01 luglio, 2020

Dar es Salaam, Ambasciata USA, 7 agosto 1998


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: camion-bomba suicida
DATA:
7 agosto 1998
STATO: Tanzania
LUOGO: Dar es Salaam, Ambasciata Stati Uniti d’America
MORTI:
11
FERITI:
85

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 7 agosto 1998, è una bella giornata a Dar es Salaam, calda e soleggiata, ma a qualche centinaio di metri dall’Ambasciata degli Stati Uniti d’America c’è un camion con una persona a bordo che si sta dirigendo verso l’entrata principale. Tre mesi prima Khalfan Khamis Mohamed, 24 anni, tanzaniano, addestrato in Afghanistan, si era occupato di prendere in affitto una villa nel quartiere Illala di questa città con più di 4 milioni di persone, la più grande della Tanzania, principale polo economico e il primo porto del paese, a circa 6 chilometri dall’ambasciata degli Stati Uniti d’America. Aveva scelto questa casa perché isolata e circondata da muri alti che rendevano quasi impossibile per i passanti osservare le attività dentro e intorno alla struttura. Inoltre, il vialetto era abbastanza grande da contenere un camion di medie dimensioni e il garage abbastanza spazioso da permettere l’immagazzinamento di materiali, macchinari ingombranti e la costruzione di una grossa bomba. Per lo stesso motivo, Fazul Abdullah Mohammed, 29 anni, nato nelle Isole Comore al largo della costa orientale dell'Africa, si era occupato di prendere in affitto una villa simile in un quartiere residenziale di lusso fuori dal centro di Nairobi, Capitale del Kenya con 4 milioni e mezzo di persone e situata nella parte sudoccidentale del paese. I due fanno parte di una cellula terroristica di al-Qaida, movimento fondamentalista islamista sunnita paramilitare terroristico nato nel 1988 durante la Guerra in Afghanistan e guidato dal miliardario saudita Osāma bin Lāden, 17esimo dei 57 figli dell’immobiliarista yemenita Mohammed bin Awad bin Lāden, che avvalso della guida ideologica di Ayman al-Zawāhirī, scrittore, poeta e medico de Il Cairo appartenente ad una famiglia di dotti religiosi e di magistrati, aveva deciso di utilizzare soldi e macchinari della propria impresa di costruzioni per aiutare la resistenza dei mujaheddin durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Fa parte della stessa organizzazione anche Ahmed Salim Swedan, lui ha 27 anni, è nato a Mombasa, in Kenya, dove ha gestito un'attività di autotrasporti. Aveva acquistato due camion per il trasporto delle due grosse bombe da utilizzare contro due importanti obiettivi in un attacco coordinato e parallelo: un Toyota Dyna di colore beige destinato all’Ambasciata americana a Nairobi, e un camion frigorifero Nissan Atlas del 1987 destinato all’Ambasciata americana a Dar es Salaam. Fahid Mohammed Ally Msalam, 22enne keniota, aveva portato il Nissan alla villa di Dar es Salaam, del Toyota invece se ne era occupato Ahmed Salim Swedan che lo aveva portato a quella di Nairobi. Mohammed Atef, capo militare di al-Qaida e uomo di fiducia di Osāma bin Lāden, ingegnere agrario, ex ufficiale di polizia ed ex pilota dell’aeronautica militare egiziana, aveva inviato alla cellula uno specialista di esplosivi, il migliore fabbricatore di bombe, Mohammed Saddiq Odeh, 33 anni, ingegnere con cittadinanza keniota e giordana congiunta. Arrivato a Dar es Salaam, per prima cosa aveva fatto saldare tra loro delle barre metalliche a formare una gabbia che era servita da involucro per la carica di esplosivo. Nel frattempo, un fuoristrada Suzuki Samurai bianco acquistato per l’occasione da Fahid Mohammed Ally Msalam aveva fatto da vettore per il trasporto alla villa dei vari componenti recuperati da Ahmed Khalfan Ghailani, 24 anni, tanzaniano, predicatore itinerante musulmano, che li aveva nascosti in sacchi di riso caricati nel cassone. Abdullah Ahmed Abdullah, 35 anni, egiziano, probabilmente il pianificatore operativo più esperto di al-Qaeda, aveva preso il comando delle operazioni occupandosi di pianificare l’attacco alle due città. Esperto di esplosivi e tattiche di guerriglia, aveva gestito i campi di addestramento di al-Qaida in Afghanistan per tre anni ed era l’unico ad avere l’incarico e il privilegio di comunicare personalmente con Osāma bin Lāden inviando periodicamente dei rapporti scritti sui progressi fatti. Abu Anas Al-Liby, libico 34enne specialista informatico di al-Qaida, era invece l’incaricato alla sorveglianza e ai rilievi fotografici degli obiettivi. Mohammed Saddiq Odeh, lo specialista, aveva deciso di assemblare una carica da 240 chilogrammi di Amatolo alluminizzato. L’Amatolo era di tipo 60/40, una miscela esplosiva creata durante la Prima Guerra Mondiale dalle forze armate britanniche costituita da 60% in peso di Nitrato d'Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, e 40% in peso di Trinitrotoluene, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand. Con Muhsin Musa Matwalli Atwah, 34 anni, egiziano, uno dei maggiori esperti di esplosivi che al-Qaida aveva a disposizione, avevano fuso il Trinitrotoluene a circa 100 gradi centigradi e aggiunto il fertilizzante in polvere preriscaldato. Una volta lasciato raffreddare avevano inserito nella miscela la polvere d’alluminio con dimensioni micrometriche che aveva aumentato del 15% la potenza esplosiva del composto. Assieme a Mustafa Mohamed Fadhil, 22 anni, con cittadinanza keniota ed egiziano, avevano poi pressato il composto in 500 involucri cilindrici delle dimensioni di lattine di Coca Cola poi collegati tra loro con un circuito ridondante di miccia detonante, un cordone esplosivo diretto discendente di quello messo a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914, con l’anima interna in Pentrite, uno degli esplosivi più potenti, preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens. Questo accorgimento era stato adottato per assicurare una detonazione uniforme degli involucri in modo da non avere interruzioni nel passaggio dell’onda esplosiva da un panetto all’altro. I 500 cilindri erano stati poi confezionati in 6 casse di legno da 40 chilogrammi l’una appositamente progettate, sigillate e caricate sul camion. Una volta fissate alla gabbia metallica saldata al vano di carico, Ahmed Mohammed Hamed Ali, 33 anni, Ibrahim Hussein Abdel Hadi Eidarous, 41 anni, entrambi egiziani, e Khalid Abdulrahman al-Fawwaz, 36 anni, saudita avevano aiutato a completare la carica, armando ogni cassa con una rete di detonatori elettrici, artifizi esplosivi primari, versioni moderne di quello inventato nel 1876 da Julius Smith, e costituiti da un cilindro di alluminio riempito con una miscela incendiaria, una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, innescato a sua volta da pochissimo esplosivo primario, l’Azoturo di Piombo, il preparato della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890, sensibile ad urti e calore. Questa carica, a differenza di quella che parallelamente avevano assemblato a Nairobi, era solo una parte, una carica primaria. Khalfan Khamis Mohamed e Fahid Mohammed Ally Msalam le avevano piazzato accanto 15 bombole di acetilene ad 14 litri avvolgendo il tutto con 4 sacchi di Nitrato d’Ammonio da 23 chilogrammi l’uno, questo per creare un iniziale effetto di tipo “fuel-air” simile come concetto alla “vacuum bomb”, comunemente detta bomba termobarica. Una volta esploso, durante la fase iniziale, l'ordigno avrebbe disperso tutto intorno la quantità di idrocarburi che si sarebbero miscelati con l'aria presente che nella seconda fase, una frazione di secondo dopo, avrebbe preso fuoco innescata dalla carica principale consumando l'ossigeno presente nell'area colpita e col risultato finale di creare una depressione molto forte ed una violenta corrente d'aria diretta verso il centro della depressione stessa, un effetto aggiunto alla già demolitrice carica principale. Alcuni sacchi di sabbia erano poi stati posizionati come intasamento direzionale in modo da indirizzare l’onda esplosiva lateralmente. Completata la carica, il 4 agosto, dai detonatori nastrati con cura alla miccia detonante e collegati in un circuito in serie-parallelo, avevano fatto partire un lungo cavo che fissato prima alla gabbia e poi alla carrozzeria del camion, era stato collegato ad un set di batterie posizionate nel retro della cabina e fatto arrivare, seguendo gli incavi delle lamiere, al posto di guida passando sotto il sedile fino ad arrivare sul lato anteriore. Qui era stato assemblato il meccanismo di accensione, un interruttore a pressione nastrato sotto il cruscotto. La bomba era completa, ingegneristicamente bella quanto terribile, più potente di quella costruita in parallelo nel garage a Nairobi, questo dovuto alla posizione isolata dell’Ambasciata americana localizzata fuori dal centro cittadino sulla Bagamoyo Road in un terreno privo di strutture rilevanti nelle immediate vicinanze. Mohammed Saddiq Odeh e Muhsin Musa Matwalli Atwah si erano occupati il 5 agosto degli ultimi sopralluoghi per discutere ed eventualmente modificare l’itinerario. Tutto era pronto, non si poteva più rimandare. Da Dar es Salaam, così come da Nairobi, città “fedeli” agli americani, gli Stati Uniti avevano gestito molte delle crisi africane, dalla Guerra civile in Somalia del 1992 al genocidio del Ruanda del 1994. Questo attacco avrebbe dimostrato che chiunque si fosse avvicinato all’America ne avrebbe pagato le conseguenze col sangue. La mattina del 7 agosto il Nissan Atlas dell’”Operazione al-Aqsa a Gerusalemme” sta procedendo lungo la strada, è a pochi isolati dall’Ambasciata, sono le ore 10:38, è l’ottavo anniversario dell’arrivo delle truppe statunitensi in Arabia Saudita durante la prima Guerra del Golfo Persico. Al volante c’è Hamden Khalif Allah Awad, ha 28 anni ed è egiziano, si era preparato per settimane al martirio, è solo, è teso, è un grande giorno questo. In quattro minuti attraversa il quartiere di lusso di Oyster-bay, raggiunge l’edificio di tre piani, deve fermarsi davanti, esattamente sotto il prospetto anteriore, ma parcheggiato c’è un camion-cisterna per il trasporto dell’acqua, è di intralcio, il Nissan Atlas non può avvicinarsi di più. Non c’è tempo da perdere, è il momento, nel vano di carico c’è abbastanza esplosivo da danneggiare l’Ambasciata in maniera seria. Hamden Khalif Allah Awad si abbassa sul cruscotto, mette la mano sul comando di accensione, prega. Sono le ore 10:42, il pulsante viene premuto e il circuito viene chiuso. Le batterie posizionate nel retro della cabina scaricano la corrente sui detonatori dove il ponticello all’interno si arroventa accendendo l’Azoturo di Piombo che detona innescando la Pentrite. La miccia detonante nastrata ad essi esplode e con essa i cilindri di Amatolo, il Nitrato d’Ammonio e l’acetilene. Con una velocità di 5.500 metri al secondo il Nissan Atlas salta in aria con una furia impressionante, il quartiere viene sconvolto, i vetri scoppiano in un raggio di 850 metri, l’aria viene risucchiata in una sfera di fuoco di 5.000 gradi centigradi, il camion per il trasporto dell’acqua viene sollevato e letteralmente lanciato contro i pannelli in calcestruzzo armato, le piante si incendiano, la recinzione si piega. La porzione ad angolo e la postazione di guardia dell’Ambasciata americana vengono disintegrate, chi si trovava all’esterno è sparito. All’interno, nei corridoi le porte si spalancano strappandosi dalle cerniere, i solai si fessurano, i muri si aprono, gli arredi volano e con loro gli impiegati. Dopo aver impattato contro la facciata, il muro d’aria prosegue raggiungendo l’Ambasciata di Francia e le sedi diplomatiche di Nigeria e Germania accartocciando nel tragitto 28 auto trasformandole in proiettili infuocati. Il terriccio si mischia al fumo, il calore li spinge in cielo formando un fungo alto 150 metri. I Marines ci mettono poco meno di 5 minuti ad arrivare, è ancora tutto incandescente, il calore è insopportabile, ma la struttura viene circondata. Il quartiere sembra una zona di guerra, tutto brucia e ci sono macerie ovunque, la polvere non si è ancora depositata ma si iniziano a scorgere i primi cadaveri. C’è sangue, parti umane ancora fumanti, qualche brandello d’abito e delle scarpe, 11 persone sono state ridotte in pezzi, in 85 sono a terra, alcuni cercano di capire cosa sia successo, sono sotto shock, non urlano, non piangono, sono immobili. Il terreno è disseminato di vetro e ferro, in lontananza si iniziano a sentire le sirene. Residenti, lavoratori, semplici curiosi, accorrono davanti alla postazione di guardia per dare una mano, il calore è ancora tanto, si avvicinano e si ustionano, c’è chi si chiede il perché di questa cattiveria, chi impreca, ciò che si trovano sotto i piedi è da film dell’orrore, è una macelleria. A 800 chilometri di distanza anche il camion a Nairobi è esploso, anche lì tanti morti, anche lì il caos. Questo attacco coordinato ha appena portato, per la prima volta, all'attenzione dell'opinione pubblica Osāma bin Lāden, Ayman al-Zawāhirīe e al-Qaida, segnando il passaggio del gruppo terroristico ad una nuova forma di lotta atta a colpire direttamente gli Stati Uniti d’America e che culminerà nell’attentato al World Trade Center di New York dell’11 settembre 2001.

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