01 novembre, 2020

Trapani, Pizzolungo, 2 aprile 1985


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: autobomba
DATA:
2 aprile 1985
STATO: Italia
LUOGO: Trapani, Pizzolungo
MORTI:
3
FERITI:
5

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 2 aprile 1985, è mattina, il Magistrato Carlo Palermo si sta recando dalla sua casa di Bonagia, frazione del comune di Valderice, al Palazzo di Giustizia di Trapani. Palermo sta per attraversare Pizzolungo, località balneare in provincia di Trapani, è a bordo di una Fiat 132 blindata seguito da una Fiat Ritmo di scorta. Sono le ore 08:15 e una macchina parcheggiata sul ciglio della strada provinciale della località balneare è controllata a vista. È una Volkswagen Golf, è rubata, è piena di esplosivo, esplosivo destinato proprio al Magistrato ritenuto da Cosa Nostra un personaggio scomodo. Associazione criminale di tipo mafioso, Cosa Nostra, nata in Sicilia nel 19° secolo si è sviluppata esponenzialmente dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Strutturata gerarchicamente, nota in tutto il mondo per gli attentati, gli omicidi esemplari e la violenza diretta contro lo Stato italiano con l’eliminazione di uomini politici, poliziotti e magistrati, mantiene il controllo su numerose attività economiche e politiche regionali ed extraregionali per mezzo di reti di fiancheggiatori e dell’inserimento di propri capitali nel settore dei pubblici appalti, della sanità e del turismo, penetrando perfino nei settori della grande distribuzione alimentare, dei mercati ortofrutticoli, nelle attività edili e in quelle di tipo economico-finanziario. Corruzione e riciclaggio sono il volano che ha permesso a Cosa Nostra di radicarsi, anno dopo anno, sempre di più nel territorio accrescendo il proprio potere in maniera spropositata. L’auto era stata preparata nell’officina di Gioacchino Calabrò, un mafioso di spicco di Castellammare del Golfo e 28 chilogrammi di Brixia B5, un esplosivo gelatinato per uso civile confezionato in candelotti avvolti in carta cerata color avana con stampigliato il nome dell’esplosivo e delle dimensioni di 250 millimetri di lunghezza per un diametro di 25 contenente un peso di 135 grammi netti di sostanza esplodente, erano stati sistemati nel baule portabagagli. Il Brixia è un prodotto tutto italiano, il nome viene dal luogo di provenienza, Brescia, in latino, dov’è stato fabbricato fino allo scorso anno nello stabilimento di Ghedi della SEI, la Società Esplosivi Industriali S.p.A., prima che la produzione venisse spostata presso lo stabilimento di Domusnovas, nella provincia di Cagliari, in Sardegna, dove ora viene avvolto in carta cerata color magenta. Questa Gelatina è composta da un 1.5% di Nitroglicole, potentissimo esplosivo sensibile agli shock meccanici prodotto dal chimico belga Louis Henry nel 1870, simile alla Nitroglicerina ma molto più stabile nel tempo e quindi meglio conservabile tanto da venire utilizzato nelle dinamiti perché abbassa il punto di fusione della Nitroglicerina che a temperature prossime agli 0 gradi centigradi inizia a dilatarsi e ad uscire dai candelotti con conseguenze facilmente immaginabili; da un 5% dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, il prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, 2% di Dinitrotoluene; 8% di Trinitrotoluene, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt ed infine la parte più consistente; ed infine nella quantità principale da Nitrato d’Ammonio per una percentuale dell’81%. Il Nitrato d’Ammonio, fertilizzante scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, era stato già intuito come potenziale elemento da Johann Rudolph Glauber, chimico e farmacista tedesco considerato uno dei fondatori della chimica industriale moderna e precursore dell’ingegneria chimica, preparandolo e descrivendolo nel 1659 come “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma. Questo tipo di Gelatina, il Brixia B5, non è altro che una Dinamite, del tipo a base esplosiva, un’evoluzione della Dinamite a base attiva composta da 75% di Nitroglicerina e 25% di segatura e nitrato di sodio, a sua volta evoluzione della prima assoluta brevettata dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867, a base inerte, dove la Nitroglicerina, costituente il 75% della cartuccia, era miscelata con un 25% di farina di roccia silicea sedimentaria di origine organica. Il Brixia, conservato in un bidoncino di plastica a bocca larga, uno dei tanti utilizzati per lo stoccaggio degli esplosivi nei numerosi depositi clandestini della organizzazione sparsi per il territorio, tre giorni fa, su incarico di Giuseppe Giacomo Gambino, Giovan Battista Ferrante, uomo d’onore della Famiglia di San Lorenzo, in compagnia di Salvatore Biondino, reggente di fatto del mandamento di San Lorenzo in assenza di Gambino, capo attualmente detenuto, e assieme ai cugini omonimi Salvatore Biondo, classe 1955 e 1956 chiamati confidenzialmente l’uno “il corto”, l’altro “il lungo”, a sottolineare la differenza di statura, si era recato ad un appuntamento a Trapani, nella zona ove finisce l’autostrada per Trapani ed inizia la statale per Erice, per incontrarsi con Bruno Calcedonio, uomo d’onore della famiglia di Mazzara del Vallo, il quale aveva accompagnato il Biondino con la sua Renault 4 in un luogo non lontano per consegnarglielo contenuto in diversi sacchi di plastica e per un quantitativo di circa 200 chilogrammi. Dopo tale consegna, esauritasi in circa quindici minuti dal momento in cui il Biondino si era allontanato con il Calcedonio al momento in cui i palermitani erano ripartiti in direzione di Palermo, il gruppo aveva eseguito il trasporto della merce ricevuta caricandola sull’auto di Biondino ed utilizzando una delle auto come battistrada fino alle Case Ferreri, un complesso di edifici risalenti al Settecento ora adibiti a polveriera, armeria, poligono e deposito libri contabili delle estorsioni della famiglia di San Lorenzo, di cui Ferrante ha il possesso. Luogo piuttosto isolato ed in stato di completo abbandono è costituito da un edificio padronale, stalle, magazzini, una cappella, tutto contornato da un grande appezzamento di terreno. Attualmente di proprietà della “Livorno Costruzioni” di cui amministratore è Gambino e che nel marzo di quest’anno ha dato il via alla costruzione di alcune villette, il complesso di edifici e annessi era stato venduto nel 1983 alla società dal Barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro che non se ne era più curato ma che lo aveva lasciato in custodia ad uno zio di Ferrante, Salvatore Bonura, che lo aveva utilizzato fino ai primi anni ‘80 per allevarvi del bestiame prima che il compito di guardiano passasse al padre. L’auto l’avevano portata in officina i reggenti dei mandamenti palermitani di San Giuseppe Jato e Resuttana, Baldassare Di Maggio e Antonino Madonia, quest’ultimo uomo di fiducia e killer spietato con alle spalle l’agguato al Segretario regionale del PCI e parlamentare Pio La Torre e del suo collaboratore, l’agguato al Prefetto di Palermo, il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, con cui erano morti la moglie e l’agente di scorta, e l’attentato dinamitardo al Capo dell’Ufficio Istruzioni della Procura di Palermo, il Giudice Rocco Chinnici, dove erano morti anche due agenti della scorta e il portiere dello stabile dove abitava. Vincenzo Milazzo, enologo, uomo d'onore, capo della famiglia di Alcamo, gestisce una raffineria per la trasformazione della morfina base tra i più grandi in Europa, la più grande in tutto il bacino del Mediterraneo, in grado di produrre ogni giorno polvere purissima per un valore di cinque miliardi di Lire, laboratorio che ha già prodotto 1.400 chilogrammi e sta per produrne altri 1.600. Sa che da un momento all'altro i poliziotti guidati da Palermo piomberanno nelle campagne tra Castellammare del Golfo e Alcamo, sa che faranno irruzione nel laboratorio nascosto dal grande canneto, a pochi metri dal laghetto da cui viene pompata l’acqua per la distillazione e all’interno di una stalla, un posto perfetto per occultare le operazioni di raffinazione poichè l’odore del bestiame copre quello aspro dell’anidride acetica. La Commissione, spinta dalle cosche di Alcamo e Castellammare del Golfo che si occuperanno della riuscita della cosa, aveva deciso che il Giudice andasse fermato, la raffineria rifornisce tutti i trafficanti delle cosche trapanesi e Milazzo la gestisce per conto di tutti i clan dalla morte del sanguinario boss Salvatore Zizzo. Ne hanno una quota anche i corleonesi, il gruppo mafioso "vincente" della Sicilia occidentale. È infatti un boss legato alla mafia di Corleone e ai più agguerriti clan siciliani trapiantati in Toscana. Residente ufficialmente proprio nella regione, a Gambassi, in provincia di Firenze, nel 1982 era stato coinvolto nelle inchieste di Giangiacomo Ciaccio Montalto, indagini che il Sostituto Procuratore trapanese stava conducendo nel Centro-Nord sui legami fra mafiosi trapanesi, proprietari terrieri toscani e boss emergenti e di conseguenza sull'eroina che viaggia da anni dall'isola a Firenze. Il Giudice Carlo Palermo, che a Trapani sta occupando la scrivania del collega assassinato due anni prima in un agguato a Valderice, ma anche quella di Antonio Costa, il Sostituto Procuratore trapanese arrestato da poco perchè accusato di essersi fatto corrompere dai mafiosi, sta seguendo una pista parallela. Ha ripreso le indagini sui traffici di droga del sostituto procuratore ucciso, e sta per firmare gli ordini di cattura per le false fatturazioni contro Mario Rendo, Gaetano Graci, Salvatore Costanzo, i chiacchierati cavalieri del Lavoro di Catania, e ordinare nuove indagini sulle intercettazioni telefoniche del "caso Costa". Per i potenti boss di Trapani Carlo Palermo è una mina vagante: lavora sul fronte della droga ma nel suo mirino, ci sono anche quei capi coinvolti nell'uccisione del suo amico. Lui rappresenta un pericoloso avversario, una minaccia che potrebbe compromettere i collegamenti internazionali della mafia trapanese coi suoi interessi nel mercato delle armi e degli stupefacenti. È un magistrato coraggioso, tenace e solo, un nemico da eliminare. Al di là del movente localistico relativo a quella raffineria di droga, il movente è più ampio, che coinvolge gli interessi della Commissione Regionale e che si ricollega ad una strategia stragista comune ad altri episodi. È un movente di attacco frontale allo Stato, di eliminazione preventiva di quei soggetti che per le loro esperienze rappresentano un simbolo, una personificazione della volontà dello Stato di annientare gli interessi criminali della Mafia. Questo attacco preventivo, una tecnica già sperimentata nel settembre del 1979 con l'uccisione del Giudice Cesare Terranova, deputato del Partito Comunista Italiano e Segretario della Commissione parlamentare Antimafia dove stava contribuendo ad elaborare la relazione di minoranza in cui si criticavano aspramente le conclusioni di quella della maggioranza nella quale erano sottaciuti o sottovalutati i collegamenti fra mafia e politica, e in particolar modo il coinvolgimento di uomini della Democrazia Cristiana in numerose vicende di mafia accusando pesantemente i loro rapporti con l’organizzazione, è rivolto in particolare a quegli uomini che manifestano la precisa volontà di svolgere fino in fondo e senza tentennamenti il proprio ruolo istituzionale di contrasto e repressione nei confronti di Cosa Nostra. La convinzione di Salvatore Riina, il Capo dei Capi, e dei suoi alleati che vedevano in uomini come Palermo il rifiuto del tradizionale atteggiamento di convivenza con la mafia, aveva indotto Cosa Nostra a pensare di poter sfidare lo Stato e questi suoi fedeli servitori ordinandone l’eliminazione fisica al duplice scopo di dissuadere chiunque dal seguirne l’esempio e dall’indurre lo Stato a venire a patti con l’Organizzazione, messaggio rivolto soprattutto ad Antonio Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Magistrati in prima linea in questi anni. E mentre per sindaco della città, Erasmo Garuccio, la mafia a Trapani non esiste, Riina, ruolo di vertice dal punto di vista decisionale, aveva preso in carico la richiesta di Vincenzo Milazzo, aveva interpellato Vincenzo Virga in quanto rappresentante provinciale del territorio e aveva affidato ad Antonio Madonia e Baldassare Di Maggio la fase preparatoria dell’attentato. Madonia, personaggio di spicco dell’organizzazione con una particolare esperienza nella predisposizione di attentati a distanza con esplosivo, e Di Maggio, con lo specifico compito di prelevare la materia prima dal deposito, avevano funto da raccordo e da collegamento tra le decisioni dei corleonesi e della cupola e l’esecuzione materiale affidata alle cellule del trapanese. Il tutto era stato pianificato nel magazzino del boss Mariano Tullio Troia, capo del mandamento del quartiere San Lorenzo e uno dei luogotenenti più fidati di Riina. Qui, Calcedonio Bruno, mafioso della famiglia di Trapani e lo stesso Antonino Madonia, si erano incontrati più volte nel corso del mese per definire volta per volta i dettagli. Nell’officina di Calabrò, le 200 cartucce di Brixia sistemate nel bagagliaio della Volkswagen Golf erano state armate con un circuito di detonatori elettrici collegati in serie, ciascuno contenente una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, innescato a sua volta da una miscela incendiaria, e uno primario, il sensibilissimo Azoturo di Piombo, il preparato della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory del 1890. I detonatori, versioni moderne di quelli inventati nel 1876 da Julius Smith, sarebbero stati attivati da una batteria e una centralina radio ricevente. La trasmittente invece si sarebbe trovata non lontana dal Punto Zero, con una linea di tiro completamente libera che avrebbe permesso di avere una visuale completa di tutta la zona in modo da attivare la gigantesca carica nel momento esatto del passaggio del Giudice accanto alla Golf. Gioacchino Calabrò lo aveva studiato per giorni, l'ottico di Castellammare, Francesco Quattrone, gli aveva fornito verso la fine del mese di marzo un potente binocolo, strumento che il carrozziere aveva usato per spiare ogni mattina, dalla terrazza di una villa a poche decine di metri dal luogo dell'attentato, tutti i movimenti del Giudice e della sua scorta. Rosina Cusumano, sorella di Vincenzo Cusumano, mafioso di Castellammare del Golfo, aveva denunciato ai carabinieri il furto della sua Fiat Uno, ma non era stata rubata, era stata invece nascosta in un luogo sicuro per poi essere utilizzata dal fratello e dal resto del commando per la fuga a lavoro finito. Tutto era stato organizzato a dovere, Antonio Palmieri, braccio destro di Milazzo, Nino e Filippo Melodia, Vincenzo Cusumano, Mariano Asaro, soprannominato "l'americano" per il suo ruolo di collegamento con Cosa nostra statunitense, e Gaspare Crociata e Antonino Palmeri, entrambi titolari di cave di marmo a Castellammare del Golfo e soldati del clan castellammarese, avevano ultimato i preparativi. La Golf quindi era stata parcheggiata durante la notte sul ciglio della statale della località balneare di Pizzolungo con la centralina ricevente accesa. Ora è lì, a pochi chilometri dal corteo in arrivo. Ma il Magistrato non è il solo a fare quel tragitto. Sulla strada, come ogni mattina, c’è Barbara Rizzo. 38 anni, mamma di tre splendidi bambini, è uscita da poco da casa dopo aver fatto colazione. In auto con lei ci sono Giuseppe e Salvatore, gemellini di 6 anni. Margherita, la più grande, 10 anni, oggi è uscita prima, ha chiesto il favore alla vicina se potesse darle un passaggio a scuola. Nunzio Asta, suo marito, 36 anni, è ancora a casa, sta per andare nella sua officina dove aprirà tra poco. Barbara sta accompagnando i gemellini alla scuola materna, oggi è in ritardo, i gemelli hanno litigato per chi dovesse indossare un paio di pantaloni. Il corteo sta procedendo a velocità sostenuta, Palermo ha già avuto minacce di morte e in Sicilia morire ammazzati sta diventando sempre più facile. Barbara Rizzo guarda nello specchietto retrovisore, ecco le auto, sono due, si avvicinano velocemente. Ma la donna non è l’unica a vederle arrivare, anche dalla terrazza di una villetta le vedono. Il binocolo non si stacca da loro, accanto all’uomo che le osserva avvicinarsi sulla litoranea, curva dopo curva, ce n’è un altro con in mano un telecomando, è acceso, il dito è sul pulsante. Le auto imboccano il curvone a tutta velocità, sono vicino alla Golf parcheggiata sul ciglio della strada, ma la macchina di Barbara Rizzo è di intralcio, quindi rallenta per farle passare, il Magistrato ha fretta, deve raggiungere il Tribunale e dà l’ordine di sorpassare la Volkswagen Scirocco della donna. Sono le ore 08:37, la 132 accelera seguita una decina di metri dietro dalla Ritmo della scorta, affianca l’auto della donna proprio sulla curva, proprio sulla traiettoria dell’autobomba. Dalla terrazza parte l’ordine, nonostante l’imprevisto il pulsante viene premuto ugualmente. L’impulso raggiunge la centralina ricevente nel baule portabagagli della Golf, la batteria rilascia una scarica di corrente che accende la miscela incendiaria nei detonatori elettrici e in una frazione di secondo la carica secondaria di Azoturo di Piombo attiva quella primaria di Pentrite. I detonatori innescano le cartucce di Brixia B5 che detonano con una velocità di 7.200 mila metri al secondo, l’esplosione è di una violenza impressionante. L’onda d’urto, dopo aver disintegrato l’auto, investe la Scirocco che fa da scudo alla 132, le tre vetture vengono investite dall’esplosione. Mentre gli occupanti della Fiat 132 sono schiacciati dalla scocca e dalla blindatura che si piega verso l’interno e gli agenti nella Fiat Ritmo sono sbalzati all’indietro da un muro d’aria, da una fiammata di 3.500 gradi centigradi e da una grandinata di velocissimi proiettili di metallo. Gli occupanti della Scirocco sono fatti a pezzi e sparati in aria per decine di metri, il boato si sente a chilometri di distanza, una nuvola di calcinacci, asfalto, terra e pietre ricade a terra oscurando la via. Un silenzio surreale cala sul quartiere. Passa qualche minuto prima che dalla Fiat 132 si senta un cigolio, è uno sportello che si apre, è il Giudice, è ferito ma è vivo, la blindatura della 132 ha attutito l’onda d’urto dopo aver oltrepassato la Scirocco della donna. Anche gli agenti della scorta sono sopravvissuti, Rosario Maggio, l’autista, e Raffaele Di Mercurio, entrambi a bordo della Fiat blindata, sono lievemente feriti, invece per gli altri due, investiti dal passaggio del muro d’aria nella Fiat Ritmo, l’auto rimasta parzialmente scoperta, le ferite sono serie, le schegge hanno trapassato le lamiere come il burro. Antonio Ruggirello è ferito a un occhio, Salvatore La Porta alla testa e in diverse parti del corpo. Carlo Palermo è in strada, è confuso, si guarda intorno, cerca le macchine incrociate poco prima. La Volkswagen Scirocco è sparita e pochi metri più in là, sulla destra, c’è una grossa voragine, anche la Golf non c’è più. Il terreno è disseminato di frammenti di lamiera, vetri, parti di motore, in aria stanno ancora svolazzando le pagine dei libri di scuola di Giuseppe e Salvatore. Il Giudice si gira attorno, cerca di capire cos’è successo, la vista è ancora offuscata ma una macchia rossa in alto sulla parete di una palazzina richiama la sua attenzione, si avvicina, deve camminare per 200 metri. C’è un cancello, è chiuso, all’interno, per terra in corrispondenza della macchia in alto ci sono dei piccoli resti, è il busto di un bambino, Salvatore, altre parti invece sono in un appartamento dopo essere entrate dalla finestra, un orecchio è sul comodino della camera da letto. La madre è su un albero, il suo corpo è diviso in più parti sparse sullo sterrato. Giuseppe invece è riverso sul prato a diverse decine di metri, quello che resta del corpo si fa a fatica ricordare essere quello di un bambino. Lo spettacolo è atroce. Mentre la strada è ancora avvolta dal fumo, poco lontano una Fiat Uno si allontana, a bordo i membri del gruppo di fuoco non parlano, hanno fallito. Questa bomba sveglierà dal torpore le istituzioni, che prenderanno giorno dopo giorno coscienza del reale potere della Mafia, della sua mancanza di scrupoli, della sua influenza, un crescendo esponenziale che non si fermerà fino a che non avrà le mani sul mondo. 

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