30 aprile, 2018

Monongah, Miniera di carbone, 6 dicembre 1907


TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
6 dicembre 1907
STATO:
Virginia Occidentale
LUOGO:
Monongah, Miniera di carbone
MORTI: 956
FERITI:
0

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È il 6 dicembre 1907, è venerdì, è una fredda mattina lavorativa come tante, dura, faticosa, qui a Monongah. Monongah è una cittadina della West Virginia che si fatica a trovare sulle carte geografiche, il suo nome indiano-americano nelle lingua della tribù Seneca significa "Fiume dalle acque ondulate". Le tremila anime che ci abitano vivono per la miniera della Fairmont Coal Company di proprietà della Consolidated Coal Mine of Baltimore. Per estrarre carbone e ardesia nei pozzi vi lavorano grandi e piccoli. Ogni operaio, regolarmente assunto e con appuntata sul petto la spilla d’ottone che riporta la matricola, è accompagnato da almeno due aiutanti. Questi sono adolescenti e bambini e la loro presenza sotto terra non è registrata da nessuna parte. Gli adulti guadagnano 10 centesimi l'ora, per i ragazzi invece c’è una mancia legata alla quantità di carbone portato in superficie. È tutta gente povera, semianalfabeta e sfruttata che vive in baracche di legno ricoperte di carta catramata, anche in dodici per stanza, pagando fino a dieci dollari al mese d’affitto, la metà dello stipendio. Ad Ellis Island, la porta d'ingresso per l'America, l’anno scorso solo dall’Italia sono arrivati in 300 mila, emigrati alla ricerca di una vita dignitosa, di un futuro. Dalla baia di New York li hanno portati qui a Monongah per soddisfare il bisogno di carbone e legname del boom industriale americano, anticipando i 15 dollari del viaggio che poi ha trattenuto dalle paghe settimanali. Alla miniera sono tutti giovani e vivono quasi da reclusi, i campi di lavoro sono controllati da guardie armate, non si può lasciare il campo per nessun motivo, almeno non prima di aver pagato tutti i debiti con la compagnia. Tutto ciò che si guadagna è speso qui, il vestiario, l’attrezzatura, perfino le rate alimentari sono gestite dallo spaccio della Compagnia mineraria che trattiene le spese dagli stipendi. Questa mattina, l’attività estrattiva delle gallerie numero 6 e numero 8 è a pieno regime e il lavoro degli operai continua ininterrottamente, come ogni giorno. L’impianto della Consolidated Coal Company è considerato una meraviglia della modernità industriale, l’energia elettrica alimenta i macchinari per tagliare il carbone, un sistema di rotaie con locomotive e carrelli ne provvede al trasporto mentre una teleferica consente la salita lungo il pendio della montagna. Le gallerie sono collegate da un ponte d’acciaio sopra il fiume West Fork in superficie e da un labirinto di tunnel in sotterraneo. La galleria numero 8 si trova sulla sponda occidentale del fiume, la numero 6 invece è sulla sponda opposta. La vena di carbone Pittsburgh giace a meno di 70 metri dalla cima della collina su cui si apre l'entrata principale della miniera, a circa 10 metri sotto il livello del fiume. In queste due gallerie, le principali per dimensioni, gli operai devono quotidianamente prestare la massima attenzione alle esalazioni di grisù, il gas combustibile silenzioso e letale costituito prevalentemente da metano, azoto, anidride carbonica, etano, elio, neon e idrogeno. Incolore ed inodore, essendo più leggero dell'aria, si trova raccolto in sacche isolate nelle parti alte delle gallerie. Per l’estrazione del minerale, qui come nella maggior parte delle miniere, si usa l’esplosivo. Pratico, più economico in termini di tempo e forza lavoro, è utilizzato quotidianamente nell’avanzamento delle gallerie. I depositi dove viene stoccato, le “riservette”, rifornite settimanalmente, per ragioni logistiche si trovano nella parte più bassa della miniera scavate nella roccia e rinforzate come piccoli bunker. I detonatori a fuoco, i tubetti di stagno inventato dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e riempiti col Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, sono riposti in una loggia rialzata immediatamente dopo le porte in ferro del deposito. A pochi metri, impilate dietro l’angolo della stanza a forma di “L” per ragioni di sicurezza in modo da essere a distanza dal resto del magazzino, si trovano le casse di Dinamite, qui utilizzata in una tipologia a base inerte, non esplosiva. Questa, brevettata sempre da Nobel nel 1867, è composta dalla Nitroglicerina sintetizzata dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, prodotto scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846,  miscelata con farina di roccia silicea sedimentaria di origine organica. Sono le ore 10:30 e la stanchezza si fa sentire, la poca luce, la fatica e la polvere sono pessime compagne di lavoro a cui non ci si riesce ad abituare. Al centro di uno dei tunnel, all’altezza di un nodo di scambio, due operai si stanno occupando della movimentazione dei carrelli lungo i binari per allontanarli dal fronte di scavo. Sulla parete le perforatrici stanno lavorando a ritmo serrato e tra poco verrà preparata per il caricamento dell’esplosivo nei fori da mina. Poco più indietro, sui binari, gli uomini alla prese col convoglio sganciano il primo carrello dalla testa della fila. Il terreno, reso scivoloso dalle continue infiltrazioni d’acqua non rende facile le operazioni, uno degli uomini inciampa perdendo il controllo del carrello. Il mezzo, col freno disinserito prende velocità, accade tutto velocemente e nessuno è in grado di fare niente se non guardarlo sparire nel buio. Questo, continuando ad accelerare lungo la galleria e sollevando al suo passaggio una nuvola di polvere di carbone percorre in pochi secondi il rettilineo fino allo scambio successivo in cui arriva a tutta velocità. Il vagone deraglia, si ribalta su un fianco andando a sbattere contro la parete dove trancia un cavo elettrico che prende fuoco con una lunga fiammata bianca. I granelli di polvere di carbone sollevati, andati a diminuire lo spazio tra quelli già sospesi in aria durante le operazioni di lavoro, si accendono. La nuvola si incendia, i minatori accanto vengono inceneriti, la galleria trema, il pavimento e le pareti si aprono. La rapida combustione in questo spazio confinato in cui la reazione chimica non ha il tempo di liberare tutta l'energia prodotta sotto forma di calore ne produce una parte consistente sotto forma di energia di pressione che genera a sua volta lo spostamento dell'aria circostante ad una velocità elevatissima. La mostruosa esplosione, formata da una catena di esplosioni ravvicinate, percorre la galleria producendo ad ogni deflagrazione un’onda barica che solleva in sospensione altre polveri di carbone innescate a loro volta al contatto col fronte di fuoco che consuma in un attimo tutto l’ossigeno. La ragnatela di tunnel è attraversata da un muro d’aria infuocata che viaggia ad una velocità di 1000 chilometri orari che si inoltra fin dentro le crepe nelle pareti raggiungendo una delle sacche isolate di grisù. Il gas, miscelato con una percentuale d’aria al 5%, si infiamma violentemente. Una fiammata di 3.500 gradi centigradi investe il corridoio incendiando altra polvere di carbone sollevata per il precedente spostamento d’aria fino ad arrivare alla riservetta. La violenza dell’onda d’urto scardina la porta rinforzata incanalandosi nella stanza ad L investendo le casse di esplosivo. L’intero stoccaggio settimanale salta in aria. Una tonnellata di Dinamite detona con una velocità di 7.400 metri al secondo generando una sfera di 7 milioni di litri di gas ad una temperatura di 4.200 gradi centigradi che cancella il deposito fortificato, polverizza le pareti divisorie, le centine e i rinforzi. La nuova onda d'urto generata raggiunge quasi istantaneamente le altre sacche di grisù che, miscelate con una percentuale d’aria al 15%, per effetto meccanico esplodono con una gigantesca onda esplosiva supersonica che si unisce alla prima e travolge i cunicoli uno dopo l’altro. La terra ha un sordo sussulto, i quadri appesi ai muri delle abitazioni lontane 30 chilometri ondeggiano, la collina si gonfia. 956 operai di cui 171 italiani muoiono all’istante, sciolti e inghiottiti dal terreno. Andati via da San Giovanni in Fiore, San Nicola dell’Alto, Falerna, Gizzeria, Civitella Roveto, Duronia, Civita d’Antino, Canistro, Torella del Sannio e altri paesi della Calabria, dell’Abruzzo e del Molise, invece della fortuna trovano la morte, arsi vivi e schiacciati da un monte che gli si sgretola addosso. La vampata di fuoco distrugge l’entrata della miniera sfogando all’esterno stagliandosi in cielo per 60 metri, dalla galleria numero 8 un frammento di 250 chilogrammi del tetto in cemento del locale motori viene scagliato a 150 metri sulla riva opposta del West Fork, il locale aerazione viene accartocciato, l’enorme ventilatore è strappato dai sostegni spezzandosi in tre parti con la più grossa che va a piantarsi nel fango sulla sponda orientale del fiume. Dal West Fork si alza una gigantesca ondata di marea che raggiunge la linea ferroviaria che corre lungo il corso d'acqua. All’esterno tutti gli edifici vengono rasi al suolo, la collina crolla sui tre ingressi della galleria numero 8 sollevando una nube nera, densa e pesante a forma di crisantemo che in pochi secondi ricopre le campagne e le acque del fiume. Cala il silenzio. Sconvolti e sanguinanti, quattro minatori riescono ad uscire da una crepa fumante sul fianco della galleria numero 6, non dicono niente, sono ciechi e sordi, sono appena una manciata i passi che fanno prima di crollare a terra esanimi. Dalle casette in legno sulla riva opposta del West Fork si precipitano le mogli dei minatori, è ancora tutto buio, un muro di polvere rende difficile la vista della miniera. Le donne si guardano attorno, ci sono anche gli operai del turno successivo che a gruppi stanno accorrendo verso l’entrata del pozzo. La vista della collina sprofondata è sconvolgente, nessuno ha mai visto una cosa simile, nessuno dovrebbe vederla. Alcuni funzionari della compagnia mineraria sono già in viaggio da Fairmont, ci metteranno meno di un’ora ad arrivare, una volta sul posto resteranno senza parole, è un disastro. I lavoratori delle miniere vicine si fermano, la mobilitazione è totale, vengono create due unità di soccorso di trenta elementi ciascuna, tecnicamente impreparate e prive di adeguati respiratori, che non potranno resistere all'interno della miniera per più di 15 minuti. Tre di essi moriranno durante l’intervento. Dalla vicina Shinnston stanno preparando per il trasporto un ventilatore provvisorio da montare all'ingresso principale per immettere aria forzata all'interno dei cunicoli. Si spera di trovare sopravvissuti. In 11 ore avanzeranno solo di 200 metri e 3 chilometri più avanti tenteranno di aprire un tunnel di aerazione. L'ingresso della galleria numero 6, inaccessibile, è sbarrato dalle carcasse di 613 carrelli, una dozzina di medici è in attesa davanti all’entrata ma il loro intervento non sarà mai necessario. I primi corpi, carbonizzati e martoriati non fanno presagire nulla di buono. Madri, mogli, fidanzate, sorelle, non andranno via, aspetteranno davanti all'ingresso dell'impianto osservando, urlando, piangendo, sperando, pregando. Gli sviluppi saranno strazianti, dalle viscere della terra, con un passamano senza fine saranno portati in superficie i resti umani orrendamente mutilati e bruciati di quelli che ad inizio turno erano mariti, padri, fratelli. Verranno ammassati all’interno dell’edificio ancora in costruzione della banca locale. Gli effetti personali o un brandello di vestiario saranno spesso l’unico modo per cercare di identificarli. Molte, troppe salme rimarranno senza nome, altre verranno rivendicate da più di una famiglia. 500 casse di legno arrivate all’aria aperta su sei vagoni ferroviari saranno allineate sulla Main Avenue, la strada principale, in attesa di una tomba o sepoltura in fosse comuni scavate nella terra gelata. Una folla di madri, vedove e orfani vagherà alla ricerca di qualche segno di riconoscimento, una scarpa, una giacca, un anello. Soltanto in 362 avranno un nome e il diritto alla lapide, altri saranno riposti in una fossa senza nome, altri ancora rimarranno sotto il carbone, inghiottiti dalla galleria a cui avevano affidato il loro futuro. L’orrore, la distruzione, la morte, susciteranno molto clamore in tutto il mondo, poi una stanca rassegnazione coprirà di silenzio quelli che per 12 ore al giorno, ripagati con stipendi da fame, affidando al piccone la loro speranza di riscatto, lasceranno a noi tutti la testimonianza di cosa sia stata per molti l’emigrazione nel mondo: figli di nessuno, anonimi italiani coperti con il manto scuro dell’oblio.

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