei feriti rimbombano nel vuoto, a bordo è un inferno di fuoco, sangue e una matassa di lamiere contorte e roventi. Il controllore Gian Claudio Bianconcini, al suo ultimo viaggio in servizio, chiama i soccorsi da un telefono di servizio della galleria, perde sangue, è ferito alla nuca, le schegge non hanno risparmiato nessuno. Dall’altro capo del telefono qualcuno risponde, Bianconcini lo supplica di fare in fretta, un fumo nero che ha saturato l’ambiente e il gelo dell’inverno appenninico stanno peggiorando la già difficile situazione. I feriti sono 267, i morti invece sono 17, non resta molto dei loro corpi, i pezzi sono sparsi sul selciato, per la sezione centrale del treno ridotta a un mucchio di metallo senza forma e sulle pareti del tunnel. I soccorsi impiegheranno un’ora e mezza ad arrivare, utilizzando una locomotiva diesel che renderà l’aria ancora più irrespirabile. L’ospedale di San Benedetto e il Maggiore di Bologna, messi in emergenza, metteranno in moto quella che sarà la prima sperimentazione del sistema centralizzato di gestione emergenze costituito a Bologna dopo l’attentato alla stazione ferroviaria del 1980. Nei giorni seguenti lo sgomento andrà di pari passo con l’inquietudine, il paese sembrerà essere inghiottito, ancora una volta, da quello stragismo che aveva fatto centinaia di morti tra il 1969 e il 1984.

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