TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA: 6 dicembre 1907
STATO: Virginia Occidentale
LUOGO: Monongah, Miniera di carbone
MORTI: 956
FERITI: 0
Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu
È il 6 dicembre 1907, è venerdì, è una fredda mattina lavorativa come
tante, dura, faticosa, qui a Monongah. Monongah è una cittadina della West
Virginia che si fatica a trovare sulle carte geografiche, il suo nome
indiano-americano nelle lingua della tribù Seneca significa "Fiume dalle
acque ondulate". Le tremila anime che ci abitano vivono per la miniera
della Fairmont Coal Company di proprietà della Consolidated Coal Mine of
Baltimore. Per estrarre carbone e ardesia nei pozzi vi lavorano grandi e
piccoli. Ogni operaio, regolarmente assunto e con appuntata sul petto la spilla
d’ottone che riporta la matricola, è accompagnato da almeno due aiutanti. Questi
sono adolescenti e bambini e la loro presenza sotto terra non è registrata da
nessuna parte. Gli adulti guadagnano 10 centesimi l'ora, per i ragazzi invece c’è
una mancia legata alla quantità di carbone portato in superficie. È tutta gente
povera, semianalfabeta e sfruttata che vive in baracche di legno ricoperte di
carta catramata, anche in dodici per stanza, pagando fino a dieci dollari al
mese d’affitto, la metà dello stipendio. Ad Ellis Island, la porta d'ingresso
per l'America, l’anno scorso solo dall’Italia sono arrivati in 300 mila,
emigrati alla ricerca di una vita dignitosa, di un futuro. Dalla baia di New
York li hanno portati qui a Monongah per soddisfare il bisogno di carbone e
legname del boom industriale americano, anticipando i 15 dollari del viaggio
che poi ha trattenuto dalle paghe settimanali. Alla miniera sono tutti giovani
e vivono quasi da reclusi, i campi di lavoro sono controllati da guardie
armate, non si può lasciare il campo per nessun motivo, almeno non prima di
aver pagato tutti i debiti con la compagnia. Tutto ciò che si guadagna è speso
qui, il vestiario, l’attrezzatura, perfino le rate alimentari sono gestite
dallo spaccio della Compagnia mineraria che trattiene le spese dagli stipendi. Questa
mattina, l’attività estrattiva delle gallerie numero 6 e numero 8 è a pieno
regime e il lavoro degli operai continua ininterrottamente, come ogni giorno. L’impianto
della Consolidated Coal Company è considerato una meraviglia della modernità
industriale, l’energia elettrica alimenta i macchinari per tagliare il carbone,
un sistema di rotaie con locomotive e carrelli ne provvede al trasporto mentre
una teleferica consente la salita lungo il pendio della montagna. Le gallerie
sono collegate da un ponte d’acciaio sopra il fiume West Fork in superficie e da
un labirinto di tunnel in sotterraneo. La galleria numero 8 si trova sulla
sponda occidentale del fiume, la numero 6 invece è sulla sponda opposta. La vena
di carbone Pittsburgh giace a meno di 70 metri dalla cima della collina su cui
si apre l'entrata principale della miniera, a circa 10 metri sotto il livello
del fiume. In queste due gallerie, le principali per dimensioni, gli operai devono
quotidianamente prestare la massima attenzione alle esalazioni di grisù, il gas
combustibile silenzioso e letale costituito prevalentemente da metano, azoto,
anidride carbonica, etano, elio, neon e idrogeno. Incolore ed inodore, essendo più
leggero dell'aria, si trova raccolto in sacche isolate nelle parti alte delle
gallerie. Per l’estrazione del minerale, qui come nella maggior parte delle
miniere, si usa l’esplosivo. Pratico, più economico in termini di tempo e forza
lavoro, è utilizzato quotidianamente nell’avanzamento delle gallerie. I
depositi dove viene stoccato, le “riservette”, rifornite settimanalmente, per
ragioni logistiche si trovano nella parte più bassa della miniera scavate nella
roccia e rinforzate come piccoli bunker. I detonatori a fuoco, i tubetti di
stagno inventato dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1867 e riempiti
col Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al
calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal
chimico inglese Edward Howard, sono riposti in una loggia rialzata immediatamente
dopo le porte in ferro del deposito. A pochi metri, impilate dietro l’angolo
della stanza a forma di “L” per ragioni di sicurezza in modo da essere a
distanza dal resto del magazzino, si trovano le casse di Dinamite, qui
utilizzata in una tipologia a base inerte, non esplosiva. Questa, brevettata sempre
da Nobel nel 1867, è composta dalla Nitroglicerina sintetizzata
dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero nel 1847 dalla Nitrocellulosa, prodotto
scoperto dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846, miscelata con farina di roccia silicea
sedimentaria di origine organica. Sono le ore 10:30 e la stanchezza si fa
sentire, la poca luce, la fatica e la polvere sono pessime compagne di lavoro a
cui non ci si riesce ad abituare. Al centro di uno dei tunnel, all’altezza di
un nodo di scambio, due operai si stanno occupando della movimentazione dei
carrelli lungo i binari per allontanarli dal fronte di scavo. Sulla parete le
perforatrici stanno lavorando a ritmo serrato e tra poco verrà preparata per il
caricamento dell’esplosivo nei fori da mina. Poco più indietro, sui binari, gli
uomini alla prese col convoglio sganciano il primo carrello dalla testa della
fila. Il terreno, reso scivoloso dalle continue infiltrazioni d’acqua non rende
facile le operazioni, uno degli uomini inciampa perdendo il controllo del
carrello. Il mezzo, col freno disinserito prende velocità, accade tutto
velocemente e nessuno è in grado di fare niente se non guardarlo sparire nel
buio. Questo, continuando ad accelerare lungo la galleria e sollevando al suo
passaggio una nuvola di polvere di carbone percorre in pochi secondi il
rettilineo fino allo scambio successivo in cui arriva a tutta velocità. Il
vagone deraglia, si ribalta su un fianco andando a sbattere contro la parete
dove trancia un cavo elettrico che prende fuoco con una lunga fiammata bianca.
I granelli di polvere di carbone sollevati, andati a diminuire lo spazio tra
quelli già sospesi in aria durante le operazioni di lavoro, si accendono. La
nuvola si incendia, i minatori accanto vengono inceneriti, la galleria trema,
il pavimento e le pareti si aprono. La rapida combustione in questo spazio
confinato in cui la reazione chimica non ha il tempo di liberare tutta
l'energia prodotta sotto forma di calore ne produce una parte consistente sotto
forma di energia di pressione che genera a sua volta lo spostamento dell'aria
circostante ad una velocità elevatissima. La mostruosa esplosione, formata da
una catena di esplosioni ravvicinate, percorre la galleria producendo ad ogni
deflagrazione un’onda barica che solleva in sospensione altre polveri di
carbone innescate a loro volta al contatto col fronte di fuoco che consuma in
un attimo tutto l’ossigeno. La ragnatela di tunnel è attraversata da un muro
d’aria infuocata che viaggia ad una velocità di 1000 chilometri orari che si inoltra
fin dentro le crepe nelle pareti raggiungendo una delle sacche isolate di grisù.
Il gas, miscelato con una percentuale d’aria al 5%, si infiamma violentemente.
Una fiammata di 3.500 gradi centigradi investe il corridoio incendiando altra
polvere di carbone sollevata per il precedente spostamento d’aria fino ad
arrivare alla riservetta. La violenza dell’onda d’urto scardina la porta
rinforzata incanalandosi nella stanza ad L investendo le casse di esplosivo.
L’intero stoccaggio settimanale salta in aria. Una tonnellata di Dinamite
detona con una velocità di 7.400 metri al secondo generando una sfera di 7
milioni di litri di gas ad una temperatura di 4.200 gradi centigradi che cancella
il deposito fortificato, polverizza le pareti divisorie, le centine e i
rinforzi. La nuova onda d'urto generata raggiunge quasi istantaneamente le
altre sacche di grisù che, miscelate con una percentuale d’aria al 15%, per
effetto meccanico esplodono con una gigantesca onda esplosiva supersonica che si
unisce alla prima e travolge i cunicoli uno dopo l’altro. La terra ha un sordo
sussulto, i quadri appesi ai muri delle abitazioni lontane 30 chilometri
ondeggiano, la collina si gonfia. 956 operai di cui 171 italiani muoiono
all’istante, sciolti e inghiottiti dal terreno. Andati via da San Giovanni in
Fiore, San Nicola dell’Alto, Falerna, Gizzeria, Civitella Roveto, Duronia,
Civita d’Antino, Canistro, Torella del Sannio e altri paesi della Calabria,
dell’Abruzzo e del Molise, invece della fortuna trovano la morte, arsi vivi e
schiacciati da un monte che gli si sgretola addosso. La vampata di fuoco distrugge
l’entrata della miniera sfogando all’esterno stagliandosi in cielo per 60
metri, dalla galleria numero 8 un frammento di 250 chilogrammi del tetto in
cemento del locale motori viene scagliato a 150 metri sulla riva opposta del
West Fork, il locale aerazione viene accartocciato, l’enorme ventilatore è
strappato dai sostegni spezzandosi in tre parti con la più grossa che va a
piantarsi nel fango sulla sponda orientale del fiume. Dal West Fork si alza una
gigantesca ondata di marea che raggiunge la linea ferroviaria che corre lungo
il corso d'acqua. All’esterno tutti gli edifici vengono rasi al suolo, la
collina crolla sui tre ingressi della galleria numero 8 sollevando una nube
nera, densa e pesante a forma di crisantemo che in pochi secondi ricopre le
campagne e le acque del fiume. Cala il silenzio. Sconvolti e sanguinanti,
quattro minatori riescono ad uscire da una crepa fumante sul fianco della
galleria numero 6, non dicono niente, sono ciechi e sordi, sono appena una
manciata i passi che fanno prima di crollare a terra esanimi. Dalle casette in
legno sulla riva opposta del West Fork si precipitano le mogli dei minatori, è
ancora tutto buio, un muro di polvere rende difficile la vista della miniera.
Le donne si guardano attorno, ci sono anche gli operai del turno successivo che
a gruppi stanno accorrendo verso l’entrata del pozzo. La vista della collina
sprofondata è sconvolgente, nessuno ha mai visto una cosa simile, nessuno
dovrebbe vederla. Alcuni funzionari della compagnia mineraria sono già in
viaggio da Fairmont, ci metteranno meno di un’ora ad arrivare, una volta sul
posto resteranno senza parole, è un disastro. I lavoratori delle miniere vicine
si fermano, la mobilitazione è totale, vengono create due unità di soccorso di
trenta elementi ciascuna, tecnicamente impreparate e prive di adeguati
respiratori, che non potranno resistere all'interno della miniera per più di 15
minuti. Tre di essi moriranno durante l’intervento. Dalla vicina Shinnston stanno
preparando per il trasporto un ventilatore provvisorio da montare all'ingresso
principale per immettere aria forzata all'interno dei cunicoli. Si spera di
trovare sopravvissuti. In 11 ore avanzeranno solo di 200 metri e 3 chilometri
più avanti tenteranno di aprire un tunnel di aerazione. L'ingresso della
galleria numero 6, inaccessibile, è sbarrato dalle carcasse di 613 carrelli,
una dozzina di medici è in attesa davanti all’entrata ma il loro intervento non
sarà mai necessario. I primi corpi, carbonizzati e martoriati non fanno
presagire nulla di buono. Madri, mogli, fidanzate, sorelle, non andranno via,
aspetteranno davanti all'ingresso dell'impianto osservando, urlando, piangendo,
sperando, pregando. Gli sviluppi saranno strazianti, dalle viscere della terra,
con un passamano senza fine saranno portati in superficie i resti umani
orrendamente mutilati e bruciati di quelli che ad inizio turno erano mariti,
padri, fratelli. Verranno ammassati all’interno dell’edificio ancora in
costruzione della banca locale. Gli effetti personali o un brandello di
vestiario saranno spesso l’unico modo per cercare di identificarli. Molte,
troppe salme rimarranno senza nome, altre verranno rivendicate da più di una
famiglia. 500 casse di legno arrivate all’aria aperta su sei vagoni ferroviari saranno
allineate sulla Main Avenue, la strada principale, in attesa di una tomba o sepoltura
in fosse comuni scavate nella terra gelata. Una folla di madri, vedove e orfani
vagherà alla ricerca di qualche segno di riconoscimento, una scarpa, una
giacca, un anello. Soltanto in 362 avranno un nome e il diritto alla lapide,
altri saranno riposti in una fossa senza nome, altri ancora rimarranno sotto il
carbone, inghiottiti dalla galleria a cui avevano affidato il loro futuro. L’orrore,
la distruzione, la morte, susciteranno molto clamore in tutto il mondo, poi una
stanca rassegnazione coprirà di silenzio quelli che per 12 ore al giorno,
ripagati con stipendi da fame, affidando al piccone la loro speranza di
riscatto, lasceranno a noi tutti la testimonianza di cosa sia stata per molti
l’emigrazione nel mondo: figli di nessuno, anonimi italiani coperti con il
manto scuro dell’oblio.
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