01 gennaio, 2022

Bombay, Victoria Dock, 14 aprile 1944

 

TIPOLOGIA: incidente
CAUSE: errore umano
DATA:
14 aprile 1944
STATO: India
LUOGO:
Bombay, Victoria Dock
MORTI: 1.238
FERITI:
2.583

Analisi e ricostruzione a cura di Luigi Sistu

È venerdì 14 aprile, sono le ore 13:30, è un mite pomeriggio di primavera a Bombay e qui, nella Capitale dello stato del Maharashtra, prima città per densità di popolazione, il porto è gremito di navi da guerra. Trovandosi sulla costa occidentale e possedendo un profondo porto naturale che movimenta quasi la metà del traffico merci marittimo dell’India, Bombay è anche un’importantissima base navale e un centro logistico fondamentale per il progetto di invasione del Giappone. Le navi in porto battono tutte le bandiere degli alleati, soldati europei, asiatici, americani, affollano la città comprando ricordi come i variopinti sari di seta, elefanti d'Avorio e bastoncini di incenso cinese. Come ogni giorno lungo i moli si lavora a pieno regime, i turni sono duri e molti materiali da movimentare sulla banchina presentano un grado di pericolosità elevano tanto da mantenere il livello di attenzione degli operatori addetti al carico e scarico costantemente alto. Alcuni di questi, appena rientrati dalla pausa pranzo iniziata alle ore 12:30, stanno risalendo a bordo del mercantile norvegese per carichi pesanti M/S Belray. Uno dei primi, nello scendere in una delle due stive ha appena notato con la coda dell’occhio un filo di fumo fuoriuscire da una delle prese d’aria della stiva di una nave ormeggiata nel Victoria Dock, la banchina contigua. Si tratta della SS Fort Stikine, una nave da carico di 7.142 tonnellate di stazza costruita nel 1942 a Prince Rupert, una città portuale nella Columbia Britannica. Il mercantile, dal nome di un ex avamposto della Compagnia della Baia di Hudson situato nell’attuale Wrangell, in Alaska, e di proprietà della War Shipping Administration, l’agenzia di guerra di emergenza del governo degli Stati Uniti d’America incaricata di acquistare e gestire il tonnellaggio di navi civili necessario per combattere la guerra, fa parte di una classe di 198 navi da carico per l’utilizzo dal parte del Regno Unito nell’ambito dello schema Lend-Lease. Questo è un programma promulgato l’11 marzo 1941 in base al quale gli Usa forniscono al Regno Unito, alla Francia libera, alla Repubblica di Cina, all’Unione Sovietica e alle altre nazione alleate, cibo, petrolio e approvvigionamenti militari incluse navi e aerei da guerra, per i quali gli Stati Uniti ricevono in cambio basi militari e navali in territorio alleato durante tutta la durata del conflitto. Il Fort Stikine, arrivato in porto il 12 aprile via Gibilterra, Port Said e Karachi e con le operazioni di scarico iniziate già da una notte con parte di fertilizzante e di olio combustibile già portati a terra, è reduce di una traversata di una cinquantina di giorni dopo avere lasciato l’Inghilterra da Birkenhead carico di munizionamento, bombe aeronautiche, esplosivo sfuso, aeroplani Supermanire Spitfire, approvvigionamenti, e 31 casse di lingotti d'oro del valore di 890 mila sterline destinati a stabilizzare la Rupìa indiana. Dopo una sosta in Pakistan e scaricati a Karachi gli aerei da caccia Spitfire, parte degli approvvigionamenti, delle munizioni e degli esplosivi, ha stivato al loro posto 1.000 barili di olio combustibile, sacchi di riso, legname, rottami di ferro, zolfo, resina, fertilizzanti a base di pesce, e con protesta del Capitano Alexander James Naismith anche 8.700 balle di cotone grezzo, una merce vietata nel trasporto su rotaia da Punjab a Bombay. Chiamati gli altri nella stiva numero 2 per osservare il fumo biancastro venire da babordo, il lato della nave più vicino alla banchina, gli uomini del Belray si precipitano sul ponte per dare l'allarme. Non c’è tempo da perdere, gli operatori di un mezzo antincendio in stazionamento sul molo, allertati dalle grida di quegli uomini che si sbracciano in maniera nervosa, si precipitano sotto la nave con gli idranti ma senza aver dato “l’allarme 2”, ovvero quello per gli incendi su navi con carichi pericolosi, errore al quale il vice-caposquadra, accortosi di tale ingenuità, si affretta a rimediare andando a digitare il numero “290” sul telefono della banchina. Ma il telefono, con grande stupore dell’uomo, è privo di disco combinatore. La situazione precipita. Il vice-caposquadra, percorrendo di corsa la banchina per 170 metri fino alla cabina dell’avvisatore antincendio, rompe il vetro per suonare il campanello, un campanello di un allarme moderato che allerta il centro di controllo ma per l’invio di sole due autopompe. Le lancette dell'orologio della torre del porto stanno segnando le ore 14:16 e dentro il Fort Strike trasformato in una gigantesca bomba galleggiante lunga 135 metri, 180 metri cubi di legname pericolosamente posizionato sopra le balle di cotone accanto ai barili d’olio stanno per innescare una massa di esplosivo gigantesca, mostruosa: 1.395 tonnellate. Nella parte sud-ovest della stiva, contenute in 50.000 casse di legno del peso di 52 chilogrammi ciascuna ci sono i pezzi del calibro 7,7 millimetri, il munizionamento delle 8 mitragliatrici Browning .303 Mark II che armano le tre torrette difensive dei bombardieri quadrimotori pesanti inglesi Avro 683 Lancaster. Ciascun colpo è caricato con Polvere Infume, una invenzione del chimico francese Paul Marie Eugène Vieille che aveva ottenuto un nuovo tipo di polvere da sparo di tipo propellente completamente diverso dalle altre e che sviluppava un’energia tre volte superiore producendo nel contempo fumi di combustione molto ridotti. Questo tipo di esplosivo era stato realizzato unendo una miscela di etere ed alcool al prodotto della gelatinizzazione della Nitrocellulosa, l’esplosivo scoperto nel 1838 dal chimico francese Théophile-Jules Pelouze da carta, lino e cotone, ricetta perfezionata e stabilizzata dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein nel 1846 contemporaneamente al chimico tedesco Johann Friedrich Böttger. Nella porzione nord-ovest della stiva invece, confezionate in panetti del peso di 200 grammi l’uno e contenute in 7.000 casse di legno del peso netto di materiale equivalente a 34 chilogrammi ciascuna ci sono 238 tonnellate di esplosivo sfuso di tipo "A" ad alta sensibilità. Questo è il Trinitrotoluene, un esplosivo preparato la prima volta nel 1863 dal chimico tedesco Julius Wilbrand, perfezionato dal chimico tedesco Hermann Frantz Moritz Kopp nel 1888 e prodotto industrialmente in Germania un anno dopo col nome di Tritolo o Tnt. Immediatamente accanto, impilate ordinatamente le une sulle altre nella parte nord-est della stiva ci sono le bombe aeronautiche e sono del tipo a caduta libera con carica di esplosivo ad alta velocità, un tipo di bombe che seguono una traiettoria balistica dopo il lancio in funzione della velocità del mezzo aereo e della sua quota in relazione alla quota del bersaglio a terra. Queste, “per operazioni speciali, ad alta capacità”, sono completamente diverse dalle classiche “per uso generico, a media capacità” utilizzate per le operazioni di bombardamento strategico e tattico con l’impiego di bombardieri a lungo raggio per sganciare grandi quantità di ordigni su parti di territorio nemico dietro la linea del fronte per minarne il morale, il sistema produttivo o le infrastrutture, o per supporto attaccando mezzi e truppe sul campo. Destinate ad un utilizzo chirurgico, preciso e altamente distruttivo, qui dentro ci sono 150 Blockbuster, dei cilindri in acciaio di completa distruzione progettati per scopi di bombardamento in cui è richiesto il massimo danno da esplosione. Sono bombe gigantesche che hanno una configurazione particolare, modulare, poiché le versioni maggiori sono studiate per essere costituite da sezioni affiancate della più piccola imbullonate tra loro. Stoccata nella stiva del Fort Stikine c’è la versione più pesante, misura 741 centimetri di lunghezza per 97 centimetri di diametro ed è costituita da quattro sezioni affiancate della versione più piccola da 782 chilogrammi di peso lunga 224 centimetri con un diametro di 76 e una carica esplosiva di 556 chilogrammi. La grande, pesante invece 5.443 chilogrammi contiene una carica esplosiva di 4.355 chilogrammi, in alcuni casi costituita da Torpex, in altri casi da Amatex. Sono entrambi esplosivi ad alta velocità, il primo è potentissimo, sviluppato nel 1942 presso la Fabbrica Reale Gunpowder, nel Waltham Abbey, nel Regno Unito, è 50% più potente del Trinitrotoluene ed è composto da 40% in peso di questo, 42% in peso di RDX e 18% in peso di polvere di alluminio. Il nome è l'abbreviazione di TORPedo EXplosiv, essendo stato originariamente sviluppato per la testata dei siluri. L’Amatex invece è una miscela esplosiva sviluppata dall’ammiragliato britannico nei primi anni della guerra ed è costituita da 51% in peso di Nitrato d’Ammonio, il fertilizzante preparato dal chimico e farmacista tedesco Rudolph Glauber nel 1659 che lo aveva chiamato “nitrum flammans” per via del colore giallo della sua fiamma e scoperto come prodotto esplodente dal chimico e ingegnere svedese Alfred Nobel nel 1870, 40% in peso di Trinitrotoluene e 9% in peso di RDX. Formalmente chiamato ciclotrimetilenetrinitramina, l’RDX ha caratteristiche eccezionali, è stato scoperto e brevettato dal chimico e farmacista tedesco Georg Friedrich Henning nel 1898 e codificato con questo nome prima dall’esercito inglese come Royal Demolition eXplosive e poi prodotto in larga scala dagli Stati Uniti nel 1920. “RD” sta per Research and Development, ricerca e sviluppo, sigla comune a tutti i nuovi prodotti per la ricerca militare, mentre la "X", la classificazione, è nata come lettera provvisoria poi rimasta definitiva. Separati da tutti, a sud-est dello scompartimento dedicato agli armamenti, chiusi in 500 casse ci sono i meccanismi più delicati, i detonatori e le spolette. I detonatori, del tipo a fuoco ed elettrico, sono gli artifizi esplosivi primari in grado di innescare l’esplosivo sfuso. Quelli elettrici, eredi del cilindretto di alluminio inventato nel 1876 da Julius Smith attivati da una scarica elettrica che arroventava un ponticello imbevuto in una soluzione infiammabile e innescava una carica di Fulminato di Mercurio, esplosivo primario sensibilissimo agli urti e al calore, sintetizzato già nel XVII secolo e perfezionato nel 1799 dal chimico inglese Edward Howard, nella versione “moderna” hanno il medesimo accenditore ma contengono due micro cariche, una secondaria di Pentrite, uno degli esplosivi più potenti preparato per la prima volta nel 1891 dal chimico tedesco Bernhard Tollens, che innesca una primaria di Azoturo di Piombo, il preparato dalla Curtis's and Harvey Ltd Explosives Factory nel 1890. I detonatori a fuoco invece, eredi di quello inventato da Alfred Nobel nel 1867 consistente in un tubetto di stagno riempito anch’esso di Fulminato di Mercurio, sono attivati da una classica miccia a lenta combustione, un cordone di cotone reso impermeabile con un’anima di Polvere Nera, esplosivo formato da 74,65% di nitrato di potassio, 13,50% di carbone e 11,85% di zolfo, ricetta arrivata ai giorni nostri grazie al monaco e scienziato Ruggero Bacone nel 1249 modificando quella comparsa per la prima volta in un'opera di Wu Ching Toung Yao nel 1044 che suggeriva il dosaggio di un 74% in peso di nitrato di potassio, 15% in peso di carbone e 11% in peso di zolfo. Erede del cordone di canapa catramata con l’anima di polvere nera brevettata il 6 settembre 1836 da William Bickford, consente alla fiamma un percorso di un metro ogni 120 secondi. Le spolette invece, chiuse in altre casse di legno separate dai detonatori da un pannello di legno, consentono l’innesco dell’esplosivo contenuto nelle ogive delle bombe. Da montare sul naso delle ogive, questo tipo studiato appositamente per le Blockbuster sono di tipo meccanico, con una molla che rilascia un percussore all’impatto della bomba col terreno che arma il detonatore interno con innesco ad urto. Questo carico, minacciato dalle fiamme che metro dopo metro stanno avvolgendo la stiva, deve essere messo in sicurezza nel più breve tempo possibile. Sono passati 8 minuti dopo il primo squillo di sirena che l'ufficiale del più vicino distaccamento dei vigili del fuoco arriva sul posto con le due autopompe. Dopo aver osservato dall’interno l’incendio ormai già propagato si rende conto che è il cotone ad avere preso fuoco per primo. La causa? Una lanterna creduta spenta e ancora calda poggiata su una delle balle. I minuti passano e le fiamme, che si stanno espandendo con una velocità impressionante, hanno già acceso il legname che sta facendo aumentare esponenzialmente la temperatura nella stiva. Il metallo dei barili di olio combustibile si deforma e alcuni di questi, danneggiati nella movimentazione e nel trasporto ma stivati ugualmente nonostante perdessero olio, stanno per prendere fuoco. L’ufficiale, che sbianca alla vista del carico invia immediatamente “l’allarme numero 2” in modo da allertare altre 8 autopompe che arrivano in pochi minuti, sono le ore 14:35. Gli ultimi ad arrivare sono Norman Coombs, capo dei vigili del fuoco di Bombay, precipitatosi sulla banchina ancora in pantaloncini e giacca sportiva, e il Capitano Oberst, ufficiale dell’Indian Army Ordnance Corps, il corpo d’artiglieria dell’esercito, responsabile degli esplosivi in porto. Hanno in mano una planimetria del mercantile con la disposizione del carico nella stiva. In un velocissimo briefing assieme al Capitano Naismith e al Comandante Longmore della Royal Indian Navy, la forza navale dell’India Britannica, prendono coscienza che se la SS Fort Stikine dovesse saltare in aria sprofonderebbe con tutto il porto e parte della città. Il calore è immenso e tutto intorno l’acqua sta ribollendo, la nave deve essere immediatamente affondata. Ma il Colonnello Carl Liam Sadler, direttore generale del porto, non è d'accordo, il metro e mezzo d’acqua tra la chiglia della nave e il fondale del porto del punto in cui è ormeggiato il mercantile è troppo poco profondo e non coprirebbe neppure la parte inferiore della stiva numero 2. Mentre il Comandante Naismith, confuso da questi consigli contrastanti e titubante sul da farsi, l’olio prende fuoco con le cataste di legname e le balle di cotone diventate un’unica, immensa palla di fuoco. Sono le ore 14:50, mentre si decide se allontanare o no il mercantile dai moli trascinandolo al largo con dei rimorchiatori, 2 motoscafi antincendio arrivati nel frattempo sul posto, il Doris e Panwell, aprono altre 9 manichette sulla nave in fiamme, ma è troppo tardi, la situazione interna precipita vertiginosamente nella stiva diventata un immenso rogo coi pompieri che continuano a rovesciarvi da quasi un’ora 900 tonnellate d’acqua portando il numero delle manichette a terra da 11 a 32. Gli ultimi membri d’equipaggio lasciano il mercantile di corsa ma all’esterno la maggior parte dei portuali, non dando importanza agli eventi che si susseguono davanti alla Fort Stikine, continuano a lavorare come se nulla fosse, complice l’assenza di esposizione della bandiera rossa per indicare un carico pericoloso a bordo, una pratica interrotta in quanto avrebbe identificato tali navi in ​​caso di raid aereo nemico rendendole un bersaglio primario. Inoltre, essendo stata interrotta per lo stesso motivo anche l’obbligatorietà dello scaricamento in chiatte offshore delle merci a rischio come gli esplosivi di tipo “A”, i più pericolosi, praticamente nessuno a parte gli equipaggi e gli ufficiali del porto sapevano il reale contenuto di ogni bastimento. Ciò che i portuali stanno guardando con curiosità è solo un’anonima nave con del fuoco a bordo e delle operazioni di spegnimento, una cosa abbastanza frequente in un porto trafficato come quello, talmente frequente che un marinaio del Jalapadma, una nave da carico ormeggiata a poppa del Fort Stikine, finisce con l'annoiarsi a tal punto nello stare a guardare tutti quegli uomini con le pompe in mano da andarsene sottocoperta a leggere un libro. Solo uno spettatore si è accorto del reale pericolo, un marinaio del Belray, uno che conosce bene gli incendi perché li ha combattuti durante gli incessanti bombardamenti di Londra da parte dei tedeschi. Alla vista delle fiamme che stanno cambiando colore diventando giallo scuro gli riappare davanti agli occhi una frase del suo vecchio manuale d'istruzione antincendio: "fiamme giallo scure, pericolo esplosivi", sono le ore 16:06. L’uomo ha appena il tempo percorrere tutto il ponte del Belray urlando ai compagni di mettersi al riparo prima di gettarsi faccia a terra nel pozzetto del cannone che una fiammata si fa strada lungo i condotti e le aperture del mercantile di fronte levandosi in aria ben oltre l’albero maestro. La Fort Skitine salta in aria, l’esplosione scuote l’aria con tale violenza da mandare in tilt i sismografi dell'Osservatorio dell’Istituto Indiando di Geomagnetismo dell’isola di Colaba. Il mercantile viene spezzato in due scardinando la caldaia dai sostegni e sparandola attraverso le lamiere ad una distanza di 800 metri. La terra trema, a Bombay le strutture si aprono, fino a 1.600 metri i muri crollano, le finestre vanno in frantumi per 12 chilometri. Dal molo un gigantesco fungo di fuoco spazza via qualsiasi cosa lanciando in aria una pioggia di rottami e cotone in fiamme. Sulla banchina un ufficiale viene tagliato in due da un pezzo di lamiera, il Comandante Naismith e il Secondo Ufficiale sono trascinati via davanti all’ispettore marittimo che viene completamente spogliato, i pompieri sono falciati come spighe. In basso il mare si solleva di 10 metri, i bacini vengono devastati da un anello di fuoco che con la potenza di 1.000 uragani attraversa la superficie raggiungendo una dopo l’altra le navi ormeggiate. Il Doris e il Panwell spariscono; il Belray, della Armstrong Whitworth & Co. Ltd e del peso di 4.094 tonnellate viene sbattuto violentemente sul molo; il Jalapadma, la nave da carico inglese da 3.857 tonnellate della Scindia Steam Navigation Company viene divisa in due con la parte anteriore sollevata per 20 metri e scaraventata sul tetto di un capannone e la poppa lanciata per 180 metri; il Baroda, una nave da carico inglese da 3.172 tonnellate di proprietà della British India Steam Navigation Company viene incenerita; la HMIS El Hind, una nave passeggeri da 5.319 tonnellate utilizzata dalla Scindia Steam Navigation Company Ltd e requisita dalla Royal Indian Navy come nave da sbarco, viene scoperchiata assieme alla Fort Crevier e alla Kingyuan, due navi da carico inglesi, la prima di 7.142 tonnellate e la seconda, di proprietà della China Navigation Company, di 2.653 tonnellate; due navi da carico, la General van Sweiten, da 1.300 tonnellate, la General van der Heyden, da 1.213 tonnellate, e il Tinombo, un mercantile costiero da 872 tonnellate, tutte olandesi e di proprietà della Koninklijke Peketvaart-Maatschappij, sono sollevate e rovesciate su un lato dilaniando tra le lamiere 2, 15 e 8 membri dell’equipaggio; le chiglie della nave da carico norvegese Graciosa, da 1.173 tonnellate di proprietà di Skibs A/S Fjeld, e dei due mercantili panamensi Iran e Norse Trader, la prima da 5.677 tonnellate della Iran Steamship Company, la seconda da 3.507 tonnellate di proprietà di Wallen & Co. Sank, si squarciano per tutta la lunghezza piegandosi verso l’interno; alla nave da carico egiziana Rod El Farag, da 6.292 tonnellate, della Sociète Mirs de Navigation Maritime, il ponte viene completamente fatto a pezzi, la poppa è piegata verso l’alto e il lato destro rientra per metà; all’HMS LCP 323 e all’HMS LCP 866, due piccoli mezzi da sbarco inglesi del peso di 3.674 chilogrammi non va meglio, le lamiere accartocciate come fogli di carta sono strappate dalle chiglie sollevate dall’acqua e lanciate in direzione della vicina Empire Indus, una nave da carico inglese da 5.155 tonnellate e della vicina HMHS Chantilly, una nave passeggeri inglese da 10.017 tonnellate trasformata in nave ospedale, mentre vengono avvolte dalle fiamme e strappate dagli ormeggi. L’onda di sovrappressione, devastati i bacini raggiunge la terraferma. 55 mila tonnellate di cereali, le riserve di emergenza destinate alla carestia del Bengala sono cancellati, i sili che li contengono scoperchiati, rovesciati su un lato e aperti per tutta la lunghezza. Le balle di cotone in fiamme, cadendo dal cielo sulle navi attraccate, sul cantiere navale e sulle aree dei bassifondi fuori dal porto, incendiano due chilometri quadrati di superficie edificata. In un raggio di 800 metri dalla nave alcune delle porzioni più sviluppate ed economicamente importanti di Bombay vengono cancellate. In città frammenti di metallo rovente, mattoni e porzioni di cemento ricadono sulle case e sulle strade falciando i passanti e uccidendo chi non si trova al riparo. Un lingotto d’oro sfonda il tetto di una casa atterrando ai piedi di un vecchio che legge nel balcone al terzo piano. Nella stanza accanto, la moglie non ha il tempo di accorgersi di nulla, un frammento di banchina squarcia il muro della camera da letto trapassandole il petto. Sul Belrav, il marinaio che si è buttato nel pozzetto risale in coperta, ormai trasformata in un cumulo di ferro inclinato di 40 gradi, corpi senza vita e moribondi. Solleva di peso un compagno, gli scivola dalle mani per il troppo sangue, la gamba gli è stata strappata di netto, fatica a portarlo giù per la passerella ma cerca prendere anche gli altri. Va avanti e indietro più volte, dispone i feriti a terra tra due muri rimasti intatti, al riparo dai continui scoppi di munizioni. L'ultimo è un marinaio indiano che ha perso entrambe le gambe, lo raccoglie per caricarlo su una piccola automobile ferma sulla banchina, l'ha quasi raggiunta quando dal bagliore rossastro della nuvola di fumo che nasconde il Fort Skitine un boato scuote l’aria per la seconda volta. Sono le ore 16:46, la restante parte di esplosivo si è accesa. La detonazione è impressionante, molto più potente della precedente. Il marinaio spinge il compagno sotto l'automobile seguendolo nel fango prima di essere raggiunto dall’onda di sovrappressione che solleva l’auto da terra scaraventandola contro un muro. Il boato, sentendosi per 80 chilometri fa vibrare il terreno fino alla città di Shimla, a 1.750 chilometri. La prima esplosione, avvenendo lateralmente ha sfogato parte della sua forza contro l'acqua e contro i capannoni delle banchine, questa, con un effetto spaventoso si sviluppa invece verticalmente. Il fungo nero che si apre coprendo il precedente risucchia verso l’alto frammenti di metallo, legno e cotone infuocato per un'altezza di 1.500 metri, una seconda pioggia di detriti bersaglia terra e acqua in un raggio di 900 metri appiccando fuochi oltre i confini del porto, nei quartieri residenziali. Intorno lo scenario è infernale. 1.238 persone tra cui 410 militari, 531 civili, 231 operatori portuali e 66 pompieri, sono state dilaniate. I loro corpi smembrati, accartocciati come fogli di carta non hanno più una forma. Altre 2.583, civili, soldati inglesi, indiani, aviatori della RAF e uomini delle forze armate americane sono invece feriti in modo grave. Il porto non esiste più, sotto una colonna nera che si estende su tutta la baia le strutture sono state appiattite e un milione di tonnellate di macerie, parti umane e di animali ricoprono il terreno per chilometri. Anche dei due bacini resta ben poco: il Jalapadma, il Baroda, il Fort Crevier, la Graciosa, l’Iran e il Rod El Farag sono distrutte; il Belray, la HMIS El Hind, il Kingyuan, il General van Sweiten, il General van der Heyden, il Tinombo, la Norse Trader, l’HMS LCP 323 e l’HMS LCP 866 sono affondate, tre ponti girevoli d’ingresso sono fuori dai loro sostegni, l’ingresso del bacino Victoria è bloccato da una nave affondata all’interno e da una affondata all’esterno, l’imbocco invece è ostruito da un groviglio di alberi e sartiame. La Empire Indus e la HMHS Chantilly, miracolosamente sopravvissute ma ancora in fiamme, vagano lentamente verso la costa trasportate dalla corrente. La macchina dei soccorsi sarà imponente, mentre i funzionari portuali stanno allontanando in tutta fretta dirigendole in mare aperto altre 7 navi trasporto esplosivi dal bacino Alexandra, 6.000 indiani e 2.000 soldati inglesi si mobilitano allestendo postazioni di primo soccorso della Croce Rossa in tutta l’area con l’ospedale St. George che verrà intasato dai feriti mentre 80.000 persone resteranno senza una casa, anche loro vittime di una guerra che non sembra ancora vedere la fine.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente blog, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione.

Gli articoli pubblicati su questo blog sono il prodotto intellettuale dell'autore, frutto dello studio di perizie, testimonianze e rilievi video-fotografici reperiti dallo stesso in sede privata. L'intento di chi scrive è la divulgazione di eventi di interesse pubblico accompagnati da un'analisi tecnica degli stessi rinnegando qualsiasi giudizio personale, politico, religioso.