TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: carica occultata
DATA: 13 settembre 1931
STATO: Ungheria
LUOGO: Biatorbágy, Viadotto
ferroviario
MORTI: 22
FERITI: 17
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
È la notte tra il 12 e il 13 settembre 1931, è passata da pochi minuti
la mezzanotte e sul viadotto ferroviario di Biatorbágy sta per transitare un
treno, uno dei tanti che utilizzano la linea non ancora elettrificata Budapest-Hegyeshalom-Rajka
che prosegue fino a Vienna. La struttura è un massiccio doppio ponte
ferroviario che si erge nella contea di Pest, città di provincia dell’Ungheria
settentrionale. Costruito su una sezione della linea di Hegyeshalom dopo la
decisione di farla passare attraverso gli insediamenti di Bia e Torbágy, il
primo ponte ha lo stesso anno di nascita della linea a due binari, a cavallo
tra il 1883 e il 1884. Progettato per essere un’elegante struttura in ferro a
doppia trave della larghezza di 2 metri per 40,5 di lunghezza con singolo
pilone intermedio, due teste di ponte voltate alte 10 metri con fondazioni su
pali, muri di contenimento in calcestruzzo armato abbellite da un rivestimento
in pietra naturale, era stato rinforzato nel 1903 a causa dell’insoddisfacente capacità
portante. Le opere di rinforzo avevano completato le modifiche iniziate nel
1898 consegnate dalla Màvag, la Magyar Királyi Államvasutak Gépgyára, la più
grande ditta produttrice di veicoli ferroviari e infrastrutture, di proprietà
del Regno d’Ungheria, il 20 dicembre 1898 con la costruzione del secondo
viadotto parallelo, la posa del binario di sinistra e l’apertura della doppia
linea. Questa notte, su questi binari, appena prima dell’ingresso del viadotto
c’è una bomba. È piccola, artigianale, ma la sua posizione e la sua
conformazione la rendono letale. Si tratta di una carica allungata del peso di
2 chilogrammi parzialmente interrata. All’esterno, accanto alla rotaia c’è il
sistema di innesco con attivazione elettrica a contatto, un dispositivo alimentato
da due pile per torce accoppiate. Per la carica, costituita da una serie di
candelotti infilati in un tubo del gas lungo 2 metri e largo 10 centimetri, è stata
utilizzata l’Ecrasite, una miscela di sicurezza inventata da due ingegneri
austriaci, Kubin e Siersch, impiegati come chimici del Dinamitificio Nobel.
Brevettato in gran segreto nel 1888 e utilizzato già nell’anno successivo dall’Impero
Austo-Ungarico per caricare, tramite incorporazione per fusione a 100 gradi
centigradi a bagnomaria, i proiettili di artiglieria, bombe a mano, torpedini e
cariche di rinforzo per detonatori, è un potente composto detonante che si
presenta a piccole scaglie di colore giallo brillante ceroso al tatto. È
costituito da sali di ammonio di cresolo, fenolo, trinitrocresolo e Acido
Picrico, il composto organico scoperto dal chimico tedesco Johann Rudolph
Glauber nel 1742, finito di sintetizzare correttamente nel 1841
e scoperto come esplosivo nel 1873 dal chimico anglo-tedesco Hermann Sprengel.
Incongelabile, affidabile, ad altissimo potere frammentante e lacerante, questa
versione confezionata in cartucce per lavori di scavo sensibile agli urti ma
che necessita di un forte avvio per attivarsi è armata da un detonatore
elettrico, il congegno inventato nel 1876 da Julius Smith. È costituito da un
cilindretto d’alluminio riempito di Fulminato di Mercurio, un esplosivo
primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo
e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, innescato
da una resistenza annegata in una miscela incendiaria. La bomba, fissata dalla
parte interna della rotaia con dei cavi di rame, è collegata ad una sere di
batterie e ad un meccanismo di innesco a pressione da lui progettato e in modo
da essere avviato esclusivamente da un convoglio in movimento. Szilveszter
Matuska non è nuovo a questo genere di attentati e il prototipo di questo
meccanismo è già stato testato con successo. Sulla sua testa pende una taglia
di 100 mila Reichsmark per il deragliamento del treno espresso Berlino-Basilea
dell’8 agosto sulla linea a sud di Berlino con 118 feriti. Nato a Csantavér, in
Serbia, il 29 gennaio del 1892, da bambino era cresciuto in una famiglia
cattolica che avrebbe voluto diventasse un prete. Dopo scarsi risultati nello
studio nel 1913 si era arruolato volontario nel 6° Reggimento di Subotica, una città
della parte settentrionale della Vojvodina, nel distretto
settentrionale di Bačka, a 10 chilometri dal confine meridionale dell’Ungheria,
rendendosi protagonista nella Grande Guerra rimanendo ferito e guadagnandosi
una decorazione e una seria di promozioni che lo avevano proiettato da Primo
Guardiamarina a Comandante della Scuola dei Luogotenenti fino a Vice Comandante
della Scuola Ufficiali. Sposato, Comandante del suo squadrone e medagliato in
argento e bronzo al valor militare, si era congedato iniziando una carriera di
insegnante assieme ad Irén Dér, sua moglie, alla scuola di Csantavér,
impegnandosi parallelamente in attività commerciali, import di sale, cherosene,
zucchero, fiammiferi e vernici provenienti da Novi Sad, Subotica, Belgrado e
dalla Bulgaria. Prima di fermarsi definitivamente in Austria prendendo casa a
Vienna nel 1929, aveva passato un periodo in Ungheria subito dopo la nascita
della figlia Gabriella, dove a Budapest aveva aperto in comproprietà con la
moglie una rivendita di alcolici e spezie entrando anche come socio
maggioritario nella società Házkezelő RT specializzata nel commercio di legname
e di carbone. Dinamitardo nonché inventore di grande talento, per questo
attentato è stato ingaggiato dal Ministro della Difesa Gyula Gömbös, già
oppositore della dinastia Asburgo e fautore dell'indipendenza del suo Paese.
Gömbös, in seguito alla sconfitta dell'Austria-Ungheria e allo smembramento
dell'impero, si è unito alle forze conservatrici presenti nel governo di Seghedino
opponendosi ai comunisti guidati dal politico comunista Bèla Kun al potere dal
1919 e proclamando la Repubblica Sovietica Ungherese. La bomba, necessaria al
Ministro della Difesa e al suo alleato, l’Ammiraglio Miklòs Horthy, reggente
d’Ungheria dal 1920, sarà sufficiente a dichiarare uno stato di emergenza che
andrà a rafforzare le loro posizioni di potere. Sono le ore 00:09, i binari
iniziano a vibrare, il Vienna Express, un treno di 11 carrozze partito dalla
Stazione Ferroviaria Orientale alle ore 23:30 sta arrivando a tutta velocità con
a bordo 105 passeggeri e 10 membri d’equipaggio. Nella cabina della locomotiva
a vapore Màv serie 301.001, una delle più potenti e belle mai costruite,
assemblata nel 1911 negli stabilimenti della Màvag, il macchinista Alajos
Morvay e il caldaista Ferenc Nemes stanno erogando coi quattro cilindri una
potenza di 1.030 cavalli, per un ritardo del treno merci che avrebbe dovuto
precederli sono passati davanti anticipandolo sulla linea di 15 minuti. Lunga
13,80 metri, alta 4,65, larga 2,95, pesante 84,66 tonnellate e in grado di
sviluppare una potenza massima di 1.985 cavalli a 97 chilometri orari, la
motrice si sta immettendo sul rettilineo con 820 tonnellate di vagoni in ferro
e legno alla velocità di 60 chilometri orari. Questo anticipo, che per i
macchinisti è un colpo di fortuna, in realtà non lo è affatto. Il treno
passeggeri è condannato. Matuska, che osserva tutto da lontano, ha un freddo
brivido che gli percorre la schiena nel vedere che quello che sta arrivando a
tutta velocità non è il treno merci. Sono le ore 00:12, il convoglio arriva al
viadotto. La locomotiva imboccando il rettilineo urta il meccanismo di
accensione, due aste di legno a cui sono avvolti dei fili di rame, con una legata
ad una rotaia e l’altra staccata con una pietra dalla prima a formare un angolo
di 45 gradi. Le tavole si scontrano facendo entrare in contatto i fili di rame
chiudendo il circuito. Dalle batterie viene irrorata la corrente elettrica che
in un attimo raggiunge il detonatore entrando nel cilindro fino alla resistenza
immersa nella miscela infiammabile che si arroventa. Il ponticello si incendia.
Il Fulminato di Mercurio si innesca, la carica principale si avvia. L’Ecrasite
interrata alla testa del viadotto detona tra la seconda e la terza carrozza che
vengono letteralmente sollevate dalle rotaie. 7 metri di binario si spezzano in
11 frammenti sparati per 274 metri dividendo il convoglio in due tronconi. Mentre
il carrello del primo vagone del troncone di coda si inchioda sul selciato, la
locomotiva, ancora a piena potenza continua sui binari attraversando il
viadotto e inclinandosi su un lato assieme a 5 carrozze passeggeri e un vagone
letto. I macchinisti mettono la mano sulla maniglia del freno tirando con tutta
la forza ma non ce la fanno, i carrelli cedono, dopo quattro secondi il
troncone si rovescia sulla balaustra che non oppone alcuna resistenza. Il treno
precipita per 26 metri schiantandosi al suolo, il tender con la carboniera si
accartoccia rovesciando 8 tonnellate di carbone che liberano in aria una polvere
talmente fitta da riempire l’aria circostante mentre il cilindro della caldaia si
apre all’impatto col terreno. Il muro di vapore ad alta pressione generato dai
26 metri cubi di acqua contenuti all’interno scoperchia il forno che accende il
carbone. L’aria si incendia, la rapida combustione produce uno spostamento
dell'aria circostante ad una velocità elevatissima. Una sfera di fuoco
inghiotte le carrozze, i 2 macchinisti muoiono sul colpo, fatti a pezzi dal
ferro della locomotiva che si ripiega su sé stesso mentre vengono inceneriti
dal fuoco. Una palla rossa si alza in cielo illuminando a giorno la campagna per
una manciata di secondi. Sotto di essa, i vagoni si accartocciano sul
terrapieno schiacciando i passeggeri tra le lamiere trasformate in pesanti presse
affilate che trapassano e appiattiscono i corpi in una morte orrenda. Alla
testa del viadotto, le altre carrozze sono intatte, immobili, arrestate dalla
voragine che ha diviso il treno. In fondo al burrone, pianti e urla di fanno
eco nella valle, dilaniati tra le carcasse ci sono 22 corpi senza vita, senza un
volto, senza una forma, smembrati dal peso dei vagoni schiacciati sul terreno.
Accanto a loro, qualche sopravvissuto cerca di uscire dalla matassa di ferro, di
fuggire nel buio da questo inferno di carcasse roventi. Sono in 17, sono feriti,
molti in maniera grave, cercano di aiutarsi a vicenda. In alto, nel silenzio
sgomento dei passeggeri sorpresi nel sonno dal violento arresto che ancora non
si capacitano dell’accaduto, Matuska, fingendo di essere un passeggero si trova
proprio accanto a loro. Poco più avanti ha lasciato una lettera inchiodata ad
un palo. "Lavoratori, per voi che non avete diritti agiremo contro i
capitalisti". A causa di queste parole, dirottando i sospetti sui
comunisti, la furia del paese si accanirà sui del KMP illegale, il Kommunisták
Magyarországi Pártja, il partito comunista ungherese. Nel luglio del prossimo
anno verranno fermati Imre Sallai, membro della National Association of Financial
Institution Officials, e Sándor Fürst, funzionario presso la fabbrica
Ruggyanta di Budapest e membro dell'Associazione ungherese dei funzionari
privati. Arrestati, giudicati colpevoli e condannati a morte, verranno
giustiziati qualche mese più tardi. Matuska, soddisfatto del suo lavoro,
cammina per tutta la lunghezza di ciò che rimane del troncone anteriore del
Vienna Express e della sua locomotiva fiore all’occhiello di un paese in
crescente sviluppo. Della 301 001 è rimasto ben poco, l’esplosione ha aperto la
caldaia come un barattolo facendo a pezzi la cabina di guida. Dei macchinisti
non c’è traccia, di loro sono rimaste solo le mani, ancora là a stringere il
freno in un disperato e istintivo tentativo di salvare il treno da un atto di
terrorismo, per la prima volta in tempo di pace, contro civili innocenti.
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