01 gennaio, 2019

Khobar, Khobar Towers Building #131, 25 giugno 1996


TIPOLOGIA: attentato
CAUSE: camion-bomba
DATA:
25 giugno 1996
STATO: Arabia Saudita
LUOGO: Khobar, Khobar Towers Building #131
MORTI:
19
FERITI:
488

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È la sera del 25 giugno 1996, nell’edificio numero 131 delle Khobar Towers gli ospiti si preparano per la notte. Khobar è una città sulla costa del Golfo Persico vicino a Dhahran, nella provincia orientale dell'Arabia Saudita, patria di molti musulmani sciiti che si lamentano spesso di abbandono e discriminazione nel regno a maggioranza sunnita. Le Khobar Towers sono un grande complesso residenziale costituito da diversi edifici della Base Aerea di King Abdulaziz sparsi su decine di ettari nei pressi della compagnia petrolifera nazionale di Saudi Aramco, con sede a Dhahran. Il complesso, comprensivo di un parco e di una moschea, è utilizzato anche come alloggio dalle truppe americane, britanniche e francesi. Mentre il governo saudita è nominalmente responsabile della sicurezza dell'area, molti aspetti di questa sono stati gestiti fin da subito dagli Stati Uniti d’America e i loro alleati occidentali. I residenti sono membri delle forze della coalizione che lavorano alla Operation Southern Watch, un'operazione di no-fly zone nel sud dell'Iraq nell'ambito delle no-fly zone irachene. Il 13 novembre del 1995 un’autobomba con 200 chilogrammi di esplosivo plastico era esplosa a Riyadh e questo evento aveva portato le forze statunitensi di stanza a Khobar ad alzare esponenzialmente il livello di allerta, questo perché, alcuni giorni dopo l'attacco, i comandanti erano stati informati di un comunicato ricevuto da un'organizzazione che si dichiarava essere la diretta responsabile dell'attacco a Riyadh. Gli aggressori asserivano che il loro obiettivo era quello di ottenere che i membri delle Forze Armate della coalizione lasciassero il paese, avvertendo che le Khobar Towers sarebbero state il bersaglio successivo qualora il ritiro delle truppe non fosse iniziato immediatamente. È stato in quel momento che si è deciso di intensificare la sorveglianza e monitorare strettamente ogni attività nel pressi del perimetro dell’obiettivo. Tuttavia, il governo saudita aveva proibito tassativamente qualsiasi azione fuori del perimetro mentre la CIA, la Central Intelligence Agency americana aveva sottovalutato le capacità ingegneristico-costruttive dei militari sauditi non credendoli capaci di assemblare una bomba in grado di eguagliare le dimensioni di quella usata nell’attentato a Riyadh. Si sbagliavano. A causa di questo ragionamento non erano state prese adeguate precauzioni sia nel fortificare le strutture, sia nel rivestimento degli infissi, sia nel rinforzo degli ingressi esterni ed interni. A pochi chilometri da Khobar invece, Ahmad Ibrahim al-Mughassil, alias Abu Omran, il saudita divenuto comandante militare della fazione Hezbollah Al-Hejaz collegata all'Iran, assieme ad Ali Saed Bin Ali El-Hoorie, Ibrahim Salih Mohammed Al-Yacoub, Abdelkarim Hussein Mohamed Al-Nasser, tutti membri degli Hezbollah sauditi, aveva nel frattempo pianificato l’attacco promesso. Ali Saed Bin Ali El-Hoorie aveva progettato e preparato il carico esplodente a Qatif, una città vicino Khobar, nascondendo in una cavità sotterranea una gigantesca quantità di esplosivo, dei dispositivi di innesco e dei congegni a tempo conservati in barattoli di vernice e sacchi di mangime. Al fine di mettere in pratica il piano era stato recuperato un camion cisterna color verde oliva per lo smaltimento delle acque reflue. Il grosso mezzo acquistato i primi di giugno del 1996 in Arabia Saudita era stato completamente riprogettato e modificato nelle due settimane successive, trasformando il rimorchio nell’involucro che avrebbe contenuto una bomba costituita da benzina ed esplosivo, disponendo questo in modo da creare una carica cava sagomata. L’esplosivo, un composto di tipo plastico militare ad alto potenziale del peso di 2.268 chilogrammi, è il Semtex-1A. Di colore tra il marrone e il rosso e confezionato in pani color mattone del peso di 2,5 chilogrammi è una delle varianti dell’esplosivo Semtex. Il suo nome sta per SEMTìn, un sobborgo di Pardubice nella attuale Repubblica Ceca, dove il composto era stato prodotto per la prima volta in grandi quantità dalla East Bohemian Chemical Works Synthesia nel 1964, ed EXplosive. Progetto del chimico cecoslovacco Stanislav Brebera, era stato sintetizzato negli anni ’50. Questa variante 1A, la prima in assoluto, originariamente chiamata col nome di B1 era esclusivamente per usi interni della ex Repubblica Cecoslovacca. Il Semtex, molto simile al plastico militare C-4 ma con un diverso colore, è impermeabile e utilizzabile in un campo di temperature più vasto. Esportato in tutto il mondo in grandi quantità fino al 1981 e in quantità ridotte solo nei paesi membri del Patto di Varsavia fino al 1989 con la sospensione delle esportazioni legali, attualmente le grosse organizzazioni terroristiche e criminali ne controllano il traffico e la detenzione. Il Semtex-1° è il prodotto dell’unione di due elementi esplosivi primari: 76% in peso di Pentrite, uno degli esplosivi più sensibili potenti, un “super-esplosivo” preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens; 4,6% in peso di RDX, formalmente Ciclotrimetilenetrinitramina, di caratteristiche eccezionali scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920 come “RD” Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, e "X", la classificazione, nata come lettera provvisoria ma rimasta definitiva; il legante gomma Stirene-Butadiene per il 9.4% in peso, il plastificante n-ottilftalato al 9% in peso, lo 0,5% di antiossidante N-fenil-2-naftilammina e lo 0,5% di colorante ne assicurano il riconoscimento e la malleabilità. La carica di Semtex, esplosivo plastico dagli alti effetti distruttivi tanto caro all’IRA irlandese e ai terroristi libici, sarebbe stata innescata da una miccia detonante con anima in Pentrite, il cordone esplosivo esternamente rivestito con resina termoplastica erede di quello messo a punto negli stabilimenti David Bickford nel 1914. Questa, annegata nell’esplosivo per tutta la lunghezza della carica sagomata, sarebbe stata a sua volta innescata da un circuito collegato in serie di detonatori elettrici versioni moderne del tipo inventato nel 1876 da Julius Smith e contenenti una piccola quantità di esplosivo secondario, la Pentrite, innescata a sua volta da una miscela incendiaria e uno primario, il sensibilissimo Azoturo di Piombo preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. I tecnici avevano studiato questo tipo di carica esplosiva perforante volendo riprodurre in scala più grande l’effetto Munroe utilizzato soprattutto nelle armi anticarro e nell’industria delle demolizioni: la parziale concentrazione dell'energia esplosiva causata da un vuoto incavato in una parte di esplosivo, particolare reazione di cui si era accorto appunto Charles Edward Munroe mentre lavorava nel 1888 alla U.S. Naval Torpedo Station a Newport, negli Stati Uniti. Il principio era stato ripreso e messo in pratica 22 anni più tardi dal tedesco Egon Neumann, che aveva scoperto che una carica di Trinitrotoluene, esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, contenente un incavo di forma conica era in grado di lacerare una lastra di metallo che in condizioni normali sarebbe stata solo intaccata dalla stessa quantità di esplosivo. In pratica, una carica di esplosivo sagomata, anziché disperdere la propria potenza esplosiva in maniera omnidirezionale, la concentra nella cavità praticata in precedenza sulla carica stessa, a seconda della sua forma. Praticando quindi una cavità conica o iperbolica in un cilindro di esplosivo fatto detonare all'opportuna distanza dal bersaglio, si concentra la forza dell'esplosione contro un punto di esso e causa quindi una temperatura e una sovrappressione tale da disintegrare tutto nella direzione scelta. Secondo questo principio, l’effetto del camion bomba studiato dagli Hezbollah sauditi su uno degli edifici delle Khobar Towers sarebbe stato devastante: innalzamento della temperatura, investimento degli occupanti da parte di frammenti di metallo fuso e di cemento, ed esplosione di eventuali munizioni e carburanti. Inoltre, la potenza dell'esplosione sarebbe stata moltiplicata parcheggiando il mezzo col cono interno sagomato e riempito con barili di benzina puntato in direzione dell'edificio a una distanza tale che l’effetto brisante fosse il più produttivo possibile, complice anche la natura del terreno che avrebbe aiutato a indirizzare correttamente l'onda pressoria e di conseguenza l’effetto distruttivo desiderato dai progettisti. Quella sera del 25 giugno è senza nuvole, fa caldo, di solito a quell’ora della sera non c’è un gran movimento nella zona ma stasera c’è meno traffico del solito. Nessuno si immagina che il presidio militare di guardia all’ingresso principale del complesso ha appena negato l’accesso ad una macchina che è dovuta tornare indietro. Quella macchina è la prima della staffetta del convoglio bomba degli Hezbollah sauditi e l’ingresso al complesso negato ha appena messo in moto il piano B: non potendo attaccare dall’interno, si opta per un attacco laterale. Sono le ore 21:43, la carovana composta dalla prima auto vedetta, una seconda auto per la fuga e il camion bomba guidato da Ali Saed Bin Ali El-Hoorie stanno costeggiando esternamente il complesso in tutta la sua lunghezza in direzione del parcheggio adiacente alla costruzione numero 131. Questa è una struttura abitativa di otto piani fuori terra della “United States Air Force's 4404th Wing” che al momento ospita i piloti di una squadriglia di caccia di supporto. Il parcheggio è separato dal complesso residenziale da una barriera di sicurezza in calcestruzzo e una fila di piccoli alberi. La facciata dell’edificio numero 131 si trova ad una distanza di 22 metri dalla recinzione e con una stradina asfaltata perimetrale interna tra la recinzione e la costruzione, spesso utilizzata dal personale militare per fare jogging. La prima auto entra nel parcheggio, cammina lenta, si ferma. Controlla lo stato dei luoghi, rimane sul posto qualche minuto. Lampeggia coi fari in direzione della carreggiata, è tutto tranquillo. In pochi secondi la cisterna seguita dalla seconda auto entra in direzione del Punto Zero. Ali Saed Bin Ali El-Hoorie parcheggia il camion nei pressi della recinzione, scende e con passo veloce sale sull’auto di scorta che, seguita dalla prima staffetta, si allontana in direzione del parco. In cima all’edificio si trova Alfredo Guerrero, sentinella americana della “4404th Composite Air Force Wing”. È di pattuglia, cammina sul tetto assieme ad altri due membri dell’aviazione. Ha appena assistito a tutta la scena, sta guardando le due auto andare via e accelerare appena fuori dal parcheggio. Il suo sguardo ora va al camion, è molto strano che sia stato parcheggiato in questo modo e a quest’ora. Sgrana gli occhi, ha capito cosa sta per succedere. Avvisa gli altri, corre per le scale a dare l’allarme. In pochi minuti cerca di organizzare una rapida evacuazione facendo passare il personale in fuga per la tromba delle scale. È in calcestruzzo armato e marmo e si trova in linea d’aria nel punto più distante dalla cisterna. Questo è il luogo più sicuro, questo è il luogo più resistente su cui può contare in quel momento. Guerrero urla, si precipita per le scale, non c’è molto tempo. Dall’altra parte della struttura, il tecnico Harold Jautakis è seduto nella sua poltrona reclinabile davanti alle finestre del quarto piano a guardare il telegiornale della sera. Non è stato avvisato. Neanche il pilota Eric Castor è stato avvertito, anche lui è al quarto piano e sta parlando al telefono con la schiena rivolta verso un muro. Alle ore 22:20 un congegno elettronico a tempo posto nella cabina del camion cisterna arriva a 0. La corrente elettrica che da un pacco batterie arriva ai detonatori dando fuoco alla miscela incendiaria all’interno di ogni detonatore. L’Azoturo di Piombo si innesca facendo detonare la Pentrite della carica secondaria. In un decimo di secondo la miccia esplosiva annegata nella carica cava detona trasformando il camion cisterna in un imbuto d’aria e fuoco. L’esplosione è potentissima, l’equivalente di 13.500 chilogrammi di Trinitrotoluene, così potente che si sente nello Stato del Bahrain a 32 chilometri di distanza. L'onda di sovrappressione impatta con tutta la forza contro la parete nord dell'edificio 131 abbattendo la linea di barriere spartitraffico in calcestruzzo armato di tipo Jersey posizionate lungo il perimetro di sicurezza a ridosso del parcheggio. La struttura viene spazzata via, le pareti sul fronte d’onda si polverizzano, quelle interne vengono spostate di 120 centimetri, le porte in acciaio degli ascensori sono strappate via mentre quelle in legno di quercia degli alloggi sono strappate dai cardini, i mobili sono fatti a pezzi, i pavimenti in marmo si piegano verso il centro collassando nel vuoto. Harold Jautakis vede la palla di fuoco sollevarsi da terra, la vede ingrandirsi sempre di più, la vede avvicinarsi. Non fa in tempo ad alzarsi che i vetri gli scoppiano addosso, il tavolo si ribalta, la poltrona gli fa da scudo per le schegge ma lo schiaccia contro il soffitto. Ad Eric Castor il muro gli si sbriciola addosso facendogli fare un volo di tre stanze. La potenza distruttiva, studiata e direzionata è enorme, mostruosa. La facciata della struttura abitativa di otto piani della “United States Air Force's 4404th Wing” viene strappata e l’edificio sventrato, ogni oggetto è sbriciolato e catapultato all’esterno. I vetri vanno in pezzi in un raggio di 450 metri. In sei edifici vicini gli occupanti vengono scaraventati a terra, le lampade scoppiano, i vetri diventano pugnali affilati che volano in tutte le direzioni. Chi si trova davanti alla finestra viene proiettato all’indietro di 9 metri verso il corridoio. All’esterno, l'onda di pressione sorprende i civili per strada, non si accorgono di nulla, succede tutto in fretta. In mezzo secondo sono investiti e sollevati da terra prima di essere sbattuti violentemente contro l’asfalto, bersagliati da una pioggia di vetri, ferro e lapidati con pietre e cemento. 252 militari americani e 236 civili sauditi sono sanguinanti, storditi dall’impressionante boato e doloranti per la tempesta che li ha travolti. Mentre si rialzano viene istintivo puntare lo sguardo verso quella nuvola nera che continua a salire per centinaia di metri sopra il parcheggio. Sotto di essa non c’è più niente, il camion è sparito, resta solo un odore di morte. Al suo posto ora c’è un cratere di 26 metri di diametro e 10,6 metri di profondità. Di fronte c’è ciò che resta di un edificio, un involucro completamente aperto come una casa delle bambole, e come bambole sono stati sbattuti, fracassati, i corpi resi irriconoscibili di 19 soldati americani morti a causa di un errore di valutazione di quella agenzia che li avrebbe dovuti proteggere.

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