01 luglio, 2021

Enga, Miniera d'oro di Porgera, 2 agosto 1994


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
2 agosto 1994
STATO: Stato Indipendente della Papua Nuova Guinea
LUOGO: Enga, Miniera d’oro di Porgera
MORTI:
11
FERITI:
139

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 2 agosto del 1994, è mattina e il complesso minerario di Porgera è in piena attività. Questo grande agglomerato sorge in una parte remota e aspra della provincia di Enga, nella Papua Nuova Guinea, alla testa della Valle del Porgera nell'altopiano coperto dalle foreste pluviali ad un'altitudine compresa tra 2.200 e 2.700 metri, in una regione dove sono frequenti piogge, frane e terremoti. Di proprietà della Barrick Gold, compagnia mineraria canadese, e attualmente gestita dalla Porgera Joint Venture, un’associazione dei quattro partner Placer Pacific, Renison, Mount Isa Mines e Highlands Gold, con cui la gestiscono in collaborazione con il Governo della Papua Nuova Guinea, la miniera ha un personale di 2.400 dipendenti che vengono impiegati su base “fly in-fly out”. Questi, piuttosto che essere trasferiti con tutta la famiglia vicino al luogo di lavoro, vengono trasportati in aereo sul posto, occupati in cicli lavorativi settimanali e rimandati a casa per quelli di riposo. La miniera ha iniziato la produzione nel 1990 con la Placer Dome Inc, una grande società mineraria specializzata nell’estrazione di oro e metalli preziosi con sede a Vancouver, in Canada, diventando la seconda più grande miniera della Papua Nuova Guinea, una delle dieci più grandi al mondo e una delle maggiori produttrici d’oro a basso costo con 28.350 chilogrammi estratti nel primo anno e 35.977 nel 1993. Il grosso dell’attività estrattiva, iniziata in sotterraneo già dall’apertura del complesso minerario, è diventato fondamentale a cielo aperto ormai da più di un anno con gli scavi alla fossa del Monte Waruwaru con una movimentazione giornaliera di 160.000 tonnellate di materiale roccioso contro le 2.000 del sottosuolo che, portato in superficie da camion Caterpillar AD45, si unisce a quello estratto a cielo aperto e caricato da escavatori e pale gommate O&K su una flotta di camion Caterpillar 777 e 789 costantemente in movimento per garantire l’approvvigionamento all’impianto di lavorazione. Sul fronte di scavo, le migliaia di metri cubi di roccia sono abbattuti dall’incessante e alternato lavoro di perforatrici ed esplosivi provenienti e prodotti negli stabilimenti della Dyno Wesfarmer Ltd edificati per motivi logistici ed economici all’interno del complesso minerario, esattamente al centro del sito. Sono costituiti da una catena di produzione, deposito e imballaggio sia dell’esplosivo che dei meccanismi di innesco, i detonatori ad onda d’urto, degli speciali artifizi esplosivi primari eredi, per quanto riguarda la parte esplosiva, di quelli inventati dal chimico e ingegnere Alfred Nobel nel 1867 contenenti una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, innescato a sua volta da pochissimo esplosivo primario, lo Stifnato di Piombo, scoperto dal chimico tedesco Peter Griess nel 1874. Questo è avviato da un particolare sistema inventato da Per Anders Persson di Nitro Nobel AB e registrato col marchio Nonel, costituito da un connettore, uno speciale tubo estruso in plastica flessibile del diametro esterno di 3 millimetri e diametro interno di 1,5 millimetri, che permette l’accensione del detonatore alla sua estremità tramite un’onda esplosiva generata da un sottile strato di esplosivo del peso di 20 grammi per metro lineare posto sul suo diametro interno e che confina la reazione all’interno del tubo senza ripercussioni esterne, l’HMX, formalmente la ciclotetrametilentetranitroammina, è un esplosivo ad alta velocità dalle caratteristiche eccezionali scoperto e brevettato nel 1930 e successivamente codificato col nome “HM” per High Molecular weight, ad alto peso molecolare, e "X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva. L’esplosivo prodotto nello stabilimento è invece di due tipologie. Il primo, confezionato in sacchi da 25 chilogrammi, è l’ANFO, il suo nome sta per “Ammonium Nitrate Fuel Oil”, uno dei preferiti dall’ETA spagnola e dagli estremisti libici e palestinesi, un esplosivo di grande sicurezza scoperto nel 1950 e costituito da 94% di Nitrato d'Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, 6% di olio combustibile e altri additivi minori, e impiegato in grossi quantitativi per la sua bassissima sensibilità e il suo bassissimo costo di produzione. Il secondo esplosivo è una emulsione, l’Emulite-100, creata dall’azienda nel 1961 e costituita da un 90% di soluzione concentrata di Nitrato d’Ammonio e 10% di olii, cere e paraffine, che formano un composto ad alte prestazioni ideale per i lavori in sotterraneo in presenza di rocce dure ed estremamente dure. L’Emulite-100 è prodotta sia in versione sfusa per il trasporto con camion cisterna per essere pompato direttamente nei fori da mina, oppure in cartucce avvolte in strati di carta o film di vari diametri e misure a seconda del tipo di roccia e del lavoro da svolgere: 25 millimetri di diametro, una lunghezza di 200, un peso di 100 grammi e confezionate in 200 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 32 millimetri di diametro, una lunghezza di 200, un peso di 160 grammi e confezionate in 125 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 32 millimetri di diametro, una lunghezza di 300, un peso di 250 grammi e confezionate in 80 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 50 millimetri di diametro, una lunghezza di 480, un peso di 1.000 grammi e confezionato in 20 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi; 65 millimetri di diametro, una lunghezza di 530, un peso di 2.000 grammi e confezionato in 10 pezzi a scatola per un peso complessivo di 20 chilogrammi. Gli elementi primari sono stoccati in superficie accanto all’impianto di produzione, in strutture costituite da 40 scompartimenti per il Nitrato d’Ammonio, una cisterna da 20 mila litri per la soluzione ossidante, una da 25 mila litri per il carburante, una da 85 mila litri per l’esplosivo in emulsione non sensibilizzata divisa in due serbatoi e una ulteriore cisterna da 10 mila litri per l’olio combustibile posta ad una distanza di 18 metri dalle precedenti. Separato è tenuto invece il prodotto finito, immagazzinato in scompartimenti stagni all’interno delle riservette, camere sotterranee blindate e strutturalmente rinforzate. Sono le ore 09:45, la miniera è attiva e la produzione di esplosivo procede a pieno regime, 13 operai si stanno alternando alle varie postazioni nei reparti di approvvigionamento, macinazione, miscelazione, estrusione, confezionamento e stoccaggio. Sulla prima linea, 1.250 chilogrammi di emulsione sfusa sono in lavorazione e altri 50 sono sul piano di raffreddamento, incantucciati e in attesa di essere chiusi nelle scatole. A pochi metri, 30 chilogrammi di ANFO stanno invece girando nel miscelatore mentre 120 sacchi da 25 chilogrammi sono sul piano di carico di un camion proprio accanto alle macchine in movimento. È un impianto particolare, molto complesso e delicato, che non lascia spazio ad errori e dove in passato ci sono già stati incidenti. I turni pesanti, il clima, i vapori durante le fasi di lavorazione e purtroppo, paradossalmente, il mediocre livello di qualifica del personale e il precario stato di manutenzione delle macchine rendono questa linea di produzione una bomba ad orologeria. Le forti vibrazioni e i rumori sordi sono frequenti durante le operazioni di produzione ma oggi qualcosa attira l’attenzione dell’addetto alla pompa. Alcuni ì colpi sordi e un repentino rallentamento del rotore lo incuriosisce ma non abbastanza da fermare la linea. L’uomo si avvicina al rullo per verificare la totale efficienza del macchinario per il confezionamento ma mentre apparentemente non sembra esserci niente di preoccupante, all’interno della pompa a cavità progressiva, dove l’emulsione è fatta passare in maniera forzata attraverso un rotore metallico a forma di spirale posto a contatto con uno statore in gomma, si sono formate delle crepe che l’addetto alla macchina non vede. In pochi secondi il rumore diventa più intenso, i sostegni vibrano, la pompa si muove, il tecnico sbianca voltandosi in direzione del pulsante di blocco. È troppo tardi, il rotore oscilla flettendo gli ingranaggi e provocando degli attriti e delle contropressioni che in meno di sei secondi innalzano la temperatura all’interno della cavità stagna. L’uomo non ha il tempo di fare nulla, l’Emulite-100, penetrata attraverso le fessure, ha raggiunto il cuscinetto aumentando la compressione, gli attriti e sollevando esponenzialmente la temperatura oltre i 230 gradi centigradi. L’emulsione all’interno dell’accoppiamento del mozzo del rotore si attiva, la pompa esplode. La detonazione, con una velocità di 5.900 metri al secondo produce 888 litri di gas per ogni chilogrammo di composto facendo propagare l’esplosione per tutta la linea. 1.300 chilogrammi di emulsione saltano in aria producendo una sfera di 1.154.400 litri di gas ad alta pressione che investono il miscelatore dell’ANFO e il pianale del camion che esplodono con una velocità di 3.300 metri al secondo producendo un volume di gas pari a 975 litri per chilogrammo. I 3.030 chilogrammi detonano scatenando l’Inferno, 2.954.250 litri di gas si sommano ai precedenti in una reazione a catena che disintegra l’intera linea di produzione, scoperchia il capannone principale, abbatte la struttura in acciaio e falcia 11 operai come spighe, dilaniandoli e sparpagliandoli in un raggio di 600 metri. Una spaventosa palla di fuoco si solleva sulla fabbrica, sotto di lei lo stabilimento è distrutto, il piazzale è devastato, le strutture attorno sono state attraversate da parte a parte. I container, i sili, i depositi, sono rovesciati, schiacciati e circondati da un mare di fuoco che continua ad alimentarsi senza freno a causa dei danni irreversibili all’impianto antincendio. Il portellone anteriore di uno dei container si apre, escono due figure, sono due sopravvissuti. L’onda d’urto, investendo il gigantesco box, lo ha ribaltato sbarrando i portelloni e chiudendoli dentro salvandogli la vita. Fuori da lì tutto brucia, i due sanno che non è ancora finita, ancora sanguinanti corrono sostenendosi a vicenda cercando di allontanandosi il più velocemente possibile dal cratere, un buco dei diametri di 7 metri per 5 e profondo 2. Sul Punto Zero le fiamme aumentano, il calore anche, a 300 metri di metri di distanza gli addetti alle macchine si rialzano da terra ancora storditi, negli uffici gli impiegati colpiti dagli arredi caduti, sono malconci e feriti a causa delle schegge di vetro volate delle vetrate andate in mille pezzi. Ci vuole più di un’ora per mettere in salvo il personale e organizzare i soccorsi, il terreno aspro rende difficile i collegamenti all’interno del sito e l’esplosione ha cancellato anche il percorso per lo stabilimento della Dyno Wesfarmer Ltd. Sono le ore 11:02, la temperatura degli incendi, alimentati dalle decine di migliaia di litri di olio combustibile, nel Punto Zero raggiunge la soglia critica, tutti i depositi saltano in aria, 75 tonnellate di emulsione e 15 di Nitrato d’Ammonio esplodono con un ruggito. 81.225.000 litri di gas ad alta pressione squarciano l’aria, la terra si apre, un’onda d’urto appiattisce qualsiasi cosa per 2 chilometri. Ciò che non ha danneggiato la prima esplosione, lo fa la seconda. La fabbrica è letteralmente spazzata via assieme all’intero impianto di produzione, al settore per l’assemblaggio del sistema Nonel, alle cisterne e ai garage. Gli uffici, le officine, i depositi, si spalancano, le macchine sobbalzano, molte si rovesciano, mentre i tunnel vengono investiti da una scossa sismica che provoca crolli lungo tutta la linea. Una seconda palla di fuoco si alza nel cielo per 450 metri seguita da una nube di fumo che ricopre l’intero complesso minerario. In basso non c’è più nulla, la violenza dello spostamento d’aria ha cancellato tutto. Lo stabilimento della Dyno Westfarmer Ltd non esiste più, la sua posizione, creduta ottimale e ritenuta essere il punto di forza del complesso minerario e della sua attività estrattiva, si è appena trasformato nella sua condanna. I morti, le decine di feriti, la distruzione e un cratere di 40 metri di diametro e 15 di profondità ricorderanno alla Barrick Gold e ai partner della Porgera Joint Venture che delle severe procedure di sicurezza, un personale altamente qualificato e un controllo rigoroso e giornaliero delle attrezzature, soprattutto in materia di esplosivi, sono necessari se non addirittura fondamentali per l’ottenimento di un prodotto di alto livello che difficilmente consente di commettere errori una seconda volta.

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