TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: camion-bomba
DATA: 25 giugno 1996
STATO: Arabia Saudita
LUOGO: Khobar, Khobar Towers Building
#131
MORTI: 19
FERITI: 488
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
È la sera del 25 giugno 1996, nell’edificio numero 131 delle Khobar
Towers gli ospiti si preparano per la notte. Khobar è una città sulla costa del
Golfo Persico vicino a Dhahran, nella provincia orientale dell'Arabia Saudita,
patria di molti musulmani sciiti che si lamentano spesso di abbandono e
discriminazione nel regno a maggioranza sunnita. Le Khobar Towers sono un grande
complesso residenziale costituito da diversi edifici della Base Aerea di King
Abdulaziz sparsi su decine di ettari nei pressi della compagnia petrolifera
nazionale di Saudi Aramco, con sede a Dhahran. Il complesso, comprensivo di un
parco e di una moschea, è utilizzato anche come alloggio dalle truppe
americane, britanniche e francesi. Mentre il governo saudita è nominalmente
responsabile della sicurezza dell'area, molti aspetti di questa sono stati
gestiti fin da subito dagli Stati Uniti d’America e i loro alleati occidentali.
I residenti sono membri delle forze della coalizione che lavorano alla
Operation Southern Watch, un'operazione di no-fly zone nel sud dell'Iraq nell'ambito
delle no-fly zone irachene. Il 13 novembre del 1995 un’autobomba con 200 chilogrammi
di esplosivo plastico era esplosa a Riyadh e questo evento aveva portato le
forze statunitensi di stanza a Khobar ad alzare esponenzialmente il livello di
allerta, questo perché, alcuni giorni dopo l'attacco, i comandanti erano stati
informati di un comunicato ricevuto da un'organizzazione che si dichiarava essere
la diretta responsabile dell'attacco a Riyadh. Gli aggressori asserivano che il
loro obiettivo era quello di ottenere che i membri delle Forze Armate della coalizione
lasciassero il paese, avvertendo che le Khobar Towers sarebbero state il
bersaglio successivo qualora il ritiro delle truppe non fosse iniziato
immediatamente. È stato in quel momento che si è deciso di intensificare la
sorveglianza e monitorare strettamente ogni attività nel pressi del perimetro
dell’obiettivo. Tuttavia, il governo saudita aveva proibito tassativamente qualsiasi
azione fuori del perimetro mentre la CIA, la Central Intelligence Agency
americana aveva sottovalutato le capacità ingegneristico-costruttive dei
militari sauditi non credendoli capaci di assemblare una bomba in grado di
eguagliare le dimensioni di quella usata nell’attentato a Riyadh. Si
sbagliavano. A causa di questo ragionamento non erano state prese adeguate
precauzioni sia nel fortificare le strutture, sia nel rivestimento degli
infissi, sia nel rinforzo degli ingressi esterni ed interni. A pochi chilometri
da Khobar invece, Ahmad Ibrahim al-Mughassil, alias Abu Omran, il saudita
divenuto comandante militare della fazione Hezbollah Al-Hejaz collegata
all'Iran, assieme ad Ali Saed Bin Ali El-Hoorie, Ibrahim Salih Mohammed
Al-Yacoub, Abdelkarim Hussein Mohamed Al-Nasser, tutti membri degli Hezbollah
sauditi, aveva nel frattempo pianificato l’attacco promesso. Ali Saed Bin Ali
El-Hoorie aveva progettato e preparato il carico esplodente a Qatif, una città
vicino Khobar, nascondendo in una cavità sotterranea una gigantesca quantità di
esplosivo, dei dispositivi di innesco e dei congegni a tempo conservati in
barattoli di vernice e sacchi di mangime. Al fine di mettere in pratica il
piano era stato recuperato un camion cisterna color verde oliva per lo smaltimento
delle acque reflue. Il grosso mezzo acquistato i primi di giugno del 1996 in Arabia
Saudita era stato completamente riprogettato e modificato nelle due settimane
successive, trasformando il rimorchio nell’involucro che avrebbe contenuto una
bomba costituita da benzina ed esplosivo, disponendo questo in modo da creare
una carica cava sagomata. L’esplosivo, un composto di tipo plastico militare ad
alto potenziale del peso di 2.268 chilogrammi, è il Semtex-1A. Di colore tra il
marrone e il rosso e confezionato in pani color mattone del peso di 2,5
chilogrammi è una delle varianti dell’esplosivo Semtex. Il suo nome sta per
SEMTìn, un sobborgo di Pardubice nella attuale Repubblica Ceca, dove il
composto era stato prodotto per la prima volta in grandi quantità dalla East
Bohemian Chemical Works Synthesia nel 1964, ed EXplosive. Progetto del chimico
cecoslovacco Stanislav Brebera, era stato sintetizzato negli anni ’50. Questa
variante 1A, la prima in assoluto, originariamente chiamata col nome di B1 era
esclusivamente per usi interni della ex Repubblica Cecoslovacca. Il Semtex,
molto simile al plastico militare C-4 ma con un diverso colore, è impermeabile
e utilizzabile in un campo di temperature più vasto. Esportato in tutto il mondo
in grandi quantità fino al 1981 e in quantità ridotte solo nei paesi membri del
Patto di Varsavia fino al 1989 con la sospensione delle esportazioni legali,
attualmente le grosse organizzazioni terroristiche e criminali ne controllano
il traffico e la detenzione. Il Semtex-1° è il prodotto dell’unione di due
elementi esplosivi primari: 76% in peso di Pentrite, uno degli esplosivi più
sensibili potenti, un “super-esplosivo” preparato per la prima volta nel 1891
dal chimico tedesco Bernhard Tollens; 4,6% in peso di RDX, formalmente Ciclotrimetilenetrinitramina,
di caratteristiche eccezionali scoperto e brevettato dal chimico e farmacista
tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e codificato con questo nome prima
dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala
dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD” Research and Development, ricerca e
sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, e
"X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta
definitiva; il legante gomma Stirene-Butadiene per il 9.4% in peso, il plastificante
n-ottilftalato al 9% in peso, lo 0,5% di antiossidante N-fenil-2-naftilammina
e lo 0,5% di colorante ne assicurano il riconoscimento e la malleabilità. La
carica di Semtex, esplosivo plastico dagli alti effetti distruttivi tanto caro
all’IRA irlandese e ai terroristi libici, sarebbe stata innescata da una miccia
detonante con anima in Pentrite, il cordone esplosivo esternamente rivestito
con resina termoplastica erede di quello messo a punto negli stabilimenti David
Bickford nel 1914. Questa, annegata nell’esplosivo per tutta la lunghezza della
carica sagomata, sarebbe stata a sua volta innescata da un circuito collegato in
serie di detonatori elettrici versioni moderne del tipo inventato nel 1876 da
Julius Smith e contenenti una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite,
innescata a sua volta da una miscela incendiaria e uno primario, il
sensibilissimo Azoturo
di Piombo preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. I
tecnici avevano studiato questo tipo di carica esplosiva perforante volendo
riprodurre in scala più grande l’effetto Munroe utilizzato soprattutto nelle
armi anticarro e nell’industria delle demolizioni: la parziale concentrazione
dell'energia esplosiva causata da un vuoto incavato in una parte di esplosivo,
particolare reazione di cui si era accorto appunto Charles Edward Munroe mentre
lavorava nel 1888 alla U.S. Naval Torpedo Station a Newport,
negli Stati Uniti. Il principio era stato ripreso e messo in pratica 22
anni più tardi dal tedesco Egon Neumann, che aveva scoperto che una carica di Trinitrotoluene,
esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand,
contenente un incavo di forma conica era in grado di lacerare una lastra di
metallo che in condizioni normali sarebbe stata solo intaccata dalla stessa
quantità di esplosivo. In pratica, una carica di esplosivo sagomata, anziché
disperdere la propria potenza esplosiva in maniera omnidirezionale, la
concentra nella cavità praticata in precedenza sulla carica stessa, a seconda
della sua forma. Praticando quindi una cavità conica o iperbolica in un
cilindro di esplosivo fatto detonare all'opportuna distanza dal bersaglio, si
concentra la forza dell'esplosione contro un punto di esso e causa quindi una
temperatura e una sovrappressione tale da disintegrare tutto nella direzione
scelta. Secondo questo principio, l’effetto del camion bomba studiato dagli Hezbollah
sauditi su uno degli edifici delle Khobar Towers sarebbe stato devastante:
innalzamento della temperatura, investimento degli occupanti da parte di
frammenti di metallo fuso e di cemento, ed esplosione di eventuali munizioni e
carburanti. Inoltre, la potenza dell'esplosione sarebbe stata moltiplicata
parcheggiando il mezzo col cono interno sagomato e riempito con barili di
benzina puntato in direzione dell'edificio a una distanza tale che l’effetto
brisante fosse il più produttivo possibile, complice anche la natura del
terreno che avrebbe aiutato a indirizzare correttamente l'onda pressoria e di
conseguenza l’effetto distruttivo desiderato dai progettisti. Quella sera del
25 giugno è senza nuvole, fa caldo, di solito a quell’ora della sera non c’è un
gran movimento nella zona ma stasera c’è meno traffico del solito. Nessuno si
immagina che il presidio militare di guardia all’ingresso principale del
complesso ha appena negato l’accesso ad una macchina che è dovuta tornare
indietro. Quella macchina è la prima della staffetta del convoglio bomba degli Hezbollah
sauditi e l’ingresso al complesso negato ha appena messo in moto il piano B: non
potendo attaccare dall’interno, si opta per un attacco laterale. Sono le ore 21:43,
la carovana composta dalla prima auto vedetta, una seconda auto per la fuga e
il camion bomba guidato da Ali Saed Bin Ali El-Hoorie stanno costeggiando
esternamente il complesso in tutta la sua lunghezza in direzione del parcheggio
adiacente alla costruzione numero 131. Questa è una struttura abitativa di otto
piani fuori terra della “United States Air Force's 4404th Wing” che al momento
ospita i piloti di una squadriglia di caccia di supporto. Il parcheggio è
separato dal complesso residenziale da una barriera di sicurezza in
calcestruzzo e una fila di piccoli alberi. La facciata dell’edificio numero 131
si trova ad una distanza di 22 metri dalla recinzione e con una stradina
asfaltata perimetrale interna tra la recinzione e la costruzione, spesso
utilizzata dal personale militare per fare jogging. La prima auto entra nel
parcheggio, cammina lenta, si ferma. Controlla lo stato dei luoghi, rimane sul
posto qualche minuto. Lampeggia coi fari in direzione della carreggiata, è
tutto tranquillo. In pochi secondi la cisterna seguita dalla seconda auto entra
in direzione del Punto Zero. Ali Saed Bin Ali El-Hoorie parcheggia il camion nei
pressi della recinzione, scende e con passo veloce sale sull’auto di scorta
che, seguita dalla prima staffetta, si allontana in direzione del parco. In
cima all’edificio si trova Alfredo Guerrero, sentinella americana della “4404th
Composite Air Force Wing”. È di pattuglia, cammina sul tetto assieme ad altri
due membri dell’aviazione. Ha appena assistito a tutta la scena, sta guardando
le due auto andare via e accelerare appena fuori dal parcheggio. Il suo sguardo
ora va al camion, è molto strano che sia stato parcheggiato in questo modo e a
quest’ora. Sgrana gli occhi, ha capito cosa sta per succedere. Avvisa gli
altri, corre per le scale a dare l’allarme. In pochi minuti cerca di
organizzare una rapida evacuazione facendo passare il personale in fuga per la
tromba delle scale. È in calcestruzzo armato e marmo e si trova in linea d’aria
nel punto più distante dalla cisterna. Questo è il luogo più sicuro, questo è
il luogo più resistente su cui può contare in quel momento. Guerrero urla, si
precipita per le scale, non c’è molto tempo. Dall’altra parte della struttura,
il tecnico Harold Jautakis è seduto nella sua poltrona reclinabile davanti alle
finestre del quarto piano a guardare il telegiornale della sera. Non è stato
avvisato. Neanche il pilota Eric Castor è stato avvertito, anche lui è al
quarto piano e sta parlando al telefono con la schiena rivolta verso un muro. Alle
ore 22:20 un congegno elettronico a tempo posto nella cabina del camion cisterna
arriva a 0. La corrente elettrica che da un pacco batterie arriva ai detonatori
dando fuoco alla miscela incendiaria all’interno di ogni detonatore. L’Azoturo
di Piombo si innesca facendo detonare la Pentrite della carica secondaria. In
un decimo di secondo la miccia esplosiva annegata nella carica cava detona
trasformando il camion cisterna in un imbuto d’aria e fuoco. L’esplosione è
potentissima, l’equivalente di 13.500 chilogrammi di Trinitrotoluene, così
potente che si sente nello Stato del Bahrain a 32 chilometri di distanza. L'onda
di sovrappressione impatta con tutta la forza contro la parete nord
dell'edificio 131 abbattendo la linea di barriere spartitraffico in
calcestruzzo armato di tipo Jersey posizionate lungo il perimetro di sicurezza
a ridosso del parcheggio. La struttura viene spazzata via, le pareti sul fronte
d’onda si polverizzano, quelle interne vengono spostate di 120 centimetri, le
porte in acciaio degli ascensori sono strappate via mentre quelle in legno di
quercia degli alloggi sono strappate dai cardini, i mobili sono fatti a pezzi, i
pavimenti in marmo si piegano verso il centro collassando nel vuoto. Harold
Jautakis vede la palla di fuoco sollevarsi da terra, la vede ingrandirsi sempre
di più, la vede avvicinarsi. Non fa in tempo ad alzarsi che i vetri gli
scoppiano addosso, il tavolo si ribalta, la poltrona gli fa da scudo per le
schegge ma lo schiaccia contro il soffitto. Ad Eric Castor il muro gli si
sbriciola addosso facendogli fare un volo di tre stanze. La potenza
distruttiva, studiata e direzionata è enorme, mostruosa. La facciata della
struttura abitativa di otto piani della “United States Air Force's 4404th Wing”
viene strappata e l’edificio sventrato, ogni oggetto è sbriciolato e
catapultato all’esterno. I vetri vanno in pezzi in un raggio di 450 metri. In
sei edifici vicini gli occupanti vengono scaraventati a terra, le lampade
scoppiano, i vetri diventano pugnali affilati che volano in tutte le direzioni.
Chi si trova davanti alla finestra viene proiettato all’indietro di 9 metri
verso il corridoio. All’esterno, l'onda di pressione sorprende i civili per
strada, non si accorgono di nulla, succede tutto in fretta. In mezzo secondo
sono investiti e sollevati da terra prima di essere sbattuti violentemente
contro l’asfalto, bersagliati da una pioggia di vetri, ferro e lapidati con
pietre e cemento. 252 militari americani e 236 civili sauditi sono sanguinanti,
storditi dall’impressionante boato e doloranti per la tempesta che li ha
travolti. Mentre si rialzano viene istintivo puntare lo sguardo verso quella
nuvola nera che continua a salire per centinaia di metri sopra il parcheggio. Sotto
di essa non c’è più niente, il camion è sparito, resta solo un odore di morte.
Al suo posto ora c’è un cratere di 26 metri di diametro e 10,6 metri di
profondità. Di fronte c’è ciò che resta di un edificio, un involucro
completamente aperto come una casa delle bambole, e come bambole sono stati sbattuti,
fracassati, i corpi resi irriconoscibili di 19 soldati americani morti a causa
di un errore di valutazione di quella agenzia che li avrebbe dovuti proteggere.
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