01 novembre, 2021

Nāṣiriya, Base MSU Maestrale, 12 novembre 2003


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: camion-bomba suicida
DATA:
12 novembre 2003
STATO: Iraq
LUOGO: Nāṣiriya, Base MSU Maestrale
MORTI:
28
FERITI:
119

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 12 novembre 2003 e nella città di Nāṣiriya sono le ore 10:00. Siamo nella provincia di Dhi-Qar che si estende su un'area di circa 13 mila chilometri quadrati con una popolazione di quasi un milione di persone. Nāṣiriya, a maggioranza sciita, ne è il capoluogo di provincia, situata a circa 375 chilometri a sud della capitale Baghdad e centro di grande rilevanza dal punto di vista militare. I militari italiani si trovano qui dal 19 luglio, da quando hanno dato il cambio ai Marines americani del 2° Battaglione del 25° Reggimento. L’”Operazione Antica Babilonia”, la missione italiana iniziata il 15 luglio e classificata come missione di “peacekeeping” autorizzata dalle Nazioni Unite conseguentemente alla guerra avviata dagli Stati Uniti d’America per deporre il dittatore Saddam Hussein, è nel pieno del suo svolgimento. Tra le attività politiche e militari svolte al “mantenimento della pace internazionale” i militari italiani hanno diversi compiti e la bonifica, la ricostruzione del "comparto sicurezza" iracheno attraverso l'assistenza per l'addestramento e l'equipaggiamento, il concorso al ripristino di infrastrutture pubbliche, alla riattivazione dei servizi essenziali e all’ordine pubblico, sono alcuni di questi. Il comando dell’operazione, l'Italian Joint Task Force, il IJTF, si trova fuori città, nella base “White Horse”, a 7 chilometri in linea d’aria dal centro abitato. In città i Carabinieri e l’Esercito occupano altre due basi distanti 350 metri l’una dall’altra, gli uomini dell’Esercito si trovavano in quella denominata “Libeccio”, dove hanno sede sia il Battaglione, il Multinational Specialized Unit, sia il Comando del Reggimento MSU/IRAQ, i Carabinieri invece si trovavano nella “Maestrale”, soprannominata “Animal House”, anch’essa base MSU e che occupa l’ormai vecchio edificio che durante il regime di Saddam Hussein era la sede della Camera di Commercio. Perché il peacekeeping abbia un maggiore impatto e i soldati abbiano un contatto diretto con la popolazione locale, i contingenti si trovano proprio nel centro abitato, ma quello che in termini logistici può essere sicuramente un vantaggio, in termini strategici è un disastro: le basi sono scoperte e mal difese. A differenza delle altre, nel deserto, queste sono facili da colpire, soprattutto la Base Maestrale, priva di difese passive “a zig zag”, di blocchi stradali e di solide mura statiche perimetrali di protezione. Nāṣiriya si trova nel sud dell’Iraq, una zona dove gli scontri con la minoranza sunnita e con le forze internazionali sono molto meno gravi e frequenti che in altre zone del paese, come intorno alle città di Baghdad e Tikrit, presidiate dall’esercito americano. I primi mesi dell’operazione sono passati senza incidenti, ma mentre si ha l’illusione che i rapporti con la popolazione siano buoni e di reciproca collaborazione, in città è pronto già da qualche mese un piano d’attacco proprio contro una delle basi. Il leader Aḥmad Fāḍil al-Nazāl al-Khalāʾil, noto con lo pseudonimo di Abū Musʿab al-Zarqāwī, appoggiato dagli estremisti sunniti aveva dato l’assenso a Said Mahmoud Abdelaziz Haraz per l’organizzazione un raid suicida contro la Base Maestrale, la più adatta allo scopo in quanto sita lungo un’arteria principale che non sarebbe mai potuta essere chiusa. Abū Musʿab al-Zarqāwī è uno dei comandanti operativi di al-Qaida, e grazie alla sua maggiore visibilità come leader dell'insurrezione contro i militari americani e il governo provvisorio dell'Iraq, ha un potere e un’influenza maggiore dello stesso Osāma bin Lāden, il leader del movimento fondamentalista islamista sunnita paramilitare terroristico nato nel 1988 durante la Guerra in Afghanistan e guidato dal miliardario saudita 17esimo dei 57 figli dell’immobiliarista yemenita Mohammed bin Awad bin Lāden, che avvalso della guida ideologica di al-Zawāhirī, scrittore, poeta e medico de Il Cairo appartenente ad una famiglia di dotti religiosi e di magistrati, aveva deciso di utilizzare soldi e macchinari della propria impresa di costruzioni per aiutare la resistenza dei mujaheddin durante l’invasione. La benedizione per la strage era stata data durante un incontro del "Consiglio della shura", l'organo ideologico-religioso dell'organizzazione terroristica “Al Tawhid wal Jihad'' rinominata “Tainzim qaidtu al jihad fi bilad al rafidain”, “Base del jihad nella terra dei due fiumi”, con l’annessione ad al-Qaida. Il colloquio si era tenuto dalle parti di Falluja e a cui avevano partecipato, oltre il leader di al-Qaida in Iraq, anche Abu Anas al Shami, 38 anni giordano, Capo del Consiglio, Abu Adnan, portavoce e addetto stampa, Haji Thamer, iracheno, responsabile della "sezione operazioni suicide", e i membri più influenti: Abu Salman al Shami, Abab Turki, Nidal al Arabiya, e Abu Omar Al Masri, egiziano e braccio destro ed erede di al-Zarqāwī. Said Mahmoud Abdelaziz Haraz aveva iniziato a lavorare al progetto assieme ad Haji Thamer dopo che questo era nato quasi per caso, quando Thamer si era trovato di passaggio a Nāṣiriya durante un viaggio nella città di Bassora. Aveva notato la bandiera italiana sventolare su un edificio e aggredire una preda che non immaginava alcun tipo di agguato era stato un pensiero che aveva acceso l'ex ufficiale disertore dell’esercito di Saddam Hussein. Essendo in zona sciita ed essendo un quadrante scoperto dagli uomini di al-Zarqāwī, nessuno si sarebbe mai immaginato che avrebbe potuto arrivare fino a lì. Il progetto era stato quindi proposto al leader e di conseguenza passato al vaglio del consiglio. L'obiettivo sarebbe stato quello di colpire il Governo Berlusconi mandando così un messaggio chiaro all'Italia e agli altri Stati della Coalizione: il ritiro immediato dalla città. Said Mahmoud Abdelaziz Haraz, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Abū ‘Omar al-Kurdī, è un 35enne iracheno veterano dei campi di addestramento in Afghanistan e uno dei massimi specialisti di esplosivi, ai primi di ottobre, assieme a Haji Thamer si era trovato in città per il primo di tre sopralluoghi. I due erano arrivati via Baghdad su un autobus di linea partito da Ramadi, lo studio era durato poco più di due ore, con una serie di passaggi davanti all’obiettivo per studiarne le debolezze e individuare nelle vicinanze un luogo in cui parcheggiare il veicolo imbottito di esplosivo. Inizialmente avevano pensato ad un’autoambulanza dopo essere balzato ai loro occhi l’ospedale a pochi chilometri dalla base. Dopo due settimane il piano era pronto, colpire due obiettivi, per uno dei quali era stata scelta la base Maestrale. Questa è organizzata su di un comprensorio di dimensioni massime 80 metri per 70 sul terreno pianeggiante privo di asfalto ubicato in prossimità della riva sinistra del fiume Eufrate, all'altezza del ponte Al Zaitun. La palazzina sede del Comando e della parte logistica è una massiccio parallelepipedo di 15 metri per 22 e alto 10 con struttura in calcestruzzo armato, pilastri di sezione quadrata di 40 centimetri di lato e pannelli prefabbricati. Accanto c’è un container adibito a deposito munizioni in corrispondenza del lato sul fiume, il tutto è davanti ad un ampio spiazzo all’interno del perimetro allestito a parcheggio e alla movimentazione degli automezzi. L'entrata, una parte carraia e una pedonale che conduce alla palazzina, è protetta da sbarramenti con sacchi di sabbia e barriere hesco bastion, dei gabbioni metallici riempiti di ghiaia e terra utilizzati per creare un riparo provvisorio, molto efficace contro eventuali truppe a piedi ma decisamente meno contro veicoli pesanti. Inoltre, la zona è un cantiere a cielo aperto, i lavori per asfaltare la strada in piena attività avrebbe fornito una copertura per l’avvicinamento del veicolo-bomba. L’autoambulanza, confermata per essere utilizzata come mezzo d’attacco, sarebbe stata preparata assieme ad una autocisterna che avrebbe invece colpito un palazzo ministeriale. Da quella stessa notte erano iniziati i preparativi, l’autoarticolato era stato allestito per primo mentre l’esplosivo per riempire l’ambulanza sarebbe arrivato nei giorni a seguire con una seconda spedizione. L’organizzazione terroristica aveva avuto accesso ad una quantità inimmaginabile di esplosivo, completamente militare, ad alta velocità di detonazione e ciò era stato reso possibile grazie allo smantellamento di razzi e pezzi di artiglieria che Ammar az-Zubaidi, uno degli elementi della cellula addetto al procacciamento della materia prima, aveva trafugato assieme a decine di casse dai magazzini iracheni all'inizio dell'occupazione di inizio anno da parte della coalizione di paesi, guidata dagli Stati Uniti d’America assieme a Regno Unito, Australia e Polonia. La prima carica era stata assemblata all’interno del grosso camion cisterna di fabbricazione russa, un Kamaz, un residuato bellico dell’esercito iracheno con cabina di colore verde e serbatoio bianco, dove all’interno, a 160 centimetri dal suolo, avevano sistemato con cura certosina il risultato di un progetto figlio di anni di test e attentati dinamitardi contro obiettivi militari: una mostruosa carica concentrata con un rapporto fra la dimensione maggiore e quella minore non superiore di 4 e del peso di 3.500 chilogrammi finalizzata alla totale distruzione dell’obiettivo. Di questi, 2.000 chilogrammi erano costituiti da una parte di Trinitrotoluene sfuso, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt. Lo avevano ricavato estraendolo dalle testate da 25 chilogrammi dei razzi sovietici aria-terra da 122 millimetri BM-21 Grad, ognuno lungo 3,04 metri per 70 chilogrammi di peso, e dalle testate da 75 chilogrammi dei missili statunitensi Raytheon MIM-23B HAWK, missili terra-aria lunghi 5,03 metri, 638 chilogrammi di peso, un diametro di 37 centimetri e un’apertura alare di 1,21 metri. L’esplosivo, una volta aperti gli involucri, dopo essere stato liquefatto col vapore per essere prelevato più facilmente, era stato risolidificato in forme regolari e stipato in barili di plastica sigillati ermeticamente e accorpato ad una seconda tranche di esplosivo completamente diverso, il plastico C-4. Creato durante la Seconda Guerra Mondiale, evoluzione del C-3 con brevetto americano degli anni ’70, solitamente confezionato in cartucce è composto da 91% di RDX, 5,3% di plastificante dietilesile, 2,1% di poliisobutilene e 1,6% di olio lubrificante del tipo SAE 10. L’RDX, formalmente ciclotrimetilentrinitroammina, di caratteristiche eccezionali e scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898, era stato codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD” Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, e "X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva. Il resto della carica era costituita invece da proiettili di artiglieria: i BK-14M russi, proiettili perforanti in acciaio del calibro di 125 millimetri lunghi 677 millimetri contenenti una testata da 5,9 chilogrammi di Pentolite, gli HE432M iracheni, proiettili in acciaio altamente esplosivi del calibro di 130 millimetri lunghi 502 millimetri contenenti una testata da 5,3 chilogrammi di PBXN-5, gli M107 HE americani, proiettili in acciaio ad alto potenziale esplosivo del calibro di 155 millimetri lunghi 800 millimetri contenenti una testata da 6,6 chilogrammi di Composizione B, e gli americani M549 HERA, proiettili perforanti in acciaio del calibro di 155 millimetri lunghi 607 millimetri contenenti anch’essi la Composizione B nella testata ma in un peso di 7,3 chilogrammi. La Pentolite, il primo dei tre esplosivi ad altissimo potenziale, è una miscela formata da parti uguali di Trintrotoluene e Pentrite, questo uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens. Il secondo, il PBXN-5, è un prodotto sviluppato per la prima volta nel 1952 presso il Los Alamos National Laboratory, il laboratorio nazionale del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti inizialmente organizzato durante la Seconda Guerra Mondiale per la progettazione di armi nucleari come parte del Progetto Manhattan. Questo è composto per il 5% da tecnopolimeri sintetici e per il 95% da HMX, formalmente ciclotetrametilentetranitroammina, esplosivo ad alta velocità di caratteristiche eccezionali scoperto e brevettato nel 1930 e codificato col nome “HM” per High Molecular weight, ad alto peso molecolare, e "X", la classificazione, anche in questo caso nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva. Il terzo, la Composizione B, è un esplosivo sviluppato agli inizi della Seconda Guerra Mondiale dai laboratori di ricerca americani e composto da una percentuale del 39,5% di Trinitrotoluene, 1% di cera di paraffina e 59,5% di RDX. Le varie sezioni della gigantesca carica erano state collegate tra loro da un circuito ridondante di miccia detonante, un cordone esplosivo con l’anima interna in Pentrite diretto discendente di quello messo a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914. La miccia esplosiva era stata quindi affogata nelle miscele, un accorgimento utilizzato anche in altri attentati, adottato per assicurare una detonazione uniforme degli involucri in modo da non avere interruzioni nel passaggio dell’onda esplosiva da una sezione all’altra. Alla miccia detonante era stata poi nastrata una rete di detonatori elettrici, artifizi esplosivi primari, versioni moderne di quello inventato nel 1876 da Julius Smith, e costituiti da un cilindro di alluminio riempito con una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, innescato a sua volta da pochissimo esplosivo primario, l’Azoturo di Piombo, il preparato della Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890, sensibile ad urti e calore. Infine dai detonatori, collegati in serie anch’essi in modo ridondante, gli esplosivisti avevano fatto partire un cavo elettrico fissato ad un trefolo d’acciaio e che era stato fatto arrivare fino alla cabina, quindi ad un set di batterie e ad un doppio meccanismo di accensione: il primo, un interruttore a pressione nastrato sulla leva del cambio; il secondo, un doppio contatto a rilascio di pressione installato sotto il sedile dell’autista che sarebbe scattato nel caso lui fosse stato abbattuto durante l’avvicinamento all’obbiettivo. La bomba era completata, infinitamente terribile, tecnicamente perfetta. A fine ottobre l’autocisterna e l’ambulanza avevano lasciato Ramadi subito dopo la preghiera, la prima guidata da Haji Thamer, la seconda da Abū ‘Omar al-Kurdī. Accanto a lui, i due shahid, i martiri che si sarebbero immolati: Abu Zubeir Al Saudi, di 23 anni, saudita e Abu Abdallah Orduni, 33 anni, giordano. Erano arrivati dalla fabbrica dei martiri di Falluja, due dei tanti giovani stranieri che, all'inizio della guerra, erano arrivati in Iraq per combattere con al-Zarqāwī e immolarsi contro gli invasori stranieri. Avevano vissuto in una casa messa a disposizione dall’organizzazione dove nella “stanza dei martiri” avevano scritto il proprio nome su una lista affissa sulla parete mettendosi in fila per morire: uno si sarebbe fatto saltare sull’ambulanza, uno sulla cisterna. Ma mentre la prima era arrivata a Nāṣiriya per le ore 13:00, la seconda era stata fermata ad un posto di blocco della polizia di Kut, a 170 chilometri a sud-est di Baghdad, sulle rive del Tigri, in mezzo alle piantagioni di datteri che rompono le paludi. Haji Thamer era stato arrestato e il camion era finito assieme a lui nella caserma dove la “nuova polizia irachena”, sotto il controllo del contingente ucraino, aveva rilasciato l’autista ma concesso la restituzione del mezzo sotto compenso di 10 mila dollari americani. La trattativa si era conclusa all’alba del 12 novembre col pagamento di soli 300 dollari. Alle ore 09:00 uno degli agenti aveva consegnato di persona l'autocisterna ad Haji Thamer al confine della provincia di Wasit dove aveva poi proseguito per Nāṣiriya. Gli italiani erano stati appena condannati a morte. Nel frattempo, l’ambulanza era stata impiegata in un altro mattatoio, la Croce Rossa di Baghdad il 27 ottobre e a sostituire Abu Abdallah Orduni, morto nell’esplosione, era arrivato un altro giovane, un algerino di 33 anni, Bellil Belgacem. Proveniente da Jaén in Andalusia dove faceva il bracciante, aveva vissuto per un paio di mesi a Vilanova i la Geltru, un comune situato nella comunità autonoma della Catalogna dove era stato reclutato nella moschea locale di Al Forkan. Uno degli imam, Mohammed Samadi, aveva fatto durante la preghiera un riferimento diretto alla jihad violenta, Bellil si era mostrato interessato e la cosa non era sfuggita all’occhio Mohamed Mrabet Fhasi, originario di Tangeri e capo della cellula di reclutamento di terroristi per al-Zarqāwī. Era stato scelto come candidato al martirio, accolto nell’appartamento che condivideva con suo fratello Khalid e messo a lavorare nella macelleria Boughaz del quartiere. In quell'appartamento aveva cominciato il suo indottrinamento, era stato sottoposto ad un processo teso a dominare il suo tempo e il suo pensiero obbligandolo a dedicarsi anima e corpo al pensiero della jihad, alla morte rituale, al fine di annullare la sua volontà. Di questo se ne era occupato l’imam Mustafà Serroukh, personaggio di primo piano del radicalismo islamico in Spagna, braccio destro dell’imam Hicham Temsamani, collegamento tra la cellula spagnola e le altre realtà islamiche radicali in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Algeria, Marocco, Siria, Turchia e Iraq. Una volta ripulito da ogni pensiero esterno, era stato affiancato ad Abu Zubeir Al Saudi e preparato per la missione. Sono le ore 10:34 di quel 12 novembre e alla Base Maestrale una troupe cinematografica si trova all’interno del perimetro per una sosta veloce. Il regista, Stefano Rolla e il suo aiuto regista, Aureliano Amadei, sono in piedi nel piazzale antistante l’ingresso della palazzina in compagnia del cooperatore internazionale Marco Beci. Stanno discutendo del programma della giornata riguardo le riprese dello sceneggiato in lavorazione sulla ricostruzione a Nāṣiriya da parte del contingente italiano. La troupe è accompagnata nel corso dei suoi spostamenti da una squadra del 151° Reggimento Fanteria “Sassari” e tre soldati del 6º Reggimento Trasporti della Brigata Logistica di Proiezione. Il camion-cisterna si avvicina a bassa velocità al ponte sull’Eufrate, solo poche centinaia di metri lo separano dalla base. Al volante c’è Abu Zubeir Al Saudi, accanto a lui Bellil Belgacem stringe tra le mani un fucile automatico Ak-47. Le strade sono un fiume di persone ma nessuno fa caso a quel mezzo pesante che sta via via aumentando l’andatura. Haji Thamer è poco distante e sta osservando con attenzione le manovre del camion, vuole assistere all’esplosione, vuole essere sicuro che il carico di distruzione all’interno del rimorchio faccia il suo dovere. Sono le ore 10:38 e il camion attraversa il ponte, all’altezza della base gira a sinistra puntando verso il posto di guardia dell’entrata del vecchio edificio della Camera di Commercio. Gli italiani dall’ultimo sopralluogo hanno alzato delle protezioni ulteriori ma il camion non si ferma, Abu Zubeir Al Saudi preme sull’acceleratore facendo sobbalzare il pesante mezzo mentre Bellil Belgacem ha già fuori dal finestrino la canna del fucile col colpo inserito e la modalità a raffica. Il mezzo passa accanto al chiosco di Hassan Saad, un ragazzo di 17 che sta vendendo bombole di gas da cucina che, visto il fucile scorgere dalla cabina, lascia tutto arrampicandosi su una recinzione per allontanarsi di corsa. Il rombo del motore sovrasta le auto di passaggio, il mezzo viene visto dal corpo di guardia, accelera, i militari non fanno in tempo a dare l’allarme che il passeggero inizia a sparare nella loro direzione. Il camion prosegue a tutta velocità sfondando la sbarra di metallo, l’autista ha la mano destra sul pulsante e il piede sull’acceleratore, non si ferma, è sotto il fuoco del carabiniere Andrea Filippa che sta scaricando l’intero caricatore sul parabrezza. Sbanda, travolge gli hesco bastion fermandosi a 26 metri dalla facciata. L’urto del muso del camion contro le barriere sbalza in avanti Abu Zubeir Al Saudi che fracassandosi sul volante annulla la pressione sul sedile attivando la molla del secondo contatto. La corrente elettrica dal pacco batterie arriva ai detonatori, la miscela incendiaria all’interno prende fuoco innescando l’Azoturo di Piombo e facendo detonare la Pentrite che attiva la miccia detonante. In un decimo di secondo il cordone esplosivo arma le sezioni della carica all’interno del rimorchio che esplodono contemporaneamente. Il Kamaz si trasforma in una sfera di fuoco del raggio di 25 metri, è un’esplosione fortissima, terribile, l’aria e la terra vengono scosse con un ruggito. I 3.500 chilogrammi del super-esplosivo detonano alla velocità di oltre 8.000 metri al secondo. La forza dell’esplosione scaglia in aria la ghiaia degli hesco bastion, schiaccia e ribalta gli 11 automezzi pesanti parcheggiati prima di impattare contro l’angolo dell’edificio che viene sventrato, passato da parte a parte, strappando il primo pilastro dal suo vincolo superiore e abbattendolo verso l’interno. L’onda d’urto, una volta spogliata la facciata e demolite le strutture verticali di irrobustimento del lato sinistro e parte del destro, si incanala nei locali della palazzina devastandoli. Porte e finestre vanno in pezzi, le pareti si aprono, i solai si sollevano. L’onda di pressione, dopo una corsa di 350 metri, raggiunge la Base Libeccio, quasi di fronte alla Base Maestrale ma sulla riva destra del fiume Eufrate, frantumando le finestre, scardinando i telai degli infissi, crepando i muri e finendo la sua furia sull’edificio della International Medical Corps, una Organizzazione Non Governativa americana attiva nella zona da sei mesi. A 800 metri le finestre del tribunale vanno in pezzi riversandosi sui presenti intenti ad assistere a un’udienza. Il calore è immenso, le lamiere si arroventano, i corpi si sciolgono, la terra fuma. La riservetta salta in aria, una tempesta di proiettili bersaglia ogni cosa in ogni direzione. È un Inferno, ci vuole qualche minuto perché la polvere si depositi e renda visibile l’ecatombe. In 28 sono stati falciati come fili d'erba, i loro corpi sono a terra senza vita. L’interno del perimetro è stato ridotto in polvere e con esso 12 carabinieri, 5 soldati, il regista e il cooperatore internazionale. Sul terreno, tra la ghiaia e le fiamme ci sono altri 19 carabinieri, miracolosamente vivi ma feriti, c’è anche Stefano Rolla, l’aiuto regista, tra le urla, la confusione e un centinaio di iracheni feriti cerca di capire cosa sia successo. Non si vede niente, ci sono solo polvere, sangue e macerie. La furia della bomba ha devastato il quartiere, a terra c’è solo sangue, morte, i resti straziati di quelli che fino a pochi secondi prima stavano svolgendo le loro mansioni. Carcasse di mezzi in fiamme, brandelli di corpi, un pezzo di gamba sono sparsi per decine di metri. Un’anca è sull'altra sponda dell'Eufrate, a 150 metri di distanza, e una testa, e poi ci sono i cani, che morsi dalla fame e vinto lo spavento del boato, portano timidamente via pezzi di carne andando a sparire tra la polvere. Poi c’è un auto, è ferma in mezzo alla strada arata dal passaggio del fronte d’onda, all’interno ci sono cinque figure, cinque donne irachene che rientravano da un college per insegnanti: sono state incenerite all’istante. Il calore e la pressione sono stati di una intensità tale da abbattersi anche sulle auto parcheggiate e sulle abitazioni dove in una delle quali una madre si trovava alla finestra con in braccio suo figlio di 10 giorni. Entrambi sono morti, la donna è a terra, scagliata contro il muro della camera da letto, il bambino invece è a 3 metri da lei in un lago di sangue e con ancora attaccato un braccio della madre. Sopra il quartiere una nuvola nera e densa continua a sollevarsi in cielo, mentre frammenti di pietra, calcestruzzo e metallo piovono senza sosta sulla città. Il traffico nella zona è impazzito, in alcuni tratti paralizzato, gli abitanti del quartiere sono scesi in strada in preda al panico. L’area è chiusa, la strada che conduce al complesso è bloccata e presidiata dai carabinieri, dai militari della Brigata Sassari e dagli uomini del Genio Guastatori che hanno attivato la macchina del soccorso. Ricomporre i corpi delle vittime sarà un’impresa titanica, per i feriti viene invece allertato il vicino ospedale dove stanno già confluendo i medici e le infermiere volontarie della Croce Rossa dell’ospedale militare italiano di Tallil. Nel Punto Zero, l’Animal House non c’è più, dove prima c’era uno dei punti nevralgici delle operazioni per il mantenimento della pace internazionale, ora c’è un rudere di cemento, scheletri di metallo e un cratere di 7,7 metri di diametro e 2,5 di profondità.

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