TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: autobomba
DATA: 2 aprile 1985
STATO: Italia
LUOGO: Trapani, Pizzolungo
MORTI: 3
FERITI: 5
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
È il 2 aprile 1985, è mattina, il Magistrato Carlo Palermo si sta
recando dalla sua casa di Bonagia, frazione del comune di Valderice, al Palazzo
di Giustizia di Trapani. Palermo sta per attraversare Pizzolungo, località
balneare in provincia di Trapani, è a bordo di una Fiat 132 blindata seguito da
una Fiat Ritmo di scorta. Sono le ore 08:15 e una macchina parcheggiata sul
ciglio della strada provinciale della località balneare è controllata a vista. È
una Volkswagen Golf, è rubata, è piena di esplosivo, esplosivo destinato
proprio al Magistrato ritenuto da Cosa Nostra un personaggio scomodo. Associazione
criminale di tipo mafioso, Cosa Nostra, nata in Sicilia nel 19° secolo si è
sviluppata esponenzialmente dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Strutturata gerarchicamente, nota in tutto il mondo per gli attentati, gli
omicidi esemplari e la violenza diretta contro lo Stato italiano con
l’eliminazione di uomini politici, poliziotti e magistrati, mantiene il controllo
su numerose attività economiche e politiche regionali ed extraregionali per
mezzo di reti di fiancheggiatori e dell’inserimento di propri capitali nel
settore dei pubblici appalti, della sanità e del turismo, penetrando perfino
nei settori della grande distribuzione alimentare, dei mercati ortofrutticoli,
nelle attività edili e in quelle di tipo economico-finanziario. Corruzione e
riciclaggio sono il volano che ha permesso a Cosa Nostra di radicarsi, anno
dopo anno, sempre di più nel territorio accrescendo il proprio potere in
maniera spropositata. L’auto era stata preparata nell’officina di Gioacchino
Calabrò, un mafioso di spicco di Castellammare del Golfo e 28 chilogrammi di Brixia
B5, un esplosivo gelatinato per uso civile confezionato in candelotti avvolti
in carta cerata color avana con stampigliato il nome dell’esplosivo e delle
dimensioni di 250 millimetri di lunghezza per un diametro di 25 contenente un
peso di 135 grammi netti di sostanza esplodente, erano stati sistemati nel
baule portabagagli. Il Brixia è un prodotto tutto italiano, il nome viene dal
luogo di provenienza, Brescia, in latino, dov’è stato fabbricato fino allo
scorso anno nello stabilimento di Ghedi della SEI, la Società Esplosivi
Industriali S.p.A., prima che la produzione venisse spostata presso lo
stabilimento di Domusnovas, nella provincia di Cagliari, in Sardegna, dove ora
viene avvolto in carta cerata color magenta. Questa Gelatina è composta da un
1.5% di Nitroglicole, potentissimo esplosivo sensibile agli shock meccanici
prodotto dal chimico belga Louis Henry nel 1870, simile
alla Nitroglicerina ma molto più stabile nel tempo e quindi meglio
conservabile tanto da venire utilizzato nelle dinamiti perché abbassa
il punto di fusione della Nitroglicerina che a temperature prossime agli
0 gradi centigradi inizia a dilatarsi e ad uscire dai candelotti con conseguenze
facilmente immaginabili; da un 5% dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico
e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, il prodotto
scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, 2% di
Dinitrotoluene; 8% di Trinitrotoluene, esplosivo preparato la prima volta nel
1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann
Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo
col nome di Tritolo o Tnt ed infine la parte più consistente; ed infine nella
quantità principale da Nitrato d’Ammonio per una percentuale dell’81%. Il
Nitrato d’Ammonio, fertilizzante scoperto come prodotto esplodente dal chimico
e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, era stato già intuito come
potenziale elemento da Johann Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco
considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore
dell’ingegneria chimica, preparandolo e descrivendolo nel 1659 come “nitrum
flammans” per via del colore giallo della sua fiamma. Questo tipo di Gelatina,
il Brixia B5, non è altro che una Dinamite, del tipo a base esplosiva, un’evoluzione
della Dinamite a base attiva composta da 75% di Nitroglicerina e 25% di
segatura e nitrato di sodio, a sua volta evoluzione della prima assoluta
brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867, a base
inerte, dove la Nitroglicerina, costituente il 75% della cartuccia, era
miscelata con un 25% di farina di roccia silicea sedimentaria di origine
organica. Il Brixia, conservato in un bidoncino di plastica a bocca larga, uno
dei tanti utilizzati per lo stoccaggio degli esplosivi nei numerosi depositi
clandestini della organizzazione sparsi per il territorio, tre giorni fa, su
incarico di Giuseppe Giacomo Gambino, Giovan Battista Ferrante, uomo d’onore
della Famiglia di San Lorenzo, in compagnia di Salvatore Biondino, reggente di
fatto del mandamento di San Lorenzo in assenza di Gambino, capo attualmente
detenuto, e assieme ai cugini omonimi Salvatore Biondo, classe 1955 e 1956
chiamati confidenzialmente l’uno “il corto”, l’altro “il lungo”, a sottolineare
la differenza di statura, si era recato ad un appuntamento a Trapani, nella
zona ove finisce l’autostrada per Trapani ed inizia la statale per Erice, per
incontrarsi con Bruno Calcedonio, uomo d’onore della famiglia di Mazzara del
Vallo, il quale aveva accompagnato il Biondino con la sua Renault 4 in un luogo
non lontano per consegnarglielo contenuto in diversi sacchi di plastica e per
un quantitativo di circa 200 chilogrammi. Dopo tale consegna, esauritasi in
circa quindici minuti dal momento in cui il Biondino si era allontanato con il
Calcedonio al momento in cui i palermitani erano ripartiti in direzione di
Palermo, il gruppo aveva eseguito il trasporto della merce ricevuta caricandola
sull’auto di Biondino ed utilizzando una delle auto come battistrada fino alle
Case Ferreri, un complesso di edifici risalenti al Settecento ora adibiti a
polveriera, armeria, poligono e deposito libri contabili delle estorsioni della
famiglia di San Lorenzo, di cui Ferrante ha il possesso. Luogo piuttosto
isolato ed in stato di completo abbandono è costituito da un edificio
padronale, stalle, magazzini, una cappella, tutto contornato da un grande
appezzamento di terreno. Attualmente di proprietà della “Livorno Costruzioni”
di cui amministratore è Gambino e che nel marzo di quest’anno ha dato il via
alla costruzione di alcune villette, il complesso di edifici e annessi era
stato venduto nel 1983 alla società dal Barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro
che non se ne era più curato ma che lo aveva lasciato in custodia ad uno zio di
Ferrante, Salvatore Bonura, che lo aveva utilizzato fino ai primi anni ‘80 per
allevarvi del bestiame prima che il compito di guardiano passasse al padre. L’auto
l’avevano portata in officina i reggenti dei mandamenti palermitani di San
Giuseppe Jato e Resuttana, Baldassare Di Maggio e Antonino Madonia, quest’ultimo
uomo di fiducia e killer spietato con alle spalle l’agguato al Segretario
regionale del PCI e parlamentare Pio La Torre e del suo collaboratore,
l’agguato al Prefetto di Palermo, il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, con
cui erano morti la moglie e l’agente di scorta, e l’attentato dinamitardo al Capo
dell’Ufficio Istruzioni della Procura di Palermo, il Giudice Rocco Chinnici,
dove erano morti anche due agenti della scorta e il portiere dello stabile dove
abitava. Vincenzo Milazzo, enologo, uomo d'onore, capo della famiglia di
Alcamo, gestisce una raffineria per la trasformazione della morfina base tra i
più grandi in Europa, la più grande in tutto il bacino del Mediterraneo, in grado
di produrre ogni giorno polvere purissima per un valore di cinque miliardi di
Lire, laboratorio che ha già prodotto 1.400 chilogrammi e sta per produrne
altri 1.600. Sa che da un momento all'altro i poliziotti guidati da Palermo piomberanno
nelle campagne tra Castellammare del Golfo e Alcamo, sa che faranno irruzione
nel laboratorio nascosto dal grande canneto, a pochi metri dal laghetto da cui
viene pompata l’acqua per la distillazione e all’interno di una stalla, un
posto perfetto per occultare le operazioni di raffinazione poichè l’odore del
bestiame copre quello aspro dell’anidride acetica. La Commissione, spinta dalle
cosche di Alcamo e Castellammare del Golfo che si occuperanno della riuscita
della cosa, aveva deciso che il Giudice andasse fermato, la raffineria rifornisce
tutti i trafficanti delle cosche trapanesi e Milazzo la gestisce per conto di
tutti i clan dalla morte del sanguinario boss Salvatore Zizzo. Ne hanno una
quota anche i corleonesi, il gruppo mafioso "vincente" della Sicilia
occidentale. È infatti un boss legato alla mafia di Corleone e ai più
agguerriti clan siciliani trapiantati in Toscana. Residente ufficialmente
proprio nella regione, a Gambassi, in provincia di Firenze, nel 1982 era stato
coinvolto nelle inchieste di Giangiacomo Ciaccio Montalto, indagini che il
Sostituto Procuratore trapanese stava conducendo nel Centro-Nord sui legami fra
mafiosi trapanesi, proprietari terrieri toscani e boss emergenti e di
conseguenza sull'eroina che viaggia da anni dall'isola a Firenze. Il Giudice
Carlo Palermo, che a Trapani sta occupando la scrivania del collega assassinato
due anni prima in un agguato a Valderice, ma anche quella di Antonio Costa, il
Sostituto Procuratore trapanese arrestato da poco perchè accusato di essersi fatto
corrompere dai mafiosi, sta seguendo una pista parallela. Ha ripreso le
indagini sui traffici di droga del sostituto procuratore ucciso, e sta per
firmare gli ordini di cattura per le false fatturazioni contro Mario Rendo,
Gaetano Graci, Salvatore Costanzo, i chiacchierati cavalieri del Lavoro di
Catania, e ordinare nuove indagini sulle intercettazioni telefoniche del
"caso Costa". Per i potenti boss di Trapani Carlo Palermo è una mina
vagante: lavora sul fronte della droga ma nel suo mirino, ci sono anche quei
capi coinvolti nell'uccisione del suo amico. Lui rappresenta un pericoloso
avversario, una minaccia che potrebbe compromettere i collegamenti
internazionali della mafia trapanese coi suoi interessi nel mercato delle armi
e degli stupefacenti. È un magistrato coraggioso, tenace e solo, un nemico da
eliminare. Al di là del movente localistico relativo a quella raffineria di
droga, il movente è più ampio, che coinvolge gli interessi della Commissione
Regionale e che si ricollega ad una strategia stragista comune ad altri
episodi. È un movente di attacco frontale allo Stato, di eliminazione
preventiva di quei soggetti che per le loro esperienze rappresentano un
simbolo, una personificazione della volontà dello Stato di annientare gli
interessi criminali della Mafia. Questo attacco preventivo, una tecnica già
sperimentata nel settembre del 1979 con l'uccisione del Giudice Cesare
Terranova, deputato del Partito Comunista Italiano e Segretario della
Commissione parlamentare Antimafia dove stava contribuendo ad elaborare la
relazione di minoranza in cui si criticavano aspramente le conclusioni di
quella della maggioranza nella quale erano sottaciuti o sottovalutati i
collegamenti fra mafia e politica, e in particolar modo il coinvolgimento di
uomini della Democrazia Cristiana in numerose vicende di mafia accusando
pesantemente i loro rapporti con l’organizzazione, è rivolto in particolare a
quegli uomini che manifestano la precisa volontà di svolgere fino in fondo e
senza tentennamenti il proprio ruolo istituzionale di contrasto e repressione
nei confronti di Cosa Nostra. La convinzione di Salvatore Riina, il Capo dei
Capi, e dei suoi alleati che vedevano in uomini come Palermo il rifiuto del
tradizionale atteggiamento di convivenza con la mafia, aveva indotto Cosa Nostra
a pensare di poter sfidare lo Stato e questi suoi fedeli servitori ordinandone l’eliminazione
fisica al duplice scopo di dissuadere chiunque dal seguirne l’esempio e
dall’indurre lo Stato a venire a patti con l’Organizzazione, messaggio rivolto
soprattutto ad Antonio Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,
Magistrati in prima linea in questi anni. E mentre per sindaco della città,
Erasmo Garuccio, la mafia a Trapani non esiste, Riina, ruolo di vertice dal
punto di vista decisionale, aveva preso in carico la richiesta di Vincenzo
Milazzo, aveva interpellato Vincenzo Virga in quanto rappresentante provinciale
del territorio e aveva affidato ad Antonio Madonia e Baldassare Di Maggio la
fase preparatoria dell’attentato. Madonia, personaggio di spicco
dell’organizzazione con una particolare esperienza nella predisposizione di
attentati a distanza con esplosivo, e Di Maggio, con lo specifico compito di prelevare
la materia prima dal deposito, avevano funto da raccordo e da collegamento tra
le decisioni dei corleonesi e della cupola e l’esecuzione materiale affidata
alle cellule del trapanese. Il tutto era stato pianificato nel magazzino del
boss Mariano Tullio Troia, capo del mandamento del quartiere San
Lorenzo e uno dei luogotenenti più fidati di Riina. Qui, Calcedonio Bruno,
mafioso della famiglia di Trapani e lo stesso Antonino Madonia, si erano
incontrati più volte nel corso del mese per definire volta per volta i
dettagli. Nell’officina di Calabrò, le 200 cartucce di Brixia sistemate nel
bagagliaio della Volkswagen Golf erano state armate con un circuito di detonatori
elettrici collegati in serie, ciascuno contenente una piccola quantità di
esplosivo secondario, la Pentrite, innescato a sua volta da una miscela
incendiaria, e uno primario, il sensibilissimo Azoturo di Piombo, il preparato
della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890. I detonatori,
versioni moderne di quelli inventati nel 1876 da Julius Smith, sarebbero stati
attivati da una batteria e una centralina radio ricevente. La trasmittente invece
si sarebbe trovata non lontana dal Punto Zero, con una linea di tiro
completamente libera che avrebbe permesso di avere una visuale completa di
tutta la zona in modo da attivare la gigantesca carica nel momento esatto del
passaggio del Giudice accanto alla Golf. Gioacchino Calabrò lo aveva studiato
per giorni, l'ottico di Castellammare, Francesco Quattrone, gli aveva fornito
verso la fine del mese di marzo un potente binocolo, strumento che il
carrozziere aveva usato per spiare ogni mattina, dalla terrazza di una villa a
poche decine di metri dal luogo dell'attentato, tutti i movimenti del Giudice e
della sua scorta. Rosina Cusumano, sorella di Vincenzo Cusumano, mafioso di
Castellammare del Golfo, aveva denunciato ai carabinieri il furto della sua
Fiat Uno, ma non era stata rubata, era stata invece nascosta in un luogo sicuro
per poi essere utilizzata dal fratello e dal resto del commando per la fuga a
lavoro finito. Tutto era stato organizzato a dovere, Antonio Palmieri, braccio
destro di Milazzo, Nino e Filippo Melodia, Vincenzo Cusumano, Mariano Asaro, soprannominato
"l'americano" per il suo ruolo di collegamento con Cosa nostra statunitense,
e Gaspare Crociata e Antonino Palmeri, entrambi titolari di cave di marmo a
Castellammare del Golfo e soldati del clan castellammarese, avevano ultimato i
preparativi. La Golf quindi era stata parcheggiata durante la notte sul ciglio
della statale della località balneare di Pizzolungo con la centralina ricevente
accesa. Ora è lì, a pochi chilometri dal corteo in arrivo. Ma il Magistrato non
è il solo a fare quel tragitto. Sulla strada, come ogni mattina, c’è Barbara
Rizzo. 38 anni, mamma di tre splendidi bambini, è uscita da poco da casa dopo
aver fatto colazione. In auto con lei ci sono Giuseppe e Salvatore, gemellini
di 6 anni. Margherita, la più grande, 10 anni, oggi è uscita prima, ha chiesto il
favore alla vicina se potesse darle un passaggio a scuola. Nunzio Asta, suo
marito, 36 anni, è ancora a casa, sta per andare nella sua officina dove aprirà
tra poco. Barbara sta accompagnando i gemellini alla scuola materna, oggi è in ritardo,
i gemelli hanno litigato per chi dovesse indossare un paio di pantaloni. Il corteo
sta procedendo a velocità sostenuta, Palermo ha già avuto minacce di morte e in
Sicilia morire ammazzati sta diventando sempre più facile. Barbara Rizzo guarda
nello specchietto retrovisore, ecco le auto, sono due, si avvicinano
velocemente. Ma la donna non è l’unica a vederle arrivare, anche dalla terrazza
di una villetta le vedono. Il binocolo non si stacca da loro, accanto all’uomo
che le osserva avvicinarsi sulla litoranea, curva dopo curva, ce n’è un altro
con in mano un telecomando, è acceso, il dito è sul pulsante. Le auto imboccano
il curvone a tutta velocità, sono vicino alla Golf parcheggiata sul ciglio
della strada, ma la macchina di Barbara Rizzo è di intralcio, quindi rallenta
per farle passare, il Magistrato ha fretta, deve raggiungere il Tribunale e dà
l’ordine di sorpassare la Volkswagen Scirocco della donna. Sono le ore 08:37,
la 132 accelera seguita una decina di metri dietro dalla Ritmo della scorta,
affianca l’auto della donna proprio sulla curva, proprio sulla traiettoria
dell’autobomba. Dalla terrazza parte l’ordine, nonostante l’imprevisto il
pulsante viene premuto ugualmente. L’impulso raggiunge la centralina ricevente
nel baule portabagagli della Golf, la batteria rilascia una scarica di corrente
che accende la miscela incendiaria nei detonatori elettrici e in una frazione
di secondo la carica secondaria di Azoturo di Piombo attiva quella primaria di
Pentrite. I detonatori innescano le cartucce di Brixia B5 che detonano con una
velocità di 7.200 mila metri al secondo, l’esplosione è di una violenza
impressionante. L’onda d’urto, dopo aver disintegrato l’auto, investe la
Scirocco che fa da scudo alla 132, le tre vetture vengono investite
dall’esplosione. Mentre gli occupanti della Fiat 132 sono schiacciati dalla
scocca e dalla blindatura che si piega verso l’interno e gli agenti nella Fiat
Ritmo sono sbalzati all’indietro da un muro d’aria, da una fiammata di 3.500
gradi centigradi e da una grandinata di velocissimi proiettili di metallo. Gli
occupanti della Scirocco sono fatti a pezzi e sparati in aria per decine di
metri, il boato si sente a chilometri di distanza, una nuvola di calcinacci,
asfalto, terra e pietre ricade a terra oscurando la via. Un silenzio surreale
cala sul quartiere. Passa qualche minuto prima che dalla Fiat 132 si senta un
cigolio, è uno sportello che si apre, è il Giudice, è ferito ma è vivo, la
blindatura della 132 ha attutito l’onda d’urto dopo aver oltrepassato la
Scirocco della donna. Anche gli agenti della scorta sono sopravvissuti, Rosario
Maggio, l’autista, e Raffaele Di Mercurio, entrambi a bordo della Fiat
blindata, sono lievemente feriti, invece per gli altri due, investiti dal
passaggio del muro d’aria nella Fiat Ritmo, l’auto rimasta parzialmente
scoperta, le ferite sono serie, le schegge hanno trapassato le lamiere come il
burro. Antonio Ruggirello è ferito a un occhio, Salvatore La Porta alla testa e
in diverse parti del corpo. Carlo Palermo è in strada, è confuso, si guarda
intorno, cerca le macchine incrociate poco prima. La Volkswagen Scirocco è
sparita e pochi metri più in là, sulla destra, c’è una grossa voragine, anche la
Golf non c’è più. Il terreno è disseminato di frammenti di lamiera, vetri, parti
di motore, in aria stanno ancora svolazzando le pagine dei libri di scuola di Giuseppe
e Salvatore. Il Giudice si gira attorno, cerca di capire cos’è successo, la
vista è ancora offuscata ma una macchia rossa in alto sulla parete di una palazzina
richiama la sua attenzione, si avvicina, deve camminare per 200 metri. C’è un
cancello, è chiuso, all’interno, per terra in corrispondenza della macchia in
alto ci sono dei piccoli resti, è il busto di un bambino, Salvatore, altre
parti invece sono in un appartamento dopo essere entrate dalla finestra, un
orecchio è sul comodino della camera da letto. La madre è su un albero, il suo
corpo è diviso in più parti sparse sullo sterrato. Giuseppe invece è riverso sul
prato a diverse decine di metri, quello che resta del corpo si fa a fatica ricordare
essere quello di un bambino. Lo spettacolo è atroce. Mentre la strada è ancora
avvolta dal fumo, poco lontano una Fiat Uno si allontana, a bordo i membri del
gruppo di fuoco non parlano, hanno fallito. Questa bomba sveglierà dal torpore
le istituzioni, che prenderanno giorno dopo giorno coscienza del reale potere
della Mafia, della sua mancanza di scrupoli, della sua influenza, un crescendo
esponenziale che non si fermerà fino a che non avrà le mani sul mondo.
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